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Perché ‘Charlie the Unicorn’ è stato fondamentale per la cultura di internet

All’inizio dell’internet come lo conosciamo oggi — ovvero da quando, a metà degli anni 2000, si sono diffusi i social network e i contenuti generati dagli utenti sono diventati la base di tutto — non c’erano solo immagini porno e gattini, ma anche unicorni. Unicorni depressi e unicorni sadici.

Nel 2005 nasce YouTube e il primo video caricato online sulla piattaforma è l’auto-documentazione di una gita allo zoo di un ragazzo che, in 18 secondi, ci spiega come la proboscide dell’elefante sia ciò che rende questi animali “really cool.”

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Sulla neonata piattaforma approdano poi presto tutta una serie di video che erano già considerati virali per il successo riscosso sulla piattaforma social (ante-litteram) Newgrounds, come, per esempio, la famosa performance del vlogger Gary Brolsma con Numa Numa.

C’è un parallelo tra le avventure di Charlie verso Candy Mountain e i primi utenti di internet 2.0: entrambe erano esplorazioni ingenue di un mondo pieno di strani e insensati fenomeni.

Sono anni di strani esperimenti: l’enorme macchina da soldi consapevole appieno delle proprie dinamiche che YouTube diventerà di lì a pochi anni è, per un breve periodo, solo un bacino di ingenue performance vocali e fisiche, mescolate ad animali che starnutiscono e bambini che ridono.

L’influenza che molti di questi contenuti randomici e del tutto insensati hanno sulla storia di internet è tale, però, che persino South Park, nel 2008, le rende un glorioso e sanguinario omaggio con l’episodio “Canada on Strike,” dove tutte le protostar della rete si massacrano a vicenda per stabilire chi sia il fenomeno più famoso tra tutti.

Nata proprio su Newgrounds nel 2005 e poi migrata su YouTube l’anno successivo, la serie animata in Flash Charlie the Unicorn rappresenta un altro tipo di contenuto virale — uno che, per quanto legato a sua volta a un surrealtà violenta, cinica e grottesca — è dotato di una struttura che oggi riconosciamo come intrattenimento, molto più che come candid video.

Creata dall’animatore Jason Steele, Charlie the Unicorn racconta le vicende infelici di un unicorno grigio vagamente depresso che viene trascinato in avventure del tutto strampalate da altri due unicorni, uno azzurro e uno rosa, il cui obiettivo ultimo è, in realtà, derubare, truffare, manipolare e danneggiare fisicamente Charlie.

Gli elementi che hanno permesso alla prima puntata di Charlie the Unicorn di scalare la vetta dei video più visti all’alba di YouTube sono intuibili: i due unicorni “cattivi” pronunciano a ripetizione il nome di Charlie come una nenia da ipnosi impossibile da non imitare, l’episodio contiene un numero musicale completamente privo di logica semantica ma estremamente orecchiabile e, in generale, la contrapposizione tra la fantasia da “troll” dei compagni di Charlie e la reticenza del protagonista a credergli creano una dinamismo narrativo eccellente.

In quanto spettatori, siamo portati a simpatizzare per Charlie, l’unico razionale del gruppo, che si trova ad ascoltare impossibili canzoni sui pregi di una montagna fatta di caramelle, su come infilarsi banane nelle orecchie aiuti a migliorare l’umore e su giganteschi e vanitosi millepiedi lunari, mentre ognuno dei personaggi che canta esplode sul finale. Eppure, Charlie è anche l’unico che non si adatta a un mondo di follie in cui tutti credono perfettamente, dove i topoi narrativi delle fiabe — tra creature magiche, amuleti e missioni da compiere — vengono brutalmente corrosi e ribaltati; una fiera di personaggi inquietanti e disagiati approfittano di Charlie nel momento in cui accetta una nuova avventura.

Nel corso degli anni, fino al 2012, Jason Steele ha prodotto in totale quattro episodi di Charlie the Unicorn, portando avanti, al contempo, svariati altri progetti di animazione dalle tematiche scorrette sul canale della propria casa di produzione, FilmCow. Nel febbraio del 2016, dopo oltre 10 anni dal primo episodio, Steele ha lanciato un Kickstarter per realizzare la puntata conclusiva della serie, Charlie the Unicorn: Grand Finale, raccogliendo il quadruplo dell’obiettivo originale di 50.000 dollari.

L’episodio — la cui durata prevista è di 30 minuti — sarebbe dovuto uscire a dicembre 2016, ma la produzione si direbbe, per ora, bloccata o in ritardo rispetto alle previsioni. Nel frattempo, lo scorso agosto, Steele ha annunciato una collaborazione con il canale di animazione Cartoon Hangover di Frederator per una nuova serie, in uscita questo autunno.

Steele ha creato il primo episodio di Charlie per gioco, come ha raccontato lui stesso nel 2009 in un commento inserito nell’edizione DVD delle sue opere, per fare un test di animazione che parlasse di unicorni perché alla madre piaceva particolarmente l’argomento. Nel 2005, prodotti di animazione irriverente (per dirlo con un eufemismo) esistevano già nel panorama internazionale, con serie come South Park e canali come Adult Swim che erano più che assodati nell’intrattenimento mainstream.

Ma a livello di contenuti generati dagli utenti — vale a dire produzioni indipendenti realizzate per essere caricate su piattaforme di condivisione online non ancora monolitiche come oggi — la prima avventura surreale di Charlie e compagni verso Candy Mountain, era qualcosa di pionieristico. Come ha scritto il Time nel 2009 a tal proposito, “Charlie the Unicorn dimostra che qualcosa non deve avere per forza senso per attirare un seguito di veri cultori,” al punto che esiste addirittura un dating sim a tema Charlie the Unicorn, al Burning Man del 2011 ha sfilato un carro dedicato alla serie e si trovano infinti omaggi, citazioni, rielaborazioni dei suoi personaggi ovunque.

“When your feeling blue / Or are in distress / I know what can wash that sad away / All you have to do is / Put a banana in your ear” Screenshot via: YouTube

In un certo senso, riguardare oggi Charlie the Unicorn è come osservare una strana capsula del tempo, di come immaginavamo internet stesso. C’è un parallelo, in fondo, tra le avventure di Charlie verso Candy Mountain e i primi utenti di internet 2.0: entrambe erano esplorazioni ingenue di un mondo pieno di strani e insensati fenomeni.

Per quanto sia possibile trovare contenuti assolutamente straordinari e genuini ancora oggi in rete, l’intera macchina dell’intrattenimento online è diventata indubbiamente molto più consapevole di se stessa. Viviamo immersi in meme e video virali, abbiamo imparato a calcolarne l’efficacia e, persino, la potenzialità politica.

Internet ha imparato a riflettere su se stesso, in un certo senso: vedere Gary Brolsma che canta oggi Numa Numa circondato da chi è diventato prodotto di YouTube dopo di lui fa strano. Fa intuire come, inevitabilmente, è cambiato tutto.

Charlie the Unicorn, similmente, è una sorta di pilastro della cultura di internet che conosciamo oggi. Nato per scherzo, è diventato il manifesto di una produzione indipendente di contenuti virali che — forse — non sarà mai più così perfettamente ignara di cosa le sarebbe capitato come lo era allora.

Se vi sentite tristi, ricordatevi: “All you have to do is put a banana in your ear.”

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