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La scomparsa del peyote americano

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Questo articolo è comparso su VICE Magazine Burnout and Escapism Issue.


Il peyote fa parte della vita di Dawn Davis da sempre. Questo piccolo cactus che produce mescalina è originario della regione sud-occidentale degli Stati Uniti e del nord del Messico, ma la prima volta che Davis ha scoperto questa pianta è stata nella riserva indiana di Fort Hall, in Idaho, dove la sua famiglia veniva a fare scorta di “bottoni” di peyote, che poi conservava nella dispensa. Il nome scientifico del peyote è Lophophora williamsii, ma Davis e la sua famiglia lo chiamano semplicemente “la medicina.”

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Davis appartiene alla tribù di Shoshone-Bannock, e partecipò alla sua prima “seduta di peyote” quando aveva solo pochi mesi. Crescendo, Davis ha iniziato a capire che quegli incontri erano in realtà cerimonie religiose della Chiesa Nativa Americana, che unisce elementi del cristianesimo a rituali dei nativi, tra cui l’uso del peyote tra i sacramenti. Negli anni, Davis ha notato che l’uso del peyote nel corso di queste celebrazioni era diminuito. Quando i bottoni raggiungono la maturazione, possono anche arrivare a misurare diversi centimetri di diametro, ma agli incontri, i bottoni che Davis era ormai abituata a vedere non erano più grandi di una monetina da un centesimo.

Anche se al tempo non lo sapeva, Davis stava di fatto osservando l’inizio di una profonda crisi di preservazione naturale. Negli ultimi decenni, la fornitura di peyote negli USA è rapidamente diminuita per via della distruzione del suo habitat naturale, della raccolta illegale e delle pratiche intensive a cui sono sottoposti i terreni. Quando ha iniziato a occuparsi della questione, Davis si è resa conto che avrebbe dovuto fare qualcosa di concreto per prevenire l’estinzione totale di questa risorsa naturale ed elemento fondante della più grande comunità religiosa indigena degli Stati Uniti.

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Peyote che cresce davanti a una statua, nel giardino di Salvador Johnson. Immagine: Kelvin Box/VICE

Dopo aver ottenuto la benedizione dalla famiglia, Davis si è iscritta a un corso di preservazione del peyote nell’ambito dei suoi studi alla University of Arizona. Oggi, Davis porta avanti il suo lavoro di ricerca come dottoranda alla University of Idaho ed è una dei pochissimi studiosi ad occuparsi di questa crisi. A ottobre, ho incontrato Davis alla conferenza Horizons, un evento annuale sulle sostanze psichedeliche che si tiene a New York, per parlare del suo lavoro di ricerca in collaborazione con i proprietari terrieri del Texas, i funzionari statali, gli esponenti della Chiesa e i cosiddetti peyoteros (chi raccoglie il peyote) per capire meglio il problema. Dopo anni di studi, Davis si è trovata di fronte a una pianta sacra sull’orlo dell’estinzione e una generale mancanza di conoscenza sulla dimensione del problema.

ASCESA E DECLINO DEL PEYOTE IN AMERICA

C’è una sottile striscia di terra che copre oltre 3000 chilometri quadrati tra El Paso e Laredo lungo il confine meridionale del Texas e questa è l’unica parte di terra dei nativi dove cresce il peyote negli Stati Uniti. Nota come il giardino del peyote, a prima vista non sembra diversa dal resto del Texas. È una distesa piatta, desolata e coperta di creosoto, arbusti di legno tipici della regione. Sotto questo strato di arbusti, però, si intravedono questi piccoli cactus senza spine che spuntano dalla terra arida.

Le prove archeologiche ci dicono che il peyote è usato dalla popolazione indigena di questa regione da oltre 5000 anni, ma è stato solo con la formazione della Chiesa Nativa Americana verso la fine del XIX secolo che la pianta si è diffusa tra le tribù di tutti gli Stati Uniti. Questo è ampiamente dovuto allo spostamento forzato delle tribù che abitavano il nord e la zona orientale verso le riserve della zona occidentale, che hanno scoperto il peyote grazie all’incontro dei Lipan Apache, Carrizo, e Huichol. Quello che non è ancora stato confermato è il momento in cui la pianta ha iniziato a essere parte integrante del rituale della religione nativa, ma un memorandum della DEA del 1981 che concede l’esenzione alla Chiesa Nativa sul peyote lascia intendere che la sua adozione potrebbe essere entrata in vigore “circa tra il 1870 e il 1885.”

Oggi, la CNA ha oltre 200 mila membri appartenenti a decine di tribù. Tutti credono in un “Grande Spirito” e seguono un codice etico conosciuto con il nome di “strada del peyote,” che incoraggia i credenti a stringere forti legami familiari, a fare affidamento su se stessi e a coltivare i rapporti tra le tribù. Come osserva la DEA nel suo memorandum, durante il secolo scorso l’uso del peyote è diventato, di fatto, il “sine qua non della Chiesa Nativa Americana,” ed è essenziale nei rituali religiosi. Per questo, la distruzione dell’habitat naturale della pianta potrebbe provocare la distruzione della più grande religione indigena negli Stati Uniti.

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L’entrata della Native American Church a Mirando City, Texas. Immagine: Kelvin Box/VICE

Le proprietà psicoattive della pianta sono state rivelate ai non-indigeni dal farmacologo Arthur Heffter, che fu il primo a estrarre la mescalina dal cactus nel 1897. Nella preparazione per il consumo, i bottoni di peyote che si trovano in cima al cactus vengono tagliati e fatti essiccare. I bottoni si possono masticare o possono essere usati per fare infusi da bere. La mescalina ha proprietà psichedeliche molto simili all’LSD o ai funghi: provoca infatti allucinazioni a occhi aperti, o chiusi, altera i meccanismi del pensiero e dà una forte sensazione di euforia. L’effetto della mescalina può durare anche molte ore, in base alla quantità assunta.

Verso l’inizio del XX secolo, l’uso indigeno del peyote per scopi religiosi aveva attirato l’attenzione del governo americano, che voleva renderlo illegale. Nel suo libro Peyote Religion: A History, Omer Stewart spiega nel dettaglio gli sforzi di proibizionismo messi in atto nel sud degli Stati Uniti per eliminare del tutto il consumo di peyote tra il XIX e il XX secolo. Decine di migliaia di bottoni di peyote furono sequestrati e bruciati, i distributori furono incarcerati e le cerimonie interrotte da raid di polizia. Nel 1929, il peyote è stato definito come una “droga che provoca dipendenza” dal governo federale, ma i membri della Chiesa Nativa Americana hanno continuato a organizzare i propri incontri di nascosto.

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“Se escludi l’aspetto religioso per intero, hai comunque una pianta che è a rischio. In un modo o nell’altro, ha bisogno di essere protetta.”

Il governo dello stato del Texas ha bannato il possesso di peyote nel 1967. Dopo che i membri della Chiesa Nativa hanno firmato una petizione per chiedere un’esenzione speciale ai legislatori del Texas, tuttavia, lo stato ha emendato la legge permettendo alle persone che hanno almeno il 25 percento del proprio sangue indigeno di acquistare legalmente il peyote. Quello stesso anno, gli Stati Uniti hanno concesso licenze di distribuzione di peyote a 13 fornitori. Il riconoscimento legale dei peyoteros in Texas ha segnato una svolta nella storia della preservazione del peyote. Non solo ha messo le basi per un mercato legalizzato della sostanza, in cui i membri della Chiesa Nativa potevano acquistare la loro “medicina” soltanto da venditori autorizzati dallo stato, ma ha permesso di raccogliere dati significativi sul consumo di peyote negli Stati Uniti, ed era la prima volta che questo accadeva.

Fino al 2016, i peyoteros dovevano dichiarare le proprie vendite annuali al dipartimento texano di sicurezza pubblica (oggi non è più così). Quando Davis ha analizzato i dati, ha notato una struttura chiara: il numero di bottoni di peyote venduti ogni anno in Texas era in calo dal 1998, anno in cui le vendite raggiunsero un piccolo di 2,5 milioni di unità. Nel frattempo, secondo i dati forniti dal ministero di sicurezza pubblica del Texas, i ricavi da queste vendite sono aumentati. In altre parole, i peyoteros facevano pagare sempre più caro un prodotto che era ormai una rarità. Quello che era meno chiaro, tuttavia, è se il calo dell’interesse, l’aumento dei costi, la minore disponibilità o la combinazione di alcuni di questi fattori fossero stati il motivo dietro la riduzione delle vendite di peyote.

GLI ULTIMI PEYOTEROS

La crisi della preservazione del peyote in America è riconosciuta almeno dal 1995. Quell’anno, in uno studio pubblicato nel Cactus and Succulent Journal, il botanico Edward Anderson ha descritto il proprio ritorno nei giardini del peyote in Texas, dopo 30 anni dalla sua prima esplorazione. Anderson ha osservato, in questa occasione, una tensione crescente tra i peyoteros e i proprietari terrieri che lasciavano loro in gestione le terre per la raccolta del peyote in quelle aree.

Ma la vera minaccia alla sopravvivenza del cactus sacro non erano i peyoteros, che Anderson descrive come “conservazionisti rispettosi” che “vogliono alimentare la crescita selvaggia per assicurarsi un reddito fisso e stabile.” Il vero problema, in questo caso, era l’aratura dei campi che venivano privati di ogni radice e arbusto per permettere al bestiame di pascolare e brucare, e il fatto che i proprietari terrieri impedissero ai peyoteros l’accesso alle terre mettendo a rischio di fatto la fornitura di peyote alla comunità della Chiesa Nativa. “La prospettiva sul lungo termine, se persistono le condizioni attuali, è piuttosto tetra,” scrive Anderson.

Sebbene Anderson comprendesse le necessità dei proprietari terrieri, che volevano rendere produttiva la propria terra ed evitare qualsiasi problema nel caso in cui uno dei peyoteros si fosse ferito durante la raccolta nel proprio appezzamento, la chiusura delle terre ai peyoteros provocò “gravi tensioni” tra gli indigeni e i proprietari dei ranch. Secondo Salvador Johnson, il più grande distributore di peyote in Texas, il 100 percento delle terre dove cresceva peyote in Texas era di proprietà privata, il che significa che per raccogliere il cactus, i peyoteros hanno assolutamente bisogno dell’autorizzazione dei proprietari.

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Salvador Johnson raccoglie peyote nel sud del Texas da oltre 60 anni. Oggi è uno dei soli quattro peyoteros a cui è concessa una licenza dalla DEA per la raccolta e vendita del peyote al NAC. Immagine: Kelvin Box/VICE

Oggi, esistono solo quattro peyoteros autorizzati dalla Drug Enforcement Agency (DEA) che hanno il permesso legale di raccogliere peyote. A 72 anni, Johnson raccoglie peyote nell’area di Mirando City, in Texas, da oltre 60 anni. Mi ha detto che ci sono fondamentalmente due grandi ostacoli che impediscono la concessione di licenze a nuovi peyoteros. Il primo è che un nuovo peyotero deve avere un grande capitale a disposizione, perché una licenza di 30 giorni per raccogliere in zone private costa migliaia di dollari, e in secondo luogo gli aspiranti peyoteros dovrebbero essere in grado di crearsi dei contatti con i proprietari terrieri prima di avviare l’attività.

Johnson dice di vendere circa 750mila bottoni di peyote all’anno, raccolti in circa 40 mila acri di terre. Conosce alcuni dei rancher da circa 40 anni, e come ci spiega, farsi le conoscenze giuste è l’ostacolo principale che impedisce a nuovi peyoteros di iniziare un’attività.

“La cosa più difficile di questo business è ottenere della proprietà in leasing,” mi dice Johnson. “Ci sono ancora molti rancher che sono convinti che il peyote sia una droga, e non vogliono lasciarci la concessione delle terre. Anche se hai il capitale, se non hai una terra non vai da nessuna parte.”

Davis cita i proprietari terrieri come il principale ostacolo alla tutela del peyote. Nonostante lei sia in buoni rapporti con gli ultimi peyoteros rimasti, mi racconta che loro sono piuttosto restii a rivelare quali sono i proprietari terrieri che concedono loro la terra per la raccolta del peyote. In un decennio di ricerche, Davis ha detto di essere riuscita a parlare solo con un proprietario terriero nella regione dei giardini del peyote.

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Bottoni di peyote lasciati a seccare su un tavolo a casa di Salvador Johnson a Mirando City, Texas. Immagine: Kelvin Box/VICE

“Capisco perché i peyoteros non vogliano diffondere i nomi dei propri proprietari terrieri di fiducia,” spiega Davis. “È un business, e rivelare i loro nomi potrebbe favorire la concorrenza, fargli perdere mercato. E potrebbe anche essere vista come una mancanza di rispetto da parte dei proprietari dei ranch che non vogliono fare sapere quello che fanno delle proprie terre.”

Il problema, tuttavia, è che parlare con i proprietari terrieri e spiegare loro l’importanza della tutela del peyote che cresce nel loro terreno è l’unico modo per preservare queste piante sacre. Sebbene esistano vie legali per proteggere il peyote, Davis dice che questa soluzione “farebbe soltanto arrabbiare i proprietari terrieri.”

“Gran parte della mia ricerca si concentra sul dialogo con i proprietari delle terre per cercare di capire qual è la loro percezione della pianta,” spiega Davis. “È proprio questa la chiave per risolvere il problema nel paese.”

IL FUTURO DEI GIARDINI DI PEYOTE IN AMERICA

Oltre tre quarti dell’habitat naturale del peyote si trovano in Messico, dove il cactus è protetto da una legge federale ma minacciato dall’estrazione intensiva dell’argento praticata nella regione. Negli Stati Uniti la situazione è diversa, e il peyote non è mai stato riconosciuto come una pianta a rischio e non è protetto da nessuna legge statale o federale.

Nel 2011, Davis ha fatto visita ai giardini di peyote per la prima volta e ha incontrato Johnson. Davis racconta che Johnson osserva tutti i metodi più accurati per garantire la conservazione della pianta, come ad esempio seguire dei cicli e raccogliere in zone sempre diverse, ma questo non ha comunque arrestato il calo del raccolto, sia in termini di numeri che di dimensioni dei bottoni. Oggi, la più grande minaccia alla preservazione del peyote è lo sfruttamento intensivo della terra, i furti e la raccolta non autorizzata e il passaggio dei maiali selvatici—problemi che non possono essere risolti dai singoli peyoteros.

Per questo motivo, i membri della Chiesa nativa americana hanno iniziato a considerare la possibilità di coltivare peyote per ovviare alla grave scarsità di piante naturali in Texas. Davis mi spiega che ci sono sempre più indigeni che coltivano peyote in serra, negli Stati Uniti, ma che questa è soltanto una soluzione temporanea al problema. Il suo obiettivo è quello di creare degli incentivi per i proprietari terrieri affinché incoraggino la preservazione del cactus, come esenzioni speciali o agevolazioni alla tutela.

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Bottoni di peyote seccati. Immagine: Kelvin Box/VICE

Uno dei problemi principali è quantificare la portata del problema. Per farlo, Davis ha sviluppato un programma che usa tecnologie satellitari per tracciare le coltivazioni di peyote nella regione meridionale del Texas. Ma, nonostante questo, la ricercatrice dice che sarà necessario l’intervento della DEA per dare nuovo slancio alle coltivazioni e agevolare la preservazione dell’habitat naturale della pianta. Nonostante l’Indian Religious Freedom Act sia in vigore dal 1978 e sia stato modificato nel 1994 per tutelare i diritti degli indigeni a fare uso di peyote per motivi religiosi, la DEA considera ancora il cactus nella categoria delle sostanze “senza uso medico consentito” al momento. E questo rende molto difficile la vita dei peyoteros.

“Quando vai a chiedere la licenza, non è così semplice, non basta riempire un questionario e tornare una settimana dopo,” spiega Davis. “È un procedimento complesso. Vogliono sapere tutto di te, della tua famiglia, dei tuoi amici. Fanno una ricerca molto approfondita.”

I peyoteros sono il punto di congiunzione tra i proprietari terrieri e i peyotisti che Davis considera fondamentali per la preservazione della pianta. Infatti, il loro business li rende i principali difensori della specie. Se la DEA non concede licenze a nuovi peyoteros, i membri della Chiesa Nativa dovranno ben presto iniziare a raccogliere il peyote in autonomia, cercando di stringere contatti con i ranch, e assicurandosi di praticare un raccolto sostenibile. Allo stesso tempo, ora che il dipartimento per sicurezza pubblica in Texas non chiede più ai peyoteros di comunicare i propri dati di vendita, è quasi impossibile per i ricercatori come Davis valutare la situazione attuale e la crisi in corso.

Johnson, ad esempio, non è del tutto soddisfatto della definizione di crisi da parte dei ricercatori. Dal canto suo, dice di essere sempre riuscito a soddisfare le richieste dei propri clienti e che i ricercatori che parlano di crisi di preservazione non conoscono il quadro generale.

“Chi fa ricerca viene qui solo una o due volte all’anno, e poi si dicono esperti, ci vogliono insegnare a coltivare e a raccogliere,” dice Johnson. “Non hanno alcuna esperienza diretta e non sono mai stati in un vero giardino a raccogliere il peyote.”

“Ho un grosso problema con tutti quelli che dicono che il peyote è in calo, perché in qualche modo si stanno dando lo stesso ruolo che ha Dio, ovvero colui che ha messo il peyote su questa terra,” aggiunge Johnson. “Noi raccogliamo quello che Dio ci dona. E non abbiamo alcun controllo su questo.”

In un momento in cui negli Stati Uniti è in corso quello che la Multidisciplinary Association for Psychedelic Studies ha definito “il rinascimento psichedelico,” il peyote è purtroppo spesso dimenticato negli studi, rispetto ad altri enteogeni, come per esempio l’ayahuasca. Secondo Davis, questo sarebbe dovuto all’associazione diretta tra il cactus e la religione indigena. Per ora, il futuro dei giardini di peyote negli Stati Uniti sembra piuttosto incerto e cupo, ma i ricercatori come Davis sono convinti che la situazione si debba e si possa cambiare.

“Il lavoro che faccio è più grande di me,” dice Davis. “Anche se togli l’aspetto religioso, c’è una pianta che è a rischio di estinzione. In un modo o nell’altro, ha bisogno di essere tutelata.”

Questo articolo è apparso originariamente su Motherboard US.