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La pinsa, l’antichissima pizza romana che non è antica per nulla

Pinsa romana antica roma

Si racconta di come questo piatto sia una rivisitazione della pinsa degli antichi romani e che per farla si usa un mix di farine diverse dalle solite pizze come farro, miglio e orzo. Peccato che non siano nemmeno i cereali con cui la pinsa è nata.

Tra le tradizioni ormai accreditate del cibo romano, da qualche anno è da annoverarsi anche la pinsa. Una sorta di pizza, anzi , meglio un ovale focaccioso fatto con un impasto particolare da condire come sostanzialmente come si vuole. In questi anni, dove anche il bar sotto casa ha mire gourmet, la pinsa ha trovato il suo habitat naturale e la sua diffusione è stata rapida, sistematica e capillare.

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Ovunque, imprenditori che si buttano nel mondo della ristorazione hanno capito che la pinsa è il prodotto giusto: si ha la sensazione che sia una novità, è più piccola di una pizza normale, ha una forma diversa e il fatto di essere costituita da diverse farine la fa apparire più leggera.

In Italia, secondo i dati Nielsen, il consumo di pinsa è nel 2020 cresciuto del 184% (+600% negli ultimi due anni) e ci sono aziende di distribuzione, come Pinsalab, che nell’ultimo anno hanno fatturato un’enormità, più di 10 milioni di euro.

La storia, falsa, della Pinsa

Se almeno una volta siete passati davanti a una pinseria, avrete sicuramente letto la storia della pinsa, come alimento antichissimo tramandato dai romani. Una delle più grandi bufale del mondo enogastronomico moderno.

Qualcuno scrive che anche Virgilio narrasse nell’Eneide di questa pinsa. Addirittura sul sito pinsaromana.info, che dal nome ci si aspetterebbe essere la massima autorità della pinsa, si racconta di come questo piatto sia una rivisitazione della pinsa degli antichi romani e che per farla si usa un mix di farine diverse dalle solite pizze come farro, miglio e orzo. Che ci potrebbe stare, perché almeno due di questi —farro e orzo— erano i cereali frequentemente usati, seguiti dal miglio. Peccato che non siano nemmeno i cereali con cui la pinsa è nata.

La pinsa in senso di storia antica popolare è, insomma, una grande bufala. Tutt’al più nei testi latini si citano molte focacce, soprattutto come dono agli Dèi. Ma nessuna traccia, da nessuna parte, del termine pinsa.

La vera origine della pinsa

A questo punto è lecito chiedersi: e quindi da dove viene questa pinsa? E come è successo che sia stata accreditata come cibo popolare degli antichi romani? La risposta non è stata difficile da trovare. C’è un uomo, un panettiere, che se l’è inventata di sana pianta. Sia la ricetta sia il marketing diventato poi leggenda. Il suo nome è Corrado Di Marco.

Il mercato delle pizzerie sembrava sul punto di esplodere e così al signor Di Marco viene un’idea: facciamo una pizza che sia una pizza ma allo stesso tempo non lo sia.

“Mio padre viene da una delle più antiche famiglie di panificatori di Roma,” mi spiega Alberto Di Marco, export manager di quella che è ormai un’azienda che produce farine per pinsa e pinse già pronte per tutto il mondo. “Già negli anni ‘70 cercava di pensare il mondo della pizza in maniera diversa: a quel tempo le pizze erano pesanti, lievitate poco e spesso fatte con aggiunta di strutto.

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L’impasto della pinsa. Foto per gentile concessione di Alberto Di Marco

E così pensò a una linea di farine leggere, “Pizzasnella”. Pizzasnella non ebbe successo per niente, almeno all’inizio. Alla gente in fondo piaceva la sua pizza unta e bisunta e il periodo delle diete-detox era lontana. Tenendo duro, negli anni ‘90, Corrado Di Marco partecipa ai mondiali della pizza con la sua creazione e vince praticamente tutti i premi disponibili.

“Nel 2001 mi ricordo che papà venne da me e mi disse di aver avuto un’idea che avrebbe rivoluzionato il mondo della pizza,” continua Alberto Di Marco. “In tutti gli anni ‘90 le pizzerie erano aumentate a sproposito, quindi il costo si era abbassato (costava circa 1 euro e 40 una margherita) e rimaneva basso.” Il mercato delle pizzerie sembrava sul punto di esplodere e così al signor Di Marco viene un’idea: facciamo una pizza che sia una pizza ma allo stesso tempo non lo sia. Gli cambiamo la forma, gli diamo un nome accattivante, storico e vediamo che succede.

Oramai non si chiamano più pizzerie, ma direttamente pinserie. Sorgono come funghi e immancabilmente troverete la storia della pizza ancestrale amata dagli Antichi Romani sulle lavagne all’ingresso.

“Sembrava una follia, invece in 20 anni si sono aperte migliaia di pinserie in tutto il mondo e noi siamo i principali rifornitori di farine e pinse già fatte. Abbiamo più di 5000 clienti in tutto il mondo.”
La ricetta originale della pinsa, che a questo punto è decisamente più moderna di una antica focaccia romana, prevede un mix di: farina di frumento, farina di soia, farina di riso e pasta madre. Farro, orzo e miglio non c’entrano proprio niente.

E però nell’immaginario comune si associa ancora questo ovale di pizza leggero a quei cereali, che fanno tanto dieta dei gladiatori: orzo e farro tra tutti. Come è stata possibile una roba del genere, ormai totalmente fuori controllo? “Mio padre ebbe l’idea di chiamarla pinsa riprendendo il latino pinsere, “schiacciare,” mi dice ancora al telefono Alberto Di Marco. “Avendo proprio depositato il marchio del nome pinsa, abbiamo pensato di arricchirlo con qualche storytelling sugli antichi romani. La cosa faceva molto gioco ai ristoratori, catturava l’attenzione dei clienti, li affascinava.” Un giornalista, andato a mangiare a La Pratolina, allora il primo locale con pinsa in Italia (ne fanno più di 30 tipi, NdR), aveva usato il nome per la prima volta e così è partito il mito pinsa.

Pinserie e pinserie

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La pinsa di Number One, Rende, Cosenza. Foto per gentile concessione di Wlady Nigro

Oramai non si chiamano più pizzerie, ma direttamente pinserie. E, seppur mantenendo saldamente lo storytelling romano —i risultati di Google danno quasi sempre pinsa romana, non pinsa e basta— questo ovale condito è qualcosa in cui diversi pizzaioli credono e investono tempo, studiandolo e sperimentando.

È il caso, per esempio, di Lorenzo Fortuna, mastro pizzaiolo in provincia di Cosenza e della sua pizzeria/pinseria Number One. Cosenza è una di quelle città dove le pinserie nascono ovunque, tanto che molte pizzerie hanno sempre due versioni sul menu: pizza e pinsa.

“Otto anni fa, quando c’è stato l’avvento della pinsa in tutta Italia,” mi ha raccontato Lorenzo Fortuna al telefono, “mi sono innamorato di questo prodotto. La farina di riso permette all’impasto di inglobare più acqua e in pratica è molto più leggero. Ho fatto dei corsi con Corrado Di Marco, mi sono piaciute le sue farine e grazie alla pinsa ho anche vinto dei campionati di pizzaioli.” Oggi anche Lorenzo ha una sua linea di basi per pinsa e l’evoluzione qui è stata l’aggiungere ingredienti come zafferano o curcuma all’impasto per dare un prodotto già diverso.

La pinsa, come dimostra questo pizzaiolo calabrese, non è quindi esente da evoluzioni. Prendiamo anche il caso a Genova, altra città dove le pinserie sono di casa, dove da qualche anno esiste la spianata genovese, che altro non è che una pinsa leggermente modificata, diventata abbastanza famosa grazie al lavoro di uno storico locale della città: l’Antica Vaccheria di proprietà di Fausto Malerba.

Anche se la storia della pizza ancestrale romana non esiste, e continueremo a leggere sulle lavagne all’ingresso dei locali aneddoti sull’Antica Roma, sappiate che, come tutti i piatti, anche la pinsa non è esente da evoluzioni.

Una bugia/leggenda che ha preso il sopravvento sulla verità, ma che in fondo non fa male a nessuno.

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