La letteratura, come la storia, è più facile da analizzare a posteriori. Quando la vivi, ogni evento, ogni libro ti sembrano essenziali per il quadro generale. Pensando agli ultimi dieci anni, un lettore vorace avrebbe in mente più titoli fondamentali di quanti questa lista riuscirebbe a contenere. Non necessariamente i migliori del decennio, ma quelli che in qualche modo l’hanno caratterizzato. E sarebbe comunque una lista parziale, legata a stili e categorie.
Proprio per questo abbiamo pensato a una lista dei libri del decennio non convenzionale, chiedendo ad alcuni lettori agli antipodi i titoli che più hanno amato.
Videos by VICE
Nadeesha Uyangoda
Giornalista con un libro in fase di stesura, nonché l’autrice di questo pezzo.
Se qualcuno mi chiedesse chi sia la mia scrittrice preferita, non avrei dubbi: Zadie Smith. I suoi libri, a partire dall’incredibile Denti bianchi (2005, Mondadori) e fino al più riuscito, NW (2013, Mondadori), sono stati per me un rito di passaggio. Smith è uno di quegli autori che si proiettano verso altri—D.F. Wallace, J. Joyce, E.M. Forster. Da leggere per inquadrare una penna che ha segnato la letteratura contemporanea.
Negli ultimi anni di questo decennio abbiamo visto uscire diversi romanzi sul tema della razza, eppure ritengo pochi centrati quanto Lo schiavista (2016, Fazi). Paul Beatty ci mette davanti a un nero che, per aver ripristinato la segregazione razziale e lo schiavismo in un ghetto alla periferia di Los Angeles, finisce davanti alla Corte Suprema. La trama è un insieme di personaggi grotteschi e situazioni paradossali in cui Beatty sposta continuamente il confine del politicamente scorretto, prendendosi gioco di tutto (e di tutti): dai difensori della blackness ai pregiudizi e stereotipi razziali, dalla cultura afroamericana ai paladini dei diritti civili, al poliziotto dal grilletto facile. Fare satira del razzismo (e dell’antirazzismo, per quel che conta), è facile, basta esasperare la realtà, ma—diciamolo—pochi oggi hanno il coraggio di farlo.
Della letteratura italiana contemporanea, che non ho letto assiduamente, cito Donatella Di Pietrantonio e in particolare L’Arminuta (2017, Einaudi), e per similitudine di tematiche anche Accabadora (2009, Einaudi) di Michela Murgia: in entrambi le protagoniste sono due figlie, figlie due volte, nate “dalla povertà di una madre e dalla sterilità di un’altra.”
In questi anni, infine, ho cercato di leggere la versione della storia, sia quella in maiuscolo che in minuscolo, raccontata dal punto di vista che non ha mai occasione di parlare. Allora mi sembra azzeccato concludere con Il simpatizzante (2016, Neri Pozza) di Viet Thanh Nguyen. Immigrato vietnamita, arrivato negli Stati Uniti da bambino, naturalizzato americano, Nguyen ci racconta la guerra in Vietnam da una prospettiva inedita. Un protagonista senza nome, ambiguo e acuto, ci narra un pezzo di Storia, e di America, complesso.
Claudia Durastanti
Scrittrice e traduttrice, con il suo ultimo romanzo, La straniera (2019, La nave di Teseo), è entrata nella cinquina finale del Premio Strega. Vive a Londra, dove nel 2017 ha ideato il Festival of Italian Literature in London.
Ad anni di distanza, non ho ancora trovato un romanzo (americano e non) che sappia tenere insieme sentimento e sperimentazione come Il tempo è un bastardo, Jennifer Egan (2011, Minimum Fax). Ha inciso molto sul mio modo di cercare una lingua accessibile e calda senza perdere di vista tutta la complessità del tempo che passa e di come si sposta la memoria. In questo lo associo a Versioni di me di Dana Spiotta (2013, Minimum Fax), altro testo fondamentale di questi ultimi dieci anni.
Ho sempre amato scrittrici che si occupano di arte contemporanea e che non cercano riferimenti solo nella storia della letteratura e in altri romanzi. Maggie Nelson e Rachel Kushner si sforzano sempre di restituire un mondo più reticolare al lettori, ma la mia preferita è in assoluto Chris Kraus.
Con il suo romanzo d’esordio, Preparativi per la prossima vita (2016, Rizzoli), Atticus Lish ha invece riportato in scena due cose di cui sentivo la mancanza: una New York nascosta, slabbrata e marginale, fatta di persone che lavorano da mattino a sera e a cui viene negata la cittadinanza ai margini del Queens, lontanissima dalle cene editoriali dagli intellettuali bianchi giovani e tristi, e una storia d’amore quasi da cinema anni Settanta.
Per ultimo cito un autore non ancora pubblicato in Italia: John Keene, che ha scritto uno dei libri più misteriosi che abbia letto in questi ultimi anni—nel senso che non lo capisco ancora bene e il mistero si rinnova ogni volta che lo prendo in mano. Counternarratives (2015, New Directions) è una raccolta di articoli, aneddoti, appunti e leggende a sfondo storico immaginarie ma plausibili, o vicinissime a come potrebbe essere andata.
Elena Giorgi, @lettricegeniale
Bookblogger milanese, gestisce Absolute Beginners, un gruppo di lettura dedicato agli scrittori esordienti.
Tra gli esordienti italiani che ho preferito negli ultimi mesi, non posso non citare il caso editoriale dell’anno, Fabio Bacà, e il suo Benevolenza cosmica (2019, Adelphi). Un romanzo sorprendente per stile e trama dal respiro internazionale, rivelatore di un raffinato talento narrativo. Allargandoci al decennio, indimenticabile l’esordio di Carmen Pellegrino con Cade la terra (2016, Giunti), che con una scrittura evocativa e potente ci parla di memoria, di morte, di anime ferite che si auto rigenerano nel ricordo, mentre un paese frana verso l’oblio.
Guardando all’estero, l’irlandese Sara Baume ha esordito con il suo primo romanzo, Fiore frutto foglia fango (2018, NN Editore). È la struggente storia di un uomo profondamente solo, che trova una ragione di vita in un cane randagio brutto e malandato. Un libro che consiglio a tutti di recuperare, per la bellezza della scrittura ma soprattutto per la profondità dei personaggi.
Credo che ogni esordiente possa poi diventare scrittore in pianta stabile se ha al suo fianco una casa editrice che investe nel suo talento. Tra gli autori passati dal mio gruppo di lettura Absolute Beginners, voglio citare Giulia Corsalini, con La lettrice di Čhecov (2018, Nottetempo). Un romanzo fortemente introspettivo, una scrittura elegante ed empatica e un’autrice che ha molto da dire sulla natura umana.
A differenza di molta editoria mainstream, quando si parla di indipendenti si può contare su cataloghi che resistono al tempo. Da qui a trovare esposti in libreria titoli pubblicati molti anni prima, il passo è meno facile del previsto. Un libro d’esordio pubblicato da una casa editrice indipendente che vorrei continuare a trovare a scaffale per molto tempo è sicuramente Guasti di Giorgia Tribuiani (2018, Voland). Probabilmente la trama più originale letta nell’ultimo decennio, con una protagonista vedova ossessionata dal corpo plastinato del compagno. Sfido chiunque a non rimanerne profondamente colpito.
Jonathan Bazzi
Autore e protagonista di Febbre (2019), il suo romanzo d’esordio e libro del 2019 per Fahrenheit. Glitch è il nome del suo bookclub.
Sicuramente uno dei libri del decennio per me è Archivio dei bambini perduti di Valeria Luiselli (2019, La Nuova Frontiera), che tratta il tema dei migranti dal punto di vista dei bambini sommando due modi di essere minoranza, e quindi oppressi. È un tentativo davvero importante di usare gli strumenti della narrazione per smuovere qualcosa nell’immaginario contemporaneo.
Altri libri importanti sono Americanah (2014, Einaudi), il terzo romanzo di Chimamanda Ngozi Adichie, che permette di immergersi nei pregiudizi e nei tabù che circondano l’identità femminile e le persone non bianche, e Venivamo tutte per mare di Julie Otsuka (2012, Bollati Boringhieri), romanzo corale che racconta una vicenda poco conosciuta, ovvero quella delle donne giapponesi (perlopiù figlie di contadini e pescatori) che all’inizio del ”900 partivano in nave per raggiungere i futuri mariti negli Stati Uniti, quasi sempre illuse su ciò che le attendeva.
Un genere che mi appassiona molto e che negli ultimi anni è diventato via via sempre più centrale nella produzione editoriale è quello della narrazione autobiografica, o autofiction che dir si voglia. Una delle autrici di riferimento è senz’altro Joan Didion: non potendo nominare il suo capolavoro L’anno del pensiero magico (non rientra nell’ultimo decennio) cito Blue Nights (2011, Il Saggiatore), come il primo dedicato al confronto con la morte (in questo caso della figlia Quintana). Sempre restando nel filone autofiction cito Annie Ernaux, autrice francese che amo molto, i cui libri sono una sorta di unica, grande autobiografia divisa per temi. Il suo Memoria di ragazza (2017, L’orma editore) racconta di un’estate del 1958, della sua iniziazione sessuale, tra trauma e liberazione.
Chiudo con il mio libro italiano del decennio: La più amata di Teresa Ciabatti (2017, Mondadori). Secondo me la voce letteraria più originale che abbiamo in Italia. Un romanzo sull’infanzia, i suoi deliri di onnipotenza e le sue ustionanti disillusioni, sulla famiglia come primo luogo in cui sperimentiamo il potere e i suoi abusi.
Marie Moise
Dottoranda in Filosofia politica presso l’Università degli Studi di Padova. Un suo racconto è recentemente uscito sull’antologia Future (2019, Effequ), ma ha scritto anche per Left, Jacobin Italia, e ha tradotto Donne, razza e classe di Angela Davis.
Tra i miei libri del decennio cito innanzitutto Necropolitica (2016, Ombre Corte), di Achille Mbembe. È un libro che arriva al cuore, perché arriva al cuore del razzismo. Mbembe lo analizza come il marchio con cui si afferma sui corpi il potere di vita o di morte, il potere che ne decreta l’umanità oppure la deumanizzazione. Ripercorrendo la storia della schiavitù, della colonizzazione, dei campi di sterminio, Mbembe traccia una dolorosa genealogia dell’odio razziale, che non può che interrogare il presente e come lo attraversiamo.
In un presente in cui il termine femminismo torna a circolare nel dibattito pubblico, ho scelto di citare la nuova traduzione italiana di Donne, razza e classe (2018, Edizioni Alegre), una pietra miliare del pensiero femminista che porta in Italia i concetti fondamentali e quanto mai attuali per ripensare il cambiamento sociale dalle fondamenta, ovvero a partire dalla comprensione di come la violenza di genere, il razzismo e le disuguaglianze tra classi sociali, non siano fenomeni distinti, ma, sin dalle loro origini, intrecciati l’uno all’altro. A teorizzarlo, non a caso è una donna nera, Angela Davis, icona storica delle lotte di liberazione che non ha mai smesso di ispirare le generazioni passate e presenti.
L’Italia non ancora fatto del tutto i conti con la sua storia coloniale. Eppure il razzismo in Italia ha origine proprio in quella storia, di cui si sono perse le tracce. Le rappresentazioni dominanti, dall’arte alla cinema alla televisione, sono pregne di questa esperienza rimossa, che alimenta la costruzione dell’identità italiana. Il colore della nazione (2015, Mondadori Education) è un eccezionale lavoro multidisciplinare che dalla riflessione filosofica agli studi visuali passando per la critica storica, culturale e letteraria, permette di tornare a nominare quella storia, scoprirla parte dei nostri linguaggi e immaginari. Un necessario lavoro che connette passato e presente, e ci permette di liberare nuovi immaginari futuri.
Carolina Capria, @lhascrittounafemmina
Autrice di diversi libri per ragazzi—La circonferenza di una nuvola (2019, Harper Collins) è il suo ultimo romanzo—sul suo profilo Instagram “parla di libri, scritti da femmine.”
È difficilissimo dire quali siano i miei libri preferiti dell’ultimo decennio, e probabilmente se mi fermassi troppo a ragionarci non riuscirei nemmeno a rispondere e sarei sopraffatta dai titoli che secondo me meriterebbero di essere nominati. Quindi mi affido all’istinto e mi limito a due: Alice Munro con La vita delle ragazze e delle donne (2018, Einaudi), e Chimamanda Ngozi Adichie, con Americanah (2014, Einaudi). Sono libri per far conoscere due scrittrici contemporanee, ben radicate nel nostro mondo e nel nostro tempo.
Io non credo che gli uomini eccellano in alcuni generi e le donne in altri, ma è pur vero che riteniamo—sbagliando—che per esempio, gli uomini siano più bravi a scrivere di fantascienza, di storia e in genere a strutturare storie che prevedano suspence e azione. Basta però leggere Ursula Le Guin (Lavinia, 2011, Cavallo di ferro), Stefania Auci (Florence, 2015, Baldini + Castoldi), e Gyllian Flynn (L’amore bugiardo, 2012, Rizzoli) per sgretolare questo preconcetto.
Se devo pensare a un’autrice che, stilisticamente parlando, ha lasciato più il segno nella letteratura degli ultimi dieci anni, devo nominare senza dubbio Annie Ernaux (L’altra figlia, 2016, L’orma editore).