Música

Non ne potete più dei soliti testi trap? La soluzione è il poetry slam italiano

poetry slam italia

Nota: Dal poetry slam si sono diramate molte esperienze sperimentali di spoken word, poesia performativa, raccolte di poesia scritta, sostenute da grandi realtà come LIPS e collettivi in tutto il territorio nazionale

“I see no changes / All I see is racist faces”, diceva 2Pac” Il rap non è stato solo il mio genere musicale preferito ma un processo di autodeterminazione personale. Chuck D definì il Rap “La CNN dei poveri”, la parola degli oppressi che non si dicono vinti: era esattamente la lezione che volevo, un ottimo doposcuola che mi portò a prendere coscienza della vita. Ero stufa di sentirmi al margine della società, la poveretta, la marocchina immigrata figlia del Vucumprà.

Videos by VICE

Storicamente, il rap ha una scrittura che si contrappone alla sottomissione e al vittimismo. Definisce un immaginario di resistenza e denuncia verso le ingiustizie che si vivono nel quotidiano attraverso storie vissute. Oggi il linguaggio del rap viene usato anche solo in quanto tale, senza rispecchiare un’esperienza e una realtà, ma ci manipola finché non ci rendiamo conto che dobbiamo prenderlo in pugno. È così che i rapper usavano la parola n***a per esempio: all’inizio io la consideravo solo un insulto, poi ho capito che può essere una rivendicazione di valore e orgoglio.

“L’afroamericano nasce come linguaggio di resistenza alle pratiche di repressione razziale, che più di tutte ha condizionato lo slang nel linguaggio rap.”

In questo senso, la lingua è un luogo da condividere, un confine da attraversare. Come spiega Anna Taronna nel suo saggio Black Englishes, la lingua parlata dalla comunità afroamericana nasce dalla necessità degli schiavi poi liberati e dei loro figli di emanciparsi dal controllo del padrone bianco. Lo slang del linguaggio rap, quindi, nasce come una contro-lingua, una resistenza alle pratiche di repressione razziale.

Lo slang nasce quindi dalla voglia di “riprendere possesso di se stessi, riconoscersi, riunirsi, ricominciare”, spiega Taronna. Nigga, quindi, è una parola comunitaria. Circola in maniera quasi esclusiva nei discorsi della comunità afro-americana come sinonimo di male, guy, boy e talvolta friend, brotha, homie, in contrapposizione alla diffusione del termine nigger usato dagli americani bianchi con accezione razzista. Il punto non era imitare la parola, ma manipolarla dandone una opposta connotazione.

wissal houbabi
Wissal Houbabi

Questo esempio specifico è solo per spiegare il potenziale che può avere il linguaggio se si va alla radice e ci si riappropria strappandone le redini, consapevolmente, delle parole che si fanno idea e poi azione. È un processo molto importante ed era, secondo me, la chiave da cui partire per spiegare come le periferie, sia fisiche che sociali, possano essere raccontate al meglio non solo dalla trap, ma anche da una cosa chiamata spoken word.

A darmi gli strumenti utili per capire la mia condizione di immigrata in Italia sono stati discografie e libri di storia degli afroamericani. Hanno definito il mio carattere e i miei obiettivi e mi sono resa conto che il potere che quelle parole avevano scatenato in me dovevano uscire dalla mia stanza e contaminarsi nella strada. La carica si era scatenata da pezzi come “Batti il tuo tempo,” “Stop al panico!“, “Potere alla Parola,” “Lingua Ferita,” “Il Vero Nemico,” “Piombo e fango.” Se ho iniziato a fare politica attivamente è quindi grazie alla forza del rap che a sua volta prende corpo, qui in Italia, dall’antagonismo politico.

“Il linguaggio politico era poco accessibile, escludente. È così che ho iniziato a scrivere in rima.”

Durante i primi anni di attivismo mi venne da riflettere sulla forza comunicativa che avevano i messaggi che sentivo nelle strade. Il linguaggio politico era poco accessibile, escludente, e così spostava l’attenzione dal messaggio alla sua forma. È così che ho iniziato a scrivere in rima, con in mente le persone che scendevano con me ai cortei e alle manifestazioni. Non si può parlare di artista/pubblico, era solo questione di buttare fuori le nostre esigenze rendendo il messaggio più diretto e orecchiabile, sperando che rimanga qualche verso in testa. Proprio come i rapper.

I tempi però sono cambiati. Essere un rapper, oggi, non significa solo fare comunità ma anche essere individualisti. Il rap come lavoro è un’ambizione, una categoria nei talent show e nei contenitori ufficiali come Sanremo. Tutto naturale, dato che è il genere più diffuso al mondo tra i giovani, ma questo non significa che si sia diffuso il potenziale che ne deriva: l’urgenza comunicativa e la volontà di spalleggiare per esprimersi.

Anche se ci diciamo che non è così, la realtà è che non serve più sapere da dove viene un rapper, che rapporto ha con il proprio quartiere o se ha realmente qualcosa da dire.

Si può tranquillamente ascoltare rap in radio ignorando completamente le sue origini, i numeri su Spotify e YouTube sono il metro di misura per capire il valore che ha un rapper. Anche se ci diciamo che non è così, la realtà è che non serve più sapere da dove viene un artista, che rapporto ha con il proprio quartiere o se ha realmente qualcosa da dire.

Più che “CNN dei poveri”, oggi abbiamo quindi a che fare con influencer e superstar che rappresentano se stessi ed il marketing che si sviluppa attorno alla loro immagine. Naturalmente non c’è nero o bianco in nessuna scelta, però è importante fare questa considerazione di metodo. E ovviamente ci sono rapper che continuano a svolgere un lavoro sul territorio, organizzano laboratori di scrittura nelle carceri o per associazioni di volontariato. Ci sono rapper che riescono a far sentire la propria voce continuando a gravitare attorno a produzioni indipendenti per scelta sapendo che non è facile.

slam x
Fotografia dell’ultima di edizione di Slam X al CSOA Cox18 di Milano

L’underground è insomma una scusa per tanti, ma non per tutti. È una cosa che ho capito un paio di anni fa quando per caso mi è capitato di partecipare al mio primo poetry slam. Ero al Cso Django di Treviso e avevo ricevuto un invito da Lorenzo Feltrin, compagno e fratello di Alberto Dubito, un rapper-poeta trevigiano che si è suicidato a vent’anni nel 2012.

Cos’è un Poetry Slam? È una sfida non competitiva che vede come protagonista la Poesia stessa. E come funziona? Gli/le slammer hanno tre minuti di tempo per leggere un proprio testo, ci sono due manche più la finale al quale accedono i/le due slammer che avranno avuto il punteggio più alto. La giuria viene estratta a sorte dal pubblico. È composta da cinque persone e deve dare un voto da uno a dieci; dal quale si toglie il voto più alto e quello più basso. Il gioco inizia con un sacrifice, una poesia fuori gara che ha come fine quello di riscaldare il pubblico, sciogliere il ghiaccio e far capire alla giuria come ci si deve inserire nel processo.

Esattamente come per il rap, il poetry slam è una forma d’arte che nasce dalla strada e ha bisogno di un maestro di cerimonie che diriga la sfida.

Esattamente come per il rap, il poetry slam è una forma d’arte che nasce dalla strada e ha bisogno di un maestro di cerimonie che diriga la sfida. Lo scontro è dialettico e si concentra sulla performance, sul rapporto che si riesce a innescare con il pubblico. È molto più simile allo spirito che si genera in un cypher che ad una vera e propria battle rap, per intenderci. Ogni poetry slam genera nuovi incontri e, abbattendo al massimo la competitività, si promuove un maggior senso di comunità e interscambio reciproco.

A quale fine? Dare vita ad una scena di poesia contemporanea fertile accogliendo persone che vengono da ambiti diversi. C’è chi viene da studi di filologia classica, chi viene dal rap, chi dal teatro, chi viene dalla musica sperimentale ,e avanti così. Approcci diversi alla parola che si incontrano in uno spazio ibrido per poter generare qualcosa di nuovo, mai scontato, come il gruppo di spoken word Mezzopalco per esempio, uno dei progetti di sole voci più riusciti. Ciò che affascina maggiormente è proprio la contaminazione che la comunità fluida genera dal basso.

1586968529313-Mezzoopalco5_Eruzioni19_ph-MariaRotolo
Mezzopalco, fotografia di Maria Rotolo | installazione visiva di En Kružíková e Elisa Capucci per Poverarte Festival 2018

Alla fine di quel mio primo poetry slam rimasi colpita da ciò che avevo visto, dalle storie che mi erano state raccontate su Alberto Dubito e dalla comunità ibrida e compatta di attivisti, rapper, poeti e poetesse che era nata per portarne avanti il ricordo. Nei suoi testi raccolti in Erravamo giovani stranieri usava proprio quella rabbia che cerco e che provo: “Devo scrive il mio tempo prima che lui scriva me, come dare forma al mio secolo prima di adagiarmi inconsciamente sulla sua. Devo scriverlo perché quello che non scrivo mi limita fino a quando non diventa limite di carta e se non mi limito è perché correndo tra le città teatro io brucio dentro, mentre fuori nevica e non rifiuto il futuro: sai, non conviene. Ma preferisco bruciare bene e bruciare in fretta, quindi, mon frère, seguimi per mille miglia e dammi retta, ti prego dammi retta. Dalle periferie arrugginite fino al centro storico, di fretta [Non c’è più Tempo] ».

Parlava anche di me e lo faceva con la grinta di un ragazzo che sente l’urgenza di esprimersi, quella rabbia autentica che brucia dentro e permette di sfogare addosso alla propria generazione quelli che sono i mali delle nostre periferie, proprio quel margine come “un luogo da abitare, capace di offrirci la possibilità di una prospettiva radicale da cui guardare, creare, immaginare alternative e nuovi mondi”.

“Devo scrive il mio tempo prima che lui scriva me, come dare forma al mio secolo prima di adagiarmi inconsciamente sulla sua” – Alberto Dubito

Santa Bronx è il nome che Dubito ha dato a un quartiere di una delle periferie da lui percorse, Santa Bona, dove è cresciuto: arrugginite, corrose da miliardi di passi, incrostate da disillusioni infinite, che abbracciano città addormentate e narcotizzate. Nel suo primo disco insieme al suo gruppo Disturbati Dalla CUiete, La frustrAzione del lunedì, affronta il collasso sociale e le crisi interiori, facendo la tara tra ideali e quotidianità, “al netto della mancanza di futuro che tutti gli profetizzano da quando sanno leggere e scrivere”.

Dalla periferia vengo anch’io, da una piccola frazione sperduta in Umbria lontana dalle possibilità delle metropoli. Dalla quella di New York è nata la cultura hip-hop che si è diffusa in tutto il mondo ed è forse questo il sentimento che ci ha uniti, facendomi sentire compresa e rappresentata. La periferia, intesa come marginalità, ha in sé il potenziale per generare nuova luce, ribaltando la percezione. Possiamo considerarla come sguardo privilegiato e scostato dal centro che è cieco. È “un luogo capace di offrirci la possibilità di una prospettiva radicale da cui guardare, creare, immaginare alternative e nuovi mondi”, scrive bell hooks.

vittorio zollo
Vittorio Zollo x Mezzopalco, fotografia di Maria Rotolo | installazione visiva di En Kružíková e Elisa Capucci per Poverarte Festival 2018

“Le periferie sono l’unico luogo dove sia possibile ridare senso a parole ormai logore, dove sia possibile suonare una musica che non accompagni la lotta, ma che sia essa stessa lotta,” dice Paolo Cerruto, segretario del Premio di poesia con musica Alberto Dubito. Anche lui, come me, si è avvicinato alla poesia grazie alla politica. Il premio per cui lavora fa parte del festival milanese Slam X organizzato da Agenzia X uno di quei eventi imprescindibili per la comunità slam poetry italiana.

Il bando, aperto ogni anno da aprile ad agosto, è rivolto a poeti, performer, rapper e cantautori; chiunque sperimenti con la voce e le note. Da sette anni una giuria di qualità ascolta e premia le esperienze under 35 più significative di tutta Italia. L’ultima edizione l’hanno vinta due ragazzi di Palermo, con un progetto chiamato Astolfo 13, che hanno riscritto alcuni episodi dell’Orlando furioso in chiave rap e spoken word, su basi di elettronica.

https://soundcloud.com/lalunadiastolfo/sets/1516ep

Il parallelismo con Santa Bronx emerge nella percezione che gli Astolfo 13 hanno della propria città di origine: Palermo “produce una quantità di macerie (rifiuti, animali randagi, luoghi abbandonati), combustioni (mercato/supermecato; urbanizzazione/centro storico ecc.) bellezza e stranezza che è sostanzialmente impossibile non cavarne nulla: qualsiasi abitante di questo circo ti darà sempre la stessa cosa, cioè che lo odi e lo ami, simultaneamente, senza sconti o scompensi.” A parlare è Giulio Musso, voce e testi di Astolfo 13, che concepisce la scrittura come modo per metabolizzare le contraddizioni laceranti del mondo in cui vive, cioè del capitalismo.

Da questa idea di valorizzazione dal basso dei luoghi e delle persone che li animano, per esempio, nasce il progetto “Guide Percettive” dei poeti Toi Giordani e Vittorio Zollo, membri del Collettivo Zoopalco. Nel progetto site-specific GP, ad esempio, associano il poeta alla figura di “antenna”: “è la figura capace di mettere al servizio di un luogo la propria scrittura e la propria pratica espressiva”. Vittorio, che vive a San Leucio del Sannio, un paesino in provincia di Benevento, sottolinea come la sua idea fosse proprio questa: “la poesia doveva entrare nei luoghi in cui non era mai stata”.

1586968625315-GuidaPercettivaFragneto_ToiGirodani_VittorioZollo_phVittorioZollo
Toi Giordani e Vittorio Zollo a San Leucio del Sannio

A quale fine? A dar nuova linfa vitale! San Leucio del Sannio, però, come molti borghi che sono tanto preziosi e custodi della tradizione e della cultura orale, vivono una condizione critica di spopolamento e isolamento; l’obiettivo, attraverso la poesia, è dare voce alle storie che rischiano di essere sommerse e schiacciate.

Siano, quindi, periferie caratterizzate da un senso di abbandono generazionale, siano metropoli svendute alla gentrificazione capitalista; siano piccoli borghi dell’entroterra che vivono una forte crisi di spopolamento, sia il mio conflitto con lo spazio che non mi ha mai riconosciuta… che sia la ricerca di nuovi orizzonti, da uno sguardo che si scosta per tentare di far risuonare i margini e gli abitanti dei margini—la poesia si fa strumento: è parola radicale in cui ogni singolo suono è potere.

Segui Noisey su Instagram, YouTube e Facebook.