Da un po’ di tempo a questa parte, a Milano ma non solo, la spermatogenesi dei locali che utilizzano ossessivamente la combo cibi spartani e declinazione “gourmet” ha superato i limiti, e ha contaminato soprattutto le cosiddette hamburgerie: sto parlando del genere di posto con sgabelli volutamente scheggiati e muri stuccati male, che mette nel menù varie qualità di carne tritata con i mirtilli e bacche di goji e che acquista praticamente il 90 percento del cheddar che viene importato in questo paese. E in un cui un pasto composto da hamburger + patatine + bevanda a scelta viene a costare 17,50 euro.
Ovviamente, questa nicchia commerciale schizofrenicamente improntata alla qualità ha finito per interessare anche chi da ben più tempo gestisce lo smercio dei panini: McDonald’s.
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Lo scorso 9 aprile a Milano ha aperto una nuova hamburgeria per fighetti: il Single Burger. Il locale, “certificato” dalla presenza di Maurizio Rosazza Prin e Andrea Marconetti, ex concorrenti di Masterchef, si è presentato come l’ennesima alternativa per “hipster” al classico mondo del fast food.
In realtà, dietro l’insegna della paninoteca si nascondeva il ghigno beffardo di Ronald pronto a sottomettere la boria di tutti coloro che sperano di mantenere la sensibilità delle papille ingurgitando prodotti apparentemente sani e di qualità. Per due giorni, infatti, il ristorante ha servito ai clienti entusiasti prodotti McDonald’s, preparati da dipendenti McDonald’s, con attrezzature McDonald’s, solo su piatti di simil ardesia.
Sabato sera, durante la cena, l’insegna del Single Burger è platealmente caduta sotto gli occhi dei clienti, mostrando il marchio del franchising più famoso del mondo, e svelando quindi quanto siano pressapochiste e superficiali le nostre sensazioni riguardo a cosa è “buono”.
È stato girato anche un video che mostra lo svolgimento dello “scherzo”.
Una volta realizzata la buona riuscita dell’esperimento, tutto l’apparato comunicativo che girava intorno alla cosa è esploso di euforia: “È stato sufficiente nascondere il marchio e mostrarci con un nuovo vestito per far parlare solo il gusto e la qualità degli ingredienti, lasciando in secondo piano i pregiudizi,” ha dichiarato Emanuela Rovere, il direttore marketing di McDonald’s. “I nostri burger non hanno nulla da invidiare per ricetta e qualità a quelli serviti nei più accreditati ristoranti.”
Su Dissapore, l’esperimento è stato descritto come “un’esca appetitosa in grado di attirare la nuova folla degli hipster del gusto, pronti a storcere non solo il naso ma qualunque altra protuberanza corporea di fronte al logo di McDonald’s, ma anche ad inchinarsi al cospetto di un hamburger che dimostri qualità da vendere, soprattutto a caro prezzo.”
Al di là dell’indubbia soddisfazione che si può provare nel vedere un mucchio di fighetti pretestuosi venir sbugiardati in modo così palese, le conclusioni a cui è giunto l’esperimento si esauriscono nella motivazione principale che ha spinto a sostenerlo.
In breve: McDonald’s, con questa iniziativa, non è riuscita a dimostrare nient’altro se non l’essenza stessa del marketing e della pubblicità, ovvero che di fronte ad un’attenta manipolazione delle informazioni, le percezioni degli esseri umani vengono distorte.
È un esperimento vecchio, e loro l’hanno saputo sfruttare. Qualsiasi studente del primo anno di una facoltà di psicologia potrebbe spiegarvi perché succede: ha a che fare con l’economia delle risorse. Gli esseri umani sono portati alle sintesi delle informazioni: informazioni che per essere incasellate e registrate vengono ridimensionate alla misura e alla natura di quelle che già possediamo. Si chiama “inibizione latente”, ed è un semplice meccanismo evolutivo.
Che i panini siano più o meno buoni passa in secondo piano. Così come passa in secondo piano la bravura dei violinisti di fama mondiale che vengono vestiti come barboni e fatti suonare in metro. Come questo si sposi con la persuasione e il marketing, non sto nemmeno a scriverlo da quanto è ovvio. Gli esseri umani si mangerebbero la merda, se fosse venduta bene.
Non avendo dimostrato niente di nuovo, quindi, rimane l’altra grande ovvietà: ovvero che McDonald’s, in quanto prima catena di ristoranti fast food nel mondo, con un fatturato di 6,99 miliardi di dollari, voleva semplicemente farsi pubblicità. È da tempo, infatti, che McDonald’s le sta provando tutte per sgomitare nel flusso della visibilità, che si tratti di convincere 20.000 disperati ad uscire di casa in pigiama pur di ottenere una colazione gratis o di mettere in dubbio la sacralità della pizza.
A quanto pare il business dei panini hipster complicati, credibilità qualitativa o meno, funziona sul serio. Ed è proprio questa azione di marketing che ne dimostra l’attendibilità: che sia McDonald’s ad aver tentato di sfatare un’apparenza è solo un elemento di rinforzo.
Un’indagine seria sulla differenza qualitativa non si sarebbe basata sulla percezione del prodotto, ma su qualcosa di oggettivo. Come ad esempio un raffronto prima-dopo sui valori dell’amilasi e della lipasi dopo aver ingerito due hamburger diversi. Ma quello in uno spot video non viene tanto bene.