A meno che non abbiate vissuto sotto una campana di vetro negli ultimi dieci giorni, sarete sicuramente a conoscenza del casino che sta succedendo in Sardegna. I pastori di capre e pecore di tutta l’isola sono arrivati al decimo giorno della loro lotta ai prezzi ridicoli del latte ovino, tra tavoli di discussione, fiumi di latte per le strade e minacce alla politica.
Ma facciamo qualche passo indietro, in caso qualcuno si fosse perso qualcosa. Da dieci giorni i pastori sardi sono in protesta per uno dei prezzi cui viene loro pagato il latte ai minimi storici. Dalla loro c’è la solidarietà di praticamente chiunque. Dai giocatori del Cagliari alle casalinghe di Varese. In sostanza ogni litro di latte di capra o pecora che questi pastori producono viene pagato circa 60 centesimi al litro dalle industrie o caseifici che lo trasformano in formaggio. E l’opinione pubblica è stata giustamente colpita dalle scene di decine di pastori che riversano migliaia di litri di latte per le strade sarde. E da Giletti che ne versa un goccino in studio.
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“La situazione sta colpendo tutta la Sardegna. Ormai sono tre giorni che abbiamo bloccato la vendita, anche se molti pastori preferiscono sempre vendere a poco piuttosto che non farlo”
Non dovrei essere io a dirvelo, si capisce che 60 centesimi al litro non copre quasi nemmeno le spese di produzione di quel latte. In alcuni casi si arrivava anche a 55 centesimi. E nonostante questo ancora molti sono i pastori che, disperati, pur di mettersi in tasca qualcosa, hanno deciso di continuare a mungere e vendere alle aziende. C’è caos, c’è paura e c’è la forza di una coesione che comincia però già a sgretolarsi. E la causa di tutto questo sapete di chi è?
Del pecorino romano a quanto pare. Quel triangolo di pecorino a pochi euro che prendete al supermercato per insaporire la vostra carbonara è la causa delle proteste in Sardegna degli ultimi anni. È il punto di riferimento per il prezzario del latte, proprio come era l’oro per l’andamento del mercato qualche tempo fa. Ma perché proprio il pecorino? Perché lo usano tutti, piace all’estero e non costa niente. La cosa divertente che la DOP del pecorino romano prende come primo territorio, prima del Lazio e di Roma, la Sardegna tutta. Da sola la Sardegna riesce a soddisfare mercato locale, nazionale e, in parte estero. Tra latte sardo e latte importato e quindi trasformato.
La bolla economica del pecorino romano è molto semplice: un anno si produce di più e invece di reinvestire nella filiera – comprando macchinari nuovi, trattare nuovi accordi con la distribuzione -, si prendono le eccedenze e si cede al gioco del mercato a ribasso degli Stati Uniti. A loro il pecorino serve, piace, e appena hanno sentito che ce n’era di più hanno pensato bene di chiederlo a prezzi stracciati. E le aziende casearie sono state ben felici di acconsentire, date anche le penali ridicole che si pagano per ogni kg di formaggio prodotto in eccesso. Roba come 0,016 centesimi di multa. Ecco, tutto questo ha portato a un crollo vertiginoso del costo del latte, a discapito dei contadini.
Quello presente in Sardegna è un vero e proprio Cartello: una delle cose più giuste da fare sarebbe l’autoproduzione
Quindi, per capirci qualcosa di più, ho contattato una pastora sarda:
Felicia Vargiu abita e fa pascolare insieme al compagno il proprio gregge dalle parti di Gonnosnò, in provincia di Oristano, un paese di 700 anime circa. L’abbiamo contattata perché, oltre ad avere un punto di vista diverso sulla questione, è anche uno dei pochi pastori che non vende il suo latte per la produzione di Pecorino, ma è comunque lesa dal gioco al ribasso.
“La situazione sta colpendo tutta la Sardegna. Ormai sono tre giorni che abbiamo bloccato la vendita, anche se molti pastori preferiscono sempre vendere a poco piuttosto che non farlo”, mi spiega Felicia, cercando di farmi capire la questione della lotta che c’è, è forte, ma poco organizzata.
“Il problema è la mentalità dei sardi. Qui in Sardegna abbiamo una grande quantità di formaggi, che vanno dal Fioresardo a prodotti di nicchia. Noi per esempio andiamo in un caseificio che non tratta per niente il pecorino romano. Quando dico che il problema è nella mentalità, è perché in molti vanno dove c’è un porto sicuro. Ci si organizza solo per il pecorino romano e si pensa solo a quello.” Il punto è sicuramente che gli industriali hanno da sempre fatto il loro gioco dettando legge sui prezzi di mercato a cui i produttori dovevano sottostare senza poter dire nulla. E poi, ogni tanto, quando il prezzo è davvero troppo basso, si svegliano con delle proteste. Una cosa simile era accaduta anche nel 2003 per esempio, quando Cagliari era stata bloccata. Ma non c’era a quel tempo sicuramente la portata mediatica dei social.
La politica si è alzata in piedi non appena i pastori hanno detto che bloccheranno la democrazia durante le elezioni regionali del 24 febbraio.
“Quello presente in Sardegna è un vero e proprio Cartello: una delle cose più giuste da fare sarebbe l’autoproduzione, ma essendosi creato un mercato solo intorno a quello, autoprodurre significherebbe in primo luogo non avere spazio per vendere.” La politica in questo caso si è svegliata abbastanza in fretta, nella solita figura da eroe poliziotto di Matteo Salvini che, dopo aver promesso viaggi, dialoghi, tavoli di trattative come fosse la cosa più facile del mondo, è tornato a mani vuote.
“La politica si è alzata in piedi non appena i pastori hanno detto che bloccheranno la democrazia durante le elezioni regionali del 24 febbraio. Ma sono solo spaventati e fanno il gioco delle industrie. Figurati che l‘ultima proposta (dopo una richiesta di almeno 1 euro da parte dei pastori) è stata di 72 centesimi al litro più degli incentivi da dare per buona parte ai produttori di formaggi. Cioè, ancora una volta non si ascolta il povero pastore.”, mi dice ancora Felicia. “Questa è gente che prende il latte da Romania e Bulgaria a due spicci per poi farci il pecorino e spazzare così l’economia dei pastori sardi.”
A questo punto, però, mi sono chiesto quale potesse essere la vera soluzione del problema alla radice. Per averla ho sentito anche un altro pastore, ma abruzzese. Gregorio Rotolo, una delle superstar dei produttori di formaggio italiano. Volevo sentirlo per avere un parere esterno e per capire quanto cambia dai pascoli sardi a quelli sulla penisola.
“Il problema sono le cooperative”, attacca Gregorio. “Se la smettessero di pensare che le cooperative siano la cosa migliore non si andrà mai da nessuna parte. Com’è possibile che per presentare un prodotto posso farlo solo se sono parte di un consorzio?” Secondo lui c’è solo un modo per combattere tutto questo. “Sono, siamo tutti vicini ai pastori sardi, ma la soluzione è quella di trasformare da sé i propri formaggi. Produrre il latte e trasformarlo. So che non è facile perché non puoi soddisfare il mercato interno e basta, ma se si trovasse un modo per fare tutto da soli, allora si può essere davvero liberi. Così facciamo in Abruzzo nella maggior parte dei casi, per dare un prodotto buono e per fare del bene alla terra, che stiamo ammazzando”.
Tra le altre cose, uno dei modi per sopravvivere come pastore, mi diceva, è quello di non fare il pastore. Di non girare con le capre, ma per l’Italia a sponsorizzarsi in tutti i modi. Anche se il suo sogno era stare al pascolo.
Considera che siamo un milione e mezzo di esseri umani e due milioni e seicentomila tra pecore e capre in Sardegna.
Ma se la soluzione proposta dall’esterno, da Gregorio, non fosse attuabile in Sardegna, allora quale potrebbe? Alzare forzatamente il prezzo del latte? “Io credo che le soluzioni siano fondamentalmente due: la prima è controllare la quantità di bestiame. Dire proprio quanto terreno hai e in base a quello quanti capi puoi possedere e multarti se ne hai di più o comunque non comprare più della quantità stabilita.”, mi dice di nuovo Felicia. “Considera che siamo un milione e mezzo di esseri umani e due milioni e seicentomila tra pecore e capre in Sardegna. L’altra soluzione invece è regolamentare. Non è più possibile accettare multe di questo tipo e non è possibile ridurre tutto ai consorzi di pecorino romano. Io e il mio compagno non facciamo trasformare nemmeno il nostro latte in pecorino, facciamo prodotti di nicchia, ma il prezzo del nostro latte è comunque soggetto a quello. È arrivato il momento di pensare anche alle persone.”
Forse è il caso anche di pensare che quel pecorino romano ti risolve il pranzo, ma ormai non ha più sapore. Ormai è un prodotto solo a base di sale, senza rischi, senza pretese, di cui per un po’ possiamo fare a meno.
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