Instagram dalle carceri

Tutti gli screenshots via Instagram

Ogni aspetto della vita moderna trova la sua degna documentazione su Instagram, e al di là di cibo e tramonti capita di trovare anche armi e soldi rubati, droghe o selfie scattati ai funerali. Tramite Instagram si può fare personal branding, documentare beni di lusso e vendere merce. In effetti, le uniche foto che non sono su Instagram sono quelle scattate all’interno delle prigioni americane.

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Gli smart phone non sono ammessi all’interno delle carceri, e la maggior parte delle volte le uniche telecamere che hanno accesso a questi luoghi sono quelle degli show televisivi approvati dalle autorità penitenziarie. La cosa più vicina alle prigioni su Instagram sono i selfie che giovani donne scattano in parcheggi, auto, o bagni dopo essersi fatte la piega ai capelli – tutte foto accompagnate dall’hashtag del nome del carcere che stanno per visitare (#rikers o #sanquentin), da quello degli indumenti che indossano (#michaelkors) o da quello che esprime il loro stato d’animo (#tooearlyforthis).

Ci sono 2.2 milioni di persone incarcerate negli Stati Uniti, e il 93 percento di queste sono uomini. Ciò significa che ci sono milioni di donne con fidanzati, mariti e partner chiusi in cella. Per loro i lunghi viaggi e le mutevoli regole imposte dai secondini sono la normalità, momenti instagrammabili come tanti altri della loto vita.

Il fidanzato di Alex Dimichel è nel carcere di Riker Island a New York. Anche se le accuse contro di lui sono state ritirate, deve scontare un anno di prigione perché quando è stato arrestato ha violato la sua libertà condizionale. Il venerdì, il sabato e la domenica le ore di visita sono di mattina, per cui Alex deve alzarsi alle cinque per andare a trovarlo; sul suo Instagram i selfie sono taggati con #morning, #tired e #goingtoseemybaby. Per arrivare al carcere di Rikers deve prendere un treno e un bus per poi passare attraverso i controlli all’entrata, quindi non riesce a vedere il fidanzato prima delle nove.

“È come in aeroporto” mi ha detto. I visitatori si mettono in fila, posizionano i propri oggetti in dei cestini che vengono fatti passare sotto i raggi x e passano attraverso il metal detector.

Quando finalmente arriva nell’ala in cui è detenuto il suo ragazzo, deve passare attraverso una perquisizione più approfondita. “Bisogna togliersi il reggiseno e scuoterlo” dice. “Tirare giù i calzini e togliersi le scarpe. Le guardie ti passano le dita sui fianchi e ti sbottonano i pantaloni. Se hai una coda, devi sciogliere i capelli e scuoterli. Ti aprono la bocca e la controllano infilandoci le dita. E per fare tutto questo ci vuole un’ora.” Come in tutte le prigioni, i telefoni sono vietati.

Un selfie nell’Instagram di Alex.

Dall’altra parte del paese, Mindy Masters ha una routine simile. Guida per almeno sei ore per raggiungere la prigione di Kern Valley State a Delano, in California, e visitare Cody, il suo fidanzato del liceo che si è preso un ergastolo 19 anni fa. Quando Cody aveva 18 anni ha rapinato un benzinaio con suo amico che durante il colpo è impazzito e ha pugnalato a morte alcune persone. Il ragazzo che ha commesso gli omicidi al tempo era minorenne, quindi è stato dentro solo sette anni; invece Cody, pur essendo disarmato la sera della rapina, ha già passato 19 anni in galera a causa di una legge che stabilisce che il complice di un omicidio debba essere condannato all’ergastolo senza condizionale. A meno che non cambi la legge, Cody resterà in galera per il resto dei suoi giorni.

“Sono sicura che i miei preferirebbero che al mio fianco ci fosse qualcuno in grado di regalarmi dei fiori o cucinarmi una cena,” mi ha detto Mindy. “Ma io non la penso così. È diverso.”

Sono tre ore di macchina da casa di Mindy a Delano quando non c’è traffico. Quando l’ho chiamata al telefono, era alla guida già da quattro ore. Si mette in viaggio tutti i sabati, e una volta al mese prende una stanza d’albergo a Delano e visita Cody sia il sabato che la domenica. La sua relazione con Cody è documentata su Instagram, dove posta selfie pre-visita e screenshot del registro delle chiamate, condivide campagne a supporto degli ergastolani e le foto fatte nella cabina per fototessere della prigione abbinate all’hashtag #highschoolsweethearts o #kvps, che sta per Kern Valley State Prison.

Foto di Mindy e del suo ragazzo Cody.

Per donne come Mindy e Alex Instagram è molto più che un semplice strumento per esprimere la propria vanità. Hashtag come #prisonwife, #visitday, e #freemybaby aiutano queste donne a mettersi in contatto tra loro e condividere storie ed esperienze. Mindy mi ha detto che Instagram è un luogo dove trova supporto senza giudizi, e che nella vita di tutti i giorni “la gente ha troppe idee e commenti negativi sul fatto che io stia insieme a un prigioniero.”

Nei commenti alle foto le donne si danno consigli su come vestirsi nelle diverse carceri. Ci sono profili dedicati alle mogli e fidanzate di prigionieri come @an_inmate_loves_me e @strongprisonwives sui quali vengono pubblicati testi motivazionali, regram delle foto delle visite e lettere e disegni inviati dai partner carcerati.

Sono sempre esistite comunità di supporto per le donne che vogliono condividere le loro esperienze sulle visite e gli amori con uomini in prigione, mi ha raccontato asha bandele, una sostenitrice della riforma delle carceri e delle leggi anti droga che ha raccolto le sue memorie in The Prisoner’s Wife, un libro in cui racconta della sua relazione con un uomo dietro le sbarre (il minuscolo del nome è voluto dalla stessa asha). “Adesso ci ritroviamo sui social media, su Instagram in particolare,” mi ha detto. “La prigione tende a isolare le persone ma socializzare è nell’indole umana.”

Avere una persona amata in carcere è come esserci dentro: sei separato non solo da muri e gabbie ma anche dalle lunghe distanze, e a volte solo arrivare in prigione puo’ essere molto difficile. Ciò che rende la prigionia ancora peggiore, mi ha detto asha, è la prassi per cui alcuni stati inviano i carcerati in strutture private fuori dal confine.

“Più le prigioni statali si appoggiano a quelle private e più le persone devono arrivare oltre confine per vedere i propri cari,” ha detto. La cosa si fa particolarmente difficile per i prigionieri delle Hawaii: quando vengono alloggiati in strutture situate in altri stati, i parenti devono letteralmente attraversare l’oceano per vedere i propri cari.

Anche potendosi permettere i costi del viaggio, le sfide non finiscono qui. “Ci può essere un tipo di regola che viene interpretata diversamente a seconda della guardia che la famiglia incontra,” ha detto asha. A Rikers, Alex ha visitato molte volte il fidanzato con il piercing al labbro, ma una volta la guardia l’ha notato e ha minacciato di non lasciarle toccare il fidanzato durante la visita se non se lo fosse tolto.

I vestiti delle donne in visita vengono scrupolosamente controllati dai secondini, che sono spesso liberi di penalizzarle o bullizzarle. Quando asha aveva vent’anni, durante le visite a suo marito dice di aver sofferto “forme subdole di molestie sessuali che in realtà succedono a tutte le mogli di carcerati, specialmente quando sono giovani.” Una volta fu costretta a togliersi il reggiseno e a metterlo in una borsa, un’altra fu forzata a tirar fuori e sbandierare i perizomi che aveva nella valigia, il tutto davanti ad un gruppo di persone.

Anche Mindy è stata messa in difficoltà molte volte. “Una volta una guardia si infastidì per un vestito che avevo indossato già molte altre volte durante le visite,” mi ha raccontato, aggiungendo che il dress code per i visitatori di Kern Valley è molto severo, e che sono vietati indumenti sexy, qualsiasi oggetto che possa indicare l’affiliazione ad una gang e tutto ciò che possa far scambiare un visitatore per una guardia o un carcerato.

“Niente di attillato. Niente di troppo corto. Niente braccia scoperte o scollature. Niente di blu. Niente in khaki. Niente di verde. Niente di marrone. Niente che possa assomigliare agli indumenti delle guardie” così Mindy mi ha descritto il dress code delle visite al carcere. “E non puoi indossare magliette bianche perché anche i carcerati le indossano, così che se dobbiamo metterci tutti a terra, il cecchino sulla torre possa distinguere quali sono i carcerati e quali no.

 “Quello è uno degli stress connessi alle visite. Quando vai a comprare i vestiti pensi sempre andrà bene per la prigione?”

A Rikers, dice Alex, le cose veramente vietate sono il mimetico, i jeans strappati, e i leggings. “Se ti metti i leggings ti fanno indossare questa grossa camicia verde limone. Io sono bassa ed è più lunga di me.”

 “Tutte queste cose sono umilianti,” mi ha detto asha. “Ogni momento della visita rasenta l’umiliazione sessuale.”

Mindy ricorda di una visita di 16 anni fa quando il suo ragazzo era in un carcere diverso. “Eravamo davanti ad uno schermo che scansionava il tuo corpo con i raggi X, e le guardie potevano vedere se avevi un reggiseno push up, o un tampone. Una cosa abbastanza strana e imbarazzante.”

L’attitudine dei secondini conta tanto quanto le regole formali, e la maggior parte di loro non ha molta compassione per i visitatori.

“Ci sono le guardie simpatiche e quelle stronze,” dice Mindy. “C’è un secondino che ci guarda come delle persone normali. Ma ce ne sono altre…giuro, solo per gli sguardi che ti lanciano si capisce che ti stanno giudicando.”

Alex ha avuto la stessa esperienza con le guardie del carcere di Rikers. “Mi sento come se fossero superiori a noi,” dice. “Vengo da una buona famiglia e non voglio essere trattata come se fossi una carcerata. Voglio essere trattata come una persona che va lì per vedere la persona che ama.” Una volta ha visto una donna venire ammanettata ad una ringhiera dopo aver litigato con una guardia. “Non mi fraintendere, alcuni visitatori si agitano, ma questa signora non aveva fatto niente,” racconta, “credo che non ci lascino portare le macchine fotografiche perché non vogliono che si sappia cosa succede veramente lì dentro. Penso sia questo il motivo per cui non possiamo portare i telefoni.”

Anche se milioni di americani sono incarcerati e altrettanti milioni li vanno a trovare, i visitatori vengono sistematicamente trattati come se fossero anormali, o come se avessero fatto qualcosa di male anch’essi. Molti familiari, dice asha, pensano che “siccome amano o hanno dato vita a qualcuno che è in galera, anche loro devono aver fatto del male. Pensano che ci dev’essere qualcosa di sbagliato in loro.”

Asha crede che il sistema carcerario americano si regga sul “processo di vergogna”, una pratica che ha come target particolare le persone di colore. “I familiari e gli amanti dei carcerati sono imbarazzati, e i neri lo sono ancora di più perché le persone di colore sono già al fondo della scala sociale in questo paese,” racconta. “Ti vergogni e stai muto, nonostante ci siano un sacco di persone in galera.” Asha è l’unica donna di colore con cui ho parlato per questo articolo: di tutte le donne che ho contattato tramite Instagram, solo le donne bianche hanno acconsentito di parlare con me.

Ai prigionieri non è permesso avere telefoni per paura che possano pianificare fughe o rimanere in contatto con organizzazioni criminali all’esterno. Come ogni altro pezzo di contrabbando però, anche i telefoni riescono ad entrare nelle carceri. A Kern Valley, racconta Mindy, è normale che gli ufficiali corrotti portino telefoni all’interno e li rivendano per 1000 o 1,500 dollari in contanti. Il Samsung Juke è il telefono più usato, secondo quanto il fidanzato ha riferito a Mindy. “Le guardie vendono questo modello in particolare perché è molto piccolo e i ragazzi possono nasconderlo nel retto”.

Anche se questi divieti non evitano totalmente che i criminali motivati mettano le mani su un telefono, rendono comunque più difficili le comunicazioni con l’esterno. Il fidanzato di Mindy è andato in galera nel 1994, prima che internet diventasse parte integrante delle persone, cosa che lo rende una persona completamente fuori dal tempo. Se mai uscirà, avrà serie difficoltà ad adattarsi ai cambiamenti degli ultimi vent’anni.

“Gli ho dovuto spiegare cosa fosse Facebook, Instagram e Youtube,” mi ha raccontato Mindy. Un giorno Cody ha visto una pubblicità di KFC che invitava le persone a mettere like nella pagina di Facebook. “Lui mi ha chiesto che senso avesse mettere like a qualcosa su Facebook, e io non sapevo proprio cosa rispondergli.”

Questa esclusione dal mondo e dai social media significa che i prigionieri non possono mantenere un certo tipo di relazioni che noi consideriamo scontate. Mentre le famiglie e le coppie separate dalle distanze possono comunque comunicare attraverso varie piattaforme, i carcerati non possono mettere like o postare le foto che le fidanzate fanno prima delle visite. Non possono mandare messaggini a sfondo sessuale o un emoticon di un cuore o un semplice “mi manchi.”

L’ultima volta che ho parlato con Mindy, l’ala del suo fidanzato Cody era in isolamento, il che significa che non poteva usufruire dei suoi soliti 15 minuti di telefonata giornaliera. “Essere in grado di mandare messaggi, chiamate o scambiarsi foto o video riempie quel vuoto creato dalla distanza,” mi ha scritto in un’email. “Mentre aspetto che termini questo isolamento, ogni mail che ricevo aiuta a riempire quel vuoto.”

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