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Chi c’è dietro le manifestazioni ‘No Green Pass’ in Italia

no vax no green pass italia

Lo scorso 7 agosto 2021, in via Lugaro a Torino, i giornalisti delle redazioni di Stampa e Repubblica si sporgono dagli uffici: sotto di loro, nonostante la pioggia, alcune centinaia di persone li bersagliano di insulti dopo aver intasato il traffico delle vie del centro nello scomposto tragitto verso il quartiere di San Salvario. 

Contemporaneamente, a Firenze, il copione si ripete davanti alla sede del quotidiano locale La Nazione. I manifestanti urlano “giornalisti terroristi,” “servi” e “venduti”: per loro, sono i complici di una “dittatura sanitaria” il cui ultimo atto—dopo l’imposizione del lockdown e delle mascherine—è l’applicazione del green pass, il certificato sanitario che dal 6 agosto impone di essere vaccinati, guariti dal Covid nei sei mesi precedenti o essere risultati negativi a un tampone nelle ultime quarantotto ore per accedere a diversi luoghi pubblici. 

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E ancora: a Milano, nella marcia dei cinquemila che da piazza Fontana porta in piazzale Loreto, molte persone indossano la stella di David, paragonandosi agli ebrei perseguitati dal nazismo. A Roma si presentano anche i neofascisti di Forza Nuova, mentre la piccola folla commemora in piazza del Popolo il dottor Giuseppe De Donno, lo pneumologo morto suicida e capostipite della terapia del “plasma iperimmune,” che per gli antivaccinisti è una panacea boicottata dalle case farmaceutiche. 

Ma chi sono i cosiddetti “No Green Pass” che, dal 24 luglio, allestiscono ogni sabato presidi in decine di piazze italiane per chiedere la revoca di una misura giudicata discriminatoria? Quali sono le loro rivendicazioni? Che rapporti hanno con movimenti analoghi di altri paesi? E sono tutti complottisti o estremisti di destra, come sembrano suggerire i media tradizionali?

Cosa chiedono i “No Green Pass” italiani

Per capirlo, si può partire da uno dei loro slogan preferiti: “Noi siamo il popolo.” Si tratta però di pretesa universalista solo sulla carta, sia dal punto di vista numerico—già al secondo appuntamento i partecipanti si erano dimezzati ovunque a eccezione di Torino e Milano, stabili fra le cinquemila e le diecimila presenze anche in pieno agosto—sia dal punto di vista anagrafico, poiché latita il coinvolgimento dei giovani (soprattutto under 30).

Un simile motto, tuttavia, ha una sua ragion d’essere e una sua storia. Wir sind das Volk era il motto delle manifestazioni del lunedì sera nella Germania dell’Est che hanno portato al crollo del muro di Berlino. Venticinque anni dopo, negli stessi Land, il coro è risorto con connotazioni etniche fra gli islamofobi di Pegida, per approdare nel 2020 fra i Querdenken (traducibile come “pensatori laterali”), il movimento anti-lockdown tedesco che proprio dall’esperienza di Pegida ha tratto importanti lezioni per sedimentarsi nell’ex Ddr.

Questi precedenti sono ben noti ai promotori dei primi eventi “no-mask” italiani, nel settembre 2020, quando lo striscione “Noi siamo il popolo” fa la sua comparsa alla Bocca della Verità a Roma. In un primo momento non è che mera ammirazione verso il più grande movimento europeo di scettici della pandemia, omaggiato anche con dediche solidali in tedesco. 

Appena una settimana prima, a Berlino, una manifestazione contro le restrizioni sanitarie, partecipata da 38mila dimostranti, si era conclusa con una tentata invasione del Reichstag—in quella che è stata un’anticipazione dell’assalto al Congresso statunitense del 6 gennaio 2021.

Nel febbraio 2021, però, con i Querdenken si sviluppa una piattaforma di coordinamento. È informale, flessibile, decentralizzata, ma capace di sorprendere quando, il 20 marzo, dà luogo a centinaia di proteste in Europa e perfino in Canada e Australia

A rivelarne l’esistenza è un’inchiesta dei giornalisti Jordan Wildon e Joe Ondrak pubblicata su Logically. Il nodo principale della rete è a Kassel, in Germania, dove un gruppo di wedding planner pianifica l’espansione globale dei Querdenken semplicemente creando decine di chat Telegram nazionali sotto l’insegna di un gruppo chiamato World Wide Demonstration (WWD). La scommessa è che gli attivisti locali affluiranno spontaneamente con il passaparola indotto dalla eterogenea alleanza di comunità complottiste, antivacciniste, New Age e di estrema destra. 

E in effetti, è quello che succede. La sede del primo esperimento del WWD Italy è Torino. Il 20 marzo, fra piazza Carignano e piazza Castello, si radunano poche centinaia di persone, un fallimento segnato dalle multe della polizia. Il 24 luglio va in scena la replica in tutto il mondo, ma nel frattempo in Italia molto è cambiato. Sono cambiati i bersagli—non più il lockdown e le mascherine, ma i vaccini e i passaporti sanitari, princìpi di un regime di “apartheid” e “segregazione” o persino di un nuovo Olocausto—e soprattutto gli attori in gioco.

Chi c’è dentro al movimento “No Green Pass” italiano

La novità principale è rappresentata dal canale Telegram “Basta dittatura!”, arrivato ormai a circa trentacinquemila iscritti. Approfittando delle concomitanti marce del World Wide Demonstration del 24 luglio, il suo amministratore azzarda il salto di qualità dal virtuale al reale: dirama la convocazione delle piazze ancora prima di aver raccolto le adesioni. 

L’elenco degli appuntamenti è virale e i seguaci rispondono all’appello. L’iconografia del canale—una bandiera nazista come metafora di oppressione, attraversata in orizzontale dalla dicitura “Dittatura Covid”—è onnipresente fra i manifestanti

Per i cortei successivi le indicazioni si moltiplicano e scendono nei dettagli: si forniscono fotomontaggi con Draghi nelle vesti del Führer da stampare e portare con sé, si suggeriscono gli slogan da scandire, si vieta di rilasciare dichiarazioni ai giornalisti (“sono i nostri nemici”) e si invitano i genitori a farsi accompagnare dai figli—una tattica mutuata dai Querdenken per dissuadere sgomberi e cariche della polizia alle manifestazioni non autorizzate.

Ma lo spontaneismo diretto dall’alto di “Basta dittatura!” non piace a tutti, in particolare alle forze extraparlamentari raccolte sotto il movimento unitario del Fronte del Dissenso.

La sigla è l’evoluzione della “Marcia della Liberazione,” un raduno sovranista che lo scorso 10 ottobre, in piazza San Giovanni a Roma, si era concluso con una cinquantina di multati per il mancato rispetto delle norme anti-assembramento. In quell’occasione, la deputata Sara Cunial (ex del Movimento Cinque Stelle) aveva indossato un casco sul palco per dimostrare che fosse statisticamente più probabile essere colpiti da un asteroide piuttosto che morire di Covid-19.

Secondo un documento circolato a maggio su Telegram, al Fronte del Dissenso hanno aderito quasi un centinaio fra comitati e associazioni, come Alleanza Stop5G, Ancora Italia (il nuovo partito del filosofo Diego Fusaro, nato dalla frattura con Vox Italia), Noi con Trump, i ristoratori di Io Apro Milano e Io Apro Toscana, World Wide Demonstration Italia e diversi gruppi territoriali di R2020, la formazione di Sara Cunial e del consigliere regionale del Lazio Davide Barillari.

Ad accomunarli c’è la richiesta delle cure domiciliari contro il virus, della fine dello stato di emergenza e della “libertà di scelta terapeutica e vaccinale.” Rispetto alle proteste di piazza contro il green pass, la linea del Fronte del Dissenso diverge totalmente da quella di “Basta dittatura!”: le manifestazioni devono autorizzate dalle questure, i simboli politici—quantomeno quelli dei partiti alleati come Ancora Italia e Movimento 3V (Vaccini Vogliamo Verità)—sono ammessi, e le piazze vanno preparate per scongiurare l’infiltrazione di soggetti indesiderati come i neofascisti

Giusto per dare un’idea, “sicofanti” e “impostori” sono alcuni degli appellativi rivolti dal Fronte del Dissenso agli anonimi amministratori del canale Telegram rivale; e dall’altra parte i toni non sono più morbidi. La posta in palio è ghiotta: la leadership di una nebulosa che, seppur piccola, è liquida, orfana di riferimenti politici e dunque dirottabile. 

A ogni modo, sarebbe fuorviante mettere tutti i manifestanti anti-green pass nel calderone degli antivaccinisti e dei teorici della cospirazione. In questo senso, le proteste di Torino sono sintomatiche di sobbollimenti più profondi: il capoluogo piemontese non è stato solamente l’antesignano italiano delle World Wide Demonstration, ma è pure l’unica città in cui sono addirittura due i raduni settimanali contro il certificato sanitario.

Il sabato è diventato l’appuntamento fisso del gestore di “Basta dittatura!”, lui stesso torinese di origine a giudicare dagli indizi involontariamente disseminati—come la ricerca di un medico di base in città “che abbia capito la truffa Covid” o le ronde al parco del Valentino, a caccia di persone con la mascherina (la “museruola”) da guardare in cagnesco. I cortei sono autogestiti, apolitici, non autorizzati, privi di un percorso prestabilito e terminano polemicamente sotto le redazioni torinesi delle testate giornalistiche “terroriste.”

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Un volantino pubblicato sul canale Telegram di “Basta dittatura!”

Il giovedì, invece, in piazza Castello hanno luogo i ritrovi organizzati dal Fronte del Dissenso e dal No Paura Day, una serie di presidi anti-lockdown nati a Cesena lo scorso autunno e poi diffusisi al resto del Nord Italia. Sono manifestazioni più tradizionali con tanto di palco e oratori, tra cui due candidati sindaci come Paolo Alonge del Movimento 3V e Ugo Mattei di Futura. 

Il futuro del movimento “No Green Pass” in Italia

Proprio la figura di Mattei—stimato giurista, professore universitario, a guida di una lista civica dalla marcata impronta progressista e di sinistra—stona con i cliché mediatici. Quella che ha ingaggiato contro green pass, obbligo vaccinale e proroga della stato di emergenza è a suo dire una “battaglia di natura costituente,” un’opposizione di sistema che evidenziano le pulsioni che covano in una città colpita da un forte declino industriale, economico e sociale, con alti tassi di disoccupazione

In questo senso, è la qualifica di “movimento anti-sistema” ad attagliarsi meglio di ogni altro alla galassia dei “No Green Pass.” Questa definizione, inoltre, aiuta a valutarne le prospettive.

I confronti con le proteste in corso in Francia non reggono per varie ragioni, a partire dal fatto che in Italia gli esitanti vaccinali—riluttanti, indecisi e antivaccinisti—sono circa un quarto rispetto al Paese transalpino. E se in quest’ultimo le manifestazioni contro il pass sanitario sono riuscite a raggruppare fino a 237mila persone (come lo scorso fine settimana), è poco probabile che in Italia si vada oltre le cinquantamila. I numeri attuali, molto bassi in particolare a Roma e al Sud, confermano questa impressione.

Un altro punto debole dei “No Green Pass” italiani è l’assenza di un referente politico credibile. Le ambiguità di Giorgia Meloni e Matteo Salvini (entrambi vaccinati e dunque dotati di green pass) sembrano troppe per essere ignorate dai manifestanti. Si è infatti risolta in un fiasco la fiaccolata romana di fine luglio per la “libera scelta vaccinale,” reclamizzata dai parlamentari leghisti Claudio Borghi e Armando Siri.

Né da Fratelli d’Italia né dalla Lega è dunque lecito aspettarsi più di qualche ammiccamento, buono giusto per corteggiare i ristoratori e il movimento IoApro, già attivo nel diffondere la mappa delle attività “dissidenti.”

L’avvicinamento politico più deciso ai no-green pass è stato intrapreso dal partito Italexit del senatore (ex M5S) Gianluigi Paragone, che ha benedetto le manifestazioni come “un vento nuovo” e ha avviato una petizione per ottenere il ritiro del certificato. L’ex conduttore tv ha rifiutato il vaccino e non perde occasione per alludere agli eventi avversi dei vaccini, pubblicare manuali di sopravvivenza al green pass e attaccare infettivologi e virologi. Ma questo sodalizio ha esiti imprevedibili, poiché Italexit non ha ancora saggiato la sua consistenza nelle urne.

Tra divisioni, coordinamento carente, istituzioni politiche distanti e partecipazione marginale, il futuro dei “No Green Pass” italiani non pare roseo.

Eppure, ciò che abbiamo visto finora è l’avvisaglia di un sommovimento con cui dovremo fare di nuovo i conti; perché se è vero che questi movimenti spariscono con la stessa velocità con cui sono apparsi, di sicuro non spariranno le persone che ne hanno fatto parte.

Jacopo è il curatore di Osservatorio sul complottismo, un progetto per l’analisi storica e politica delle teorie del complotto. Seguilo su Facebook e Instagram.