In Italia la paranoia su ISIS e attentati continua a crescere

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via Facebook/Esercito italiano

A poco più di una settimana dai fatti di Parigi, l’opinione pubblica europea è indubbiamente in uno stato di profondo shock. Se i giorni immediatamente successivi all’evento sono stati scanditi da manifestazioni di solidarietà, commemorazioni e inviti a tornare alla normalità, adesso l’atmosfera generale sembra dominata dalla paura e paranoia, e lo stress post-traumatico dell’Europa ha assunto la forma di un terrore collettivo che pervade tutti i settori dell’esistenza.

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In Italia, tutto ciò si è manifestato in modo particolarmente evidente. Secondo un recente sondaggio, il 46 percento degli italiani teme che possano esserci attentati nel nostro paese—una settimana prima degli attacchi di Parigi erano il 33 percento. Inoltre, secondo i dati del portale eDreams, nell’ultima settimana le prenotazioni di viaggi verso Parigi sono calate del 76 percento.

Accanto a questo, la preoccupazione generale per la sicurezza si è espressa attraverso un’impressionante sequela di false notizie—le quali, come scriveva lo storico Marc Bloch quasi un secolo fa, sono pur sempre “lo specchio in cui ‘la coscienza collettiva’ contempla le sue fattezze.”

Da questo punto di vista Roma è in prima fila. Negli ultimi giorni in città si è sollevata una vera e propria “psicosi terrorismo”: ci sono stati otto allarmi bomba in otto ore, diverse segnalazioni e falsi allarmi e addirittura il caso di uno zaino abbandonato che ha portato all’evacuazione di una tribuna dell’Olimpico durante Lazio-Palermo, ma che in realtà era stato lasciato come segnaposto da un tifoso allontanatosi per accompagnare in bagno la figlia.

Il caso più inquietante, però, è stato quello della nota vocale diventata virale su WhatsApp venerdì scorso, nella quale si preannunciava un imminente attentato e che si è poi scoperto essere un tentativo da parte di una madre di convincere la figlia a non uscire di casa. La falsa notizia si è diffusa così tanto da far intervenire lo stesso premier Renzi, che ha chiesto alla procura di Roma di aprire un’indagine per procurato allarme.

Ma se le istituzioni hanno cercato di tranquillizzare l’opinione pubblica, in certi casi i media hanno soffiato sul fuoco.

Ad esempio, un articolo di Repubblica ha descritto Roma come una città fantasma che “sprofonda nel coprifuoco.” “Trastevere è deserta. Nessuno beve ai tavolini all’aperto. I bar di piazza Trilussa, in genere tracimanti musica e teenager, stanno già abbassando le saracinesche,” si legge nel pezzo, che prosegue con interviste a commercianti e albergatori che starebbero già sentendo la crisi conseguente alla strage di Parigi.

Dello stesso tenore è un servizio de La Gabbia di La7in gran parte riciclato da uno analogo dello scorso febbraioin cui l’inviata, andando alla ricerca di moschee clandestine e dando voce alle preoccupazioni degli anziani al bar, ha descritto Torpignattara come una specie di Raqqa a due passi dal centro di Roma, una zona dove ormai “comanda l’Islam.”

Questo clima di paura, decisamente comprensible vista l’importanza della città e l’imminente apertura del Giubileo—durante il quale la stessa Questura ha detto di aspettarsi “un proliferare di allarmi” con cui bisognerà “fare i conti”—non si è limitato a Roma.

Anche a Milano, infatti, nelle ultime ore ci sono stati un sacco di falsi allarmi—alcuni palesemente assurdi, che mostrano bene il clima di tensione. Ad esempio, il caso di un fotografo segnalato come “arabo con la barba con un pacco” in mano, quello di un gruppo di ragazzi in metropolitana che hanno creato allarme perché parlavano “in arabo dell’ISIS”, quello del trolley abbandonato in piazza Duomo che ha fatto scattare l’allarme o quello di un signore che ha detto di aver ricevuto “un sms in cui si parlava di un attentato” che in realtà era di un suo amico e conteneva una barzelletta sui terroristi.

Ma la paranoia ha interessato anche luoghi e situazioni che difficilmente potrebbero essere nel mirino dei terroristi. Per esempio, a Fidenza un uomo ha esposto la bandiera della squadra di rugby degli All Blacks e qualcuno ha chiamato la polizia segnalando la presenza di una bandiera dell’ISIS; all’Auchan di Mestre un cliente ucraino è stato scambiato per “l’attentatore fuggito di Parigi” portando all’intervento dei carabinieri in assetto di guerra; ad Alba dieci mamme hanno lasciato a casa i figli dall’asilo perché su una lavagna c’era scritto “halla”, mentre il procuratore di Venezia Carlo Nordio ha invocato la messa al bando del velo islamico per “ragioni di sicurezza”.

Ovviamente anche su Internet si sono viste le conseguenze di questo clima. Dopo aver dichiarato guerra all’ISIS, secondo quanto riportato da IBTimes Anonymous avrebbe affermato di aver ottenuto delle informazioni sensibili sui prossimi obiettivi dei terroristi—tra cui figuravano anche un concerto a Milano e un evento religioso a Roma. La notizia è stata poi smentita dagli stessi Anonymous, ma nel frattempo si era già diffusa.

Allo stesso modo, su Facebook le foto di una colonna di carri armati in transito da alcune stazioni ferroviarie italiane—in realtà diretti in Sardegna per un’esercitazione—hanno causato non poco allarmismo.

“Siamo di fronte a un lutto collettivo nazionale, che ha causato un misto di terrore, paura e preoccupazione per la possibilità che ricapiti. Il ruolo della politica è rassicurare per cercare di controllare questa paura,” ha detto poco dopo gli attacchi lo psichiatra francese Christian Navarre, autore di Psy des catastrophes.

E in effetti quest’affermazione si inserisce bene in un discorso su come sia cambiata con il tempo la nostra percezione della sicurezza e del ruolo dei governi nel garantirla, e su come questo rischi di limitare pesantemente la nostra libertà.

“In passato i nostri politici ci offrivano la possibilità di sognare un mondo migliore. Adesso ci promettono di proteggerci dai nostri incubi. Il più spaventoso di questi è la minaccia di una rete di terrorismo internazionale,” ha affermato nel 2004 Adam Curtis, autore del documentario Il potere degli incubi.

Dopo attentati come quello di Parigi è legittimo—e inevitabile—aver paura, ma probabilmente c’è un livello oltre il quale la paura si declina in paranoia e diventa uno strumento politico per limitare la libertà e rafforzare il controllo. L’impressione, osservando ciò che sta succedendo nelle ultime settimane, è che siamo prossimi a oltrepassare un confine da cui poi è difficile tornare indietro. Come ha detto il procuratore nazionale antiterrorismo Franco Roberti, “dobbiamo essere pronti a cedere una parte delle nostre libertà.”

E cosa possa comportare questa cessione lo si è visto, ad esempio, questo fine settimana a Bruxelles, con una città deserta, blindata e pattugliata da soldati con i fucili spianati, locali e scuole chiuse e la negazione totale di qualsiasi forma di vita pubblica—che sia politica, culturale o sociale.

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