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Alcuni esempi pratici per capire perché facciamo ‘sempre’ le scelte sbagliate

ce sunt biasurile cognitive

Tutti facciamo scelte sbagliate, ce ne accorgiamo, ci ripromettiamo di non farlo, e le facciamo sempre e comunque, innescando di nuovo questo circolo vizioso. 

Dietro a questa sorta di loop infinito, ci sono “delle inconsapevoli ‘trappole mentali’ nelle quali chiunque—nessuno escluso—può incappare in amore, sul lavoro, nella vita quotidiana,” mi dice Sara Garofalo, divulgatrice scientifica e ricercatrice presso l’Università di Bologna, che si occupa di apprendimento per rinforzo e statistica applicata nell’ambito delle neuroscienze cognitive.

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Garofalo ha descritto tali meccanismi nel suo video The psychology behind irrational decisions, e nel suo recente saggio intitolato Sbagliando non si impara (Il Saggiatore). Il loro nome, più precisamente, è euristiche e bias cognitivi. “L’euristica è una scorciatoia mentale, una sorta di valutazione sbrigativa, che utilizziamo per risolvere un problema complesso senza avere informazioni sufficienti,” continua Garofalo, “mentre il bias cognitivo è un’imprecisione sistematica del pensiero che influenza la nostra percezione, una sorta di credenza a monte che andrà a influenzare le nostre valutazioni.”

Ma perché viviamo tra queste ‘deviazioni dalla razionalità’? “Perché, di solito è più conveniente così: un po’ per una questione di economia, di non sprecare troppe risorse,” spiega Garofalo. “Questi meccanismi possono avere dei risvolti utili: all’inizio dei tempi abbiamo imparato al minimo rumore a scappare per la possibile presenza di predatori, e oggi al primo rumore di clacson siamo a prescindere subito in allerta.” In molti altri casi, invece, ci portano a sbagliare—e non sempre ce ne rendiamo conto, o i risvolti non hanno conseguenze importanti.

Di euristiche e bias cognitivi ne esistono centinaia. Qui di seguito ne spieghiamo alcuni tra i più attuali, con esempi pratici.

BIAS DI CONFERMA: COS’È E COME FUNZIONA

Sebbene sia qualcosa a cui non facciamo spesso caso, uno dei nostri più grandi ‘errori di sistema’ consiste nella tendenza a prestare maggiore attenzione alle informazioni che confermano le nostre idee su un argomento, e ad escludere o minimizzare tutte le altre.

Questa tendenza, chiamata bias di conferma, si manifesta in due maniere: “Nel primo caso siamo noi che, attivamente, cerchiamo informazioni o opinioni che confermino ciò che già pensiamo,” continua Garofalo. “Nel secondo, invece, selezioniamo solo le informazioni che reputiamo corrette che ci arrivano dal mondo esterno.”

L’aspetto da sottolineare, qui, è che non siamo attori passivi di fronte a un esercizio di ars oratoria, in cui qualcuno consapevolmente argomenta solo prove a favore della sua tesi e omette il resto. “In questo caso è proprio il nostro cervello che a priori dà maggiore importanza ai messaggi veicolati da certi programmi tv, amici, divulgatori.” Questo però potrebbe portare, poi, a praticare poco il dubbio, a non verificare la veridicità di certe affermazioni, o approfondire davvero un argomento. 

Cercare conferme, quindi, è di base una prerogativa umana, ma se parliamo di fake news, la questione si complica ulteriormente.

Ciclicamente riprende il dibattito su come i social media dovrebbero assumersi la responsabilità di arginare la loro diffusione, ma da punto di vista più umano “chi ha iniziato a credere a notizie false, come Coronavirus e 5G e scie chimiche, poi ha continuato a sostenerle perché circondato da contenuti che confermavano le sue convinzioni,” spiega Garofalo.

“Gli algoritmi che selezionano i contenuti potenzialmente interessanti per noi ‘sguazzano’ letteralmente nel bias di conferma, perché ‘avere ragione’ ci rende appagati e di conseguenza allunga la nostra permanenza sulla piattaforma di riferimento.”

EFFETTO INCORNICIAMENTO: PERCHÉ IL MODO IN CUI VENGONO PRESENTATI I PROBLEMI INFLUISCE SULLE NOSTRE SCELTE

Un’altra valutazione presa alla leggera, soprattutto nelle scelte quotidiane, è dovuta all’effetto incorniciamento (framing effect). Si tratta di un bias cognitivo incentrato sul “modo in cui un problema è presentato—per esempio evidenziandone gli aspetti positivi o negativi—influenzi la nostra decisione finale,” spiega Garofalo. 

Il concetto si applica perfettamente alle strategie di marketing, e nel libro si trova un esempio semplice ma esplicativo. Davanti al banco frigo del supermercato ci sono uno “Yogurt al 97% magro” e uno “Yogurt con l’1% grassi”: quale scegli?

Gli yogurt sono praticamente identici (Il “più magro” è il secondo al 99%), eppure tendenzialmente la maggior parte se di fretta opta per il primo: “perché a parità di caratteristiche, mette in risalto un attributo considerato positivo, mentre l’altro un aspetto considerato negativo,” continua Garofalo. “Di fronte allo stesso quesito, insomma, la nostra risposta cambia a seconda di come è presentato.”

Anche il contesto e i messaggi circostanziali, poi, possono farci concentrare solo su aspetti specifici. Se per esempio sono interessato a un pezzo raro su Ebay di cui l’asta sta per concludersi, o all’“offerta del giorno” su Amazon, o a uno dei “pochi pezzi disponibili” su Asos, a caldo penserò che devo evitare a tutti i costi di perdere un’occasione unica, e non valuterò altri fattori (Mi serve davvero? Sforo il budget mensile?) prima dell’acquisto.

“Questo è legato, oltretutto, al fatto che di fronte a una scelta che sottolinea esclusivamente quali sono le mancanze a cui andremo incontro, tenderemo a rischiare pur di evitarle. In psicologia, per l’appunto, si chiama ‘avversione alla perdita’.”

BIAS DEL COSTO SOMMERSO: ERRORI DI VALUTAZIONE IN AMORE, SUL LAVORO, SUL PIANO ECONOMICO 

Hai ottenuto il lavoro per cui hai investito soldi, tempo, formazione, ma hai scoperto che ti rende estremamente infelice. Ci sono un sacco di relazioni durature, ma non sei più soddisfatto nella tua. La tua auto si rompe ogni due settimane, ma continui ad aggiustarla. Eppure, perché non prendi davvero in considerazione l’idea di cambiare lavoro, interrompere la tua relazione o rottamare la tua macchina?

Si chiama bias del costo sommerso: “quando si cerca di portare avanti a tutti costi un progetto perché pensiamo che tempo e risorse investite andrebbero perse, dando così troppo peso al passato e non considerando le diverse possibilità future,” spiega Garofalo.

In sostanza, il cambiamento non è visto come una possibile risorsa, ma come un fallimento. 

In questo contesto, poi, può subentrare anche un ulteriore bias chiamato Effetto Ikea, ovvero “quando il valore di qualcosa o qualcuno ai nostri occhi aumenta considerevolmente perché ci abbiamo investito tempo e sforzo.” Quindi questo può valere, per l’appunto, per la persona con cui stai, la tua auto, ma anche per il mobiletto che hai pazientemente montato, la torta che hai appena fatto con le tue mani, e così via.

EURISTICA DELL’AFFETTO: QUANDO, IN MANCANZA DI INFORMAZIONI, PREVALE L’EMOTIVITÀ

“Nel dubbio, vado a sentimento” è una frase che, invece, potrebbe descrivere perfettamente l’euristica dell’affetto. Che si verifica “quando siamo di fronte a una scelta davvero difficile o un quesito di cui non sappiamo molto, e lasciamo il comando alle nostre emozioni, senza una effettiva valutazione delle opzioni a disposizione,” spiega Garofalo.

Esempio: Stai andando a votare per un referendum, ma per la prima volta non ti sei informato. Ti eri ripromesso di farlo, ma alla fine, di fatto, non sai praticamente nulla. Così, al momento di apporre la croce sul “sì” o sul “no” decidi di pancia—anche se il dubbio un po’ ti rimane.

Ora, “alle volte farsi trasportare dall’emotività è inevitabile [come al momento della scelta del caso precedente], ma la mancanza di oggettività può portare a conseguenze piuttosto rilevanti per sé e la collettività,” afferma Garofalo. “Un esempio è la totale e netta contrarietà a tutti i vaccini: si pensa di andare in una direzione, ma non ci si rende conto che decuplicano le possibilità di andare a sbattere in molte altre.”

L’EURISTICA DELLA DISPONIBILITÀ, OVVERO QUANDO SOVRASTIMIAMO LA FREQUENZA DI UN EVENTO

Infine, l’euristica della disponibilità, che si collega molto bene ai concetti sovracitati, “si basa sul fatto che più ricordiamo un’informazione, tanto più ci apparirà probabile e veritiera,” continua Garofalo.

Nel libro la ricercatrice chiede: quale di questi avvenimenti pensi sia una più probabile causa di morte? A. Essere colpiti da un fulmine. B. Attacco terroristico. C. Soffocarsi col cibo. “Plausibilmente l’opzione B sembrerà tra le più papabili perché negli anni abbiamo purtroppo sentito parlarne. Un decesso per soffocamento non fa notizia, eppure è cento volte più probabile che accada.”

In ogni caso, comprendere il funzionamento di bias cognitivi ed euristiche non significa automaticamente non commettere più degli errori di valutazione. “Sono meccanismi automatici, che prescindono dalle conoscenze,” spiega Garofalo. “La maggior parte si innesca soprattutto quando abbiamo poco tempo o voglia per riflettere o documentarci, e di conseguenza, nel caso in cui abbiamo commesso uno sbaglio senza rendercene conto, non potremo modificare il nostro comportamento la volta successiva”.

Individuare, però, quali possano essere le grandi questioni e i momenti in cui questi meccanismi si innescano, come conferma la ricercatrice, è già un vantaggio.

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