Quattro persone parlano di quello che hanno visto dopo la morte


Rappresentazione del Paradiso di Dante, Gustave Doré ; immagine via Wikipedia.

C’è vita dopo la morte? È da tempo immemore che questa domanda tormenta, divide e unisce gli uomini. Si tratta di uno dei quesiti esistenziali a cui non abbiamo—e probabilmente non avremo mai—una risposta definitiva. Eppure le esperienze ai confini della morte vissute da alcune persone potrebbero fornire una risposta in un certo senso.

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Nel 1975, il medico americano Raymond Moody ha pubblicato La vita oltre la vita, un’opera che analizza le testimonianze di persone “clinicamente morte” e successivamente rianimate. Tutte sembrano avere alcuni punti in comune: la sensazione di allontanamento dal corpo e di pace interiore, la visione di un tunnel di luce, l’incontro con esseri celesti e la percezione di rivedere tutta la propria vita davanti agli occhi. Tutte finiscono più o meno allo stesso modo: un’entità immateriale, solitamente descritta come “dio” li rimanda nel mondo dei vivi poiché non sarebbe ancora arrivato “il loro momento.”

La scienza ha una sua spiegazione per le esperienze di questo tipo: la liberazione di una grande quantità di endorfina, dopamina e serotonina da parte del cervello—gli ormoni responsabili del piacere. Eppure questa spiegazione appare piuttosto semplicistica rispetto a un fenomeno complesso, spesso legato alla fede. Ho cominciato a interessarmi al tema dopo aver visto un documentario. Più o meno nello stesso periodo avevo anche letto il Libro tibetano del vivere e del morire. È così che ho deciso di contattare persone che avessero vissuto un’esperienza di pre-morte; quattro di loro hanno vinto la reticenza e mi hanno raccontato cosa hanno visto e pensato in quei momenti.

VALERIE, 47 ANNI, ESPERIENZA VISSUTA A 41 ANNI

Sei anni fa, sulle piste da sci, ho avuto un incidente che ha richiesto un intervento per l’applicazione di una protesi al ginocchio. C’è stata una complicazione, e dopo aver avvertito un dolore immenso mi sono risvegliata sul tavolo operatorio. Il dolore arrivava dal ginocchio, ma mi ha sopraffatta nel corso di pochi istanti. Era così forte che ho persino pensato fosse stato quello a risvegliarmi dall’anestesia. In quel preciso momento mi sono sentita spossata, inconsistente, come cotone. Non avevo più nemmeno un briciolo di forza. Una delle infermiere ha notato che c’era qualcosa che non andava: era in corso un’emorragia.

Subito dopo mi sono sentita fluttuare. Il dolore era sparito, e non avevo paura. Avvertivo soltanto un benessere indescrivibile. Poi ho visto una luce, e una persona all’inizio di un tunnel. Non sapevo se la luce arrivasse dalla persona o fosse il tunnel a illuminarla così. Era una luce accecante, ma non faceva male agli occhi. Anzi, era piuttosto appagante.

Sapevo che mi stavo allontanando dal mio corpo, ma non ero spaventata. Sapevo che i miei figli e la mia famiglia ce l’avrebbero fatta, non ero disperata all’idea di lasciarli. Era come se non fosse stato poi così grave. Mi sentivo imbevuta d’amore, ma non l’amore di cui si fa esperienza sulla terra. Era un amore così perfetto da non poter essere definito. Non riguardava tanto il cuore, ma l’anima.

Quella persona davanti alla luce era una donna, anche se non sapevo chi fosse di preciso né potevo vederla in faccia. Era una specie di guida. Ho incrociato il suo sguardo, che però sembrava più che altro una vibrazione luminosa. Poi ha parlato: “No, resta. Non è ancora arrivata la tua ora.” Non mi ha dato il tempo di pensarci: in un lampo ho ricominciato ad avvertire il dolore e mi sono addormentata.

Nel corso dei mesi successivi ho iniziato a mettere a fuoco alcune cose, e a rendermi conto di essere cambiata. Oggi non mi arrabbio più come un tempo, e tendo a vedere il lato positivo delle cose. Potrà sembrare strano, ma dentro di me penso che la felicità sia a portata di mano, e che arriva quando riesci a non giudicare il prossimo e ad amarlo per ciò che è.

So che le esperienze di pre-morte non sono un’eccezione, ma per me, spiritualmente parlando, lo è stata. Sono convinta che ci sia qualcosa dopo la morte. Sono cattolica e questa esperienza ha rafforzato la mia fede.

L’inferno, immagine via Wikipedia.

PHILIPPE, 57 ANNI, ESPERIENZA VISSUTA PER TRE VOLTE (A 10, 20 E 52 ANNI). HA SCRITTO UN LIBRO SUL TEMA E GESTISCE UN SITO

Il trauma è la prima tappa a partire dalla quale si ha uno sblocco verso qualcosa di immateriale. La mia prima esperienza di pre-morte è arrivata subito dopo essere stato caricato da un cinghiale ferito. Avevo dieci anni, e ho avvertito immediatamente un senso di paura e simile alla morte. La seconda volta sono stato colpito da un fulmine, in montagna. Dodici scosse che mi hanno trascinato in uno stato simile a quello della volta precedente. Nell’ultimo caso, ho rischiato di soffocare al ristorante.

La prima volta sono uscito dal corpo e mi sono visto dall’alto. Lo so per certo. Ero immateriale, vivevo attraverso la mia coscienza, ma mi trovavo ancora in uno spazio materiale. Chiamatela come volete: anima, spirito, coscienza… tutto il mondo materiale passa in secondo piano perché è già avvenuto un primo passo.

Subito dopo mi sono ritrovato immerso in un luogo luminoso, per poi rientrare nel mio corpo—riuscendo tuttavia a conservare per circa una settimana la vista su ciò che stava dall’altra parte. Era strano poter distinguere il materiale dall’immateriale. È un po’ come vedere la realtà attraverso un vetro. Avevo piena comprensione dei due ambiti, ma per come la percepivo io l’altra parte era più importante. Dopo una settimana, quella sensazione è svanita.

Anche la terza volta—la seconda per ordine di importanza—sono nuovamente uscito dal mio corpo, ma in modo molto più delicato: mi sembrava di essere leggero come un fazzoletto. Mentre fluttuavo ho perso la sensibilità e la capacità di muovere gli arti, e subito dopo ho cominciato a veder sfumare davanti ai miei occhi il mondo materiale.

La mia vista spaziava a 360 gradi. Sono passato attraverso il soffitto del ristorante e mi sono ritrovato a 300 metri di altezza, mentre il paesaggio sotto di me si trasformava in una scenografia bidimensionale. Era una specie di cono da cui arrivava tutta la luce. Sono asceso attraverso quel cono di luce, e man mano la materia sotto di me si dissolveva. Al contempo, la luce si faceva sempre più forte.

Quando sono stato fulminato, invece, mi sono visto passare tutta la vita davanti. Ho abbandonato la dimensione temporale per spostarmi in un presente permanente. Prima abbandoni il corpo, poi la materia e successivamente il tempo. Il rullino della mia vita vissuta si è esaurito piuttosto in fretta—avevo vent’anni. Si chiudeva con un riquadro bianco: il futuro, ciò che restava da scrivere.

Anche in questo caso c’era una luce che invadeva ogni angolo, senza essere però violenta. Tutto l’esistente sembrava come scomparso. Mi sentivo benissimo, in pace con me stesso e pieno d’amore. Sono passati quasi quarant’anni, ma ricordo ancora distintamente quella sensazione.

Poi la persona che era con me ha tirato su la corda a cui ero aggrappato, e mi sono risvegliato sull’orlo di un precipizio con un dolore fortissimo all’anca.

Da quel momento la mia vita è cambiata. È difficile raccontare cose come queste, per chi ha vissuto esperienze di pre-morte. Anche se sono vere, la società spesso non capisce e veniamo presi per dei folli. Queste esperienze di pre-morte, che io chiamo “esperienza di luce”, devono essere raccontate. Anche perché non è facile sopravvivere a un passaggio del genere, ma al contempo c’è questa luce che ti accompagna e ti permette di andare avanti. Certo, amare tutti è impossibile. E quindi bisogna innanzitutto iniziare da se stessi e dai propri cari.

SOPHIE, 35 ANNI, ESPERIENZA VISSUTA A 11 ANNI

A luglio del 1992 ho avuto uno stupidissimo incidente: sono caduta da cavallo. Qualcuno mi è passato accanto in macchina e ha suonato il clacson, spaventando il cavallo che è schizzato via al galoppo. Sono caduta, ma il piede è rimasto agganciato alla staffa e ha fatto sì che venissi trascinata per vari metri. Ho sbattuto la testa più volte, ma è stato solo con l’arrivo dell’elicottero dei soccorsi che ha avuto inizio la mia esperienza.

Sono finita in coma, e così è arrivata la mia esperienza pre-morte. Non ricordo di preciso cosa è successo, e non ricordo assolutamente nulla dell’incidente. Però ho memoria di un movimento verso l’alto, e di un profondo senso di tranquillità. Tanti parlano spesso di una luce e del tunnel. Io non ho visto il tunnel, ma capisco perché molti ne parlino. Avevo l’impressione di essere nell’assoluto, sapevo di non essere sola. Sentivo dei suoni e vedevo dei colori diversi da quelli a cui siamo abituati.

Sentivo parlare, vedevo mio padre. Sono rimasta in quello stato per due mesi, quelli del coma. Erano tutti preoccupati, ma io stavo bene, non mi facevo domande. Quando sono tornata nel mio corpo invece ho fatto fatica a capire cosa stesse succedendo, anche se col tempo ho capito che siamo tutti degli esseri spirituali immersi in un corpo umano.

Quando sono tornata a questo mondo ho iniziato a pormi un sacco di domande. È lì che sono arrivati i problemi. Venivo da una famiglia cattolica, ed era l’epoca del genocidio in Uganda. Ho chiesto al parroco perché Dio permettesse cose di quel genere e ho cominciato a mettere in discussione tutto quello che credevo di sapere. Il parroco mi aveva detto che non stava a me farmi tutte quelle domande, e lo stesso avevano fatto i miei genitori—cercavano di proteggermi. A volte avevo problemi a relazionarmi anche con gli altri bambini.

Ad oggi non ho ancora capito del tutto cosa sia successo. So che ora sono una persona estremamente sensibile—a volte anche troppo. Faccio l’infermiera, e ogni giorno vedo cose che mi fanno pensare che la vita sia magica. Dobbiamo capire che siamo molto fortunati a essere umani.

Wikipedia.


Rappresentazione dell’Inferno di Dante, Gustave Doré ; immagine via

NICOLE, 75 ANNI, ESPERIENZA VISSUTA A 26 ANNI

La mia esperienza risale al 1968, dopo un’operazione di asportazione dell’utero. È stata un’emozione profondissima: per la prima volta ho avuto coscienza di essere nel mio corpo, mi sono vista dall’alto verso il tavolo operatorio. Ero giovane, ma mi vedevo spenta e cadaverica, col personale medico che mi ronzava intorno. Tempo dopo l’intervento un’infermiera mi ha confermato che tutto quello che ricordavo era effettivamente accaduto. Mi ha anche detto che per 45 secondi sono risultata clinicamente morta.

Ho pensato a mio marito e mio suocero, che erano venuti in ospedale. Mi sono ritrovata improvvisamente in sala d’attesa: avevo attraversato i muri. Li vedevo, ma loro non potevano vedermi: si agitavano e facevano avanti e indietro per i corridoio. A un certo punto ho poggiato la mano sulla spalla di mio suocero e lui mi è passato attraverso. Anche se sapevo che ero sempre io, avvertivo di avere la capacità di penetrare le coscienze e gli stati altrui. Sono entrata nel cuore di mio marito. Capivo cosa pensava e tutto quello che poteva o non poteva essere. Ho anche pensato a mio figlio e mia figlia, che erano rimasti con mia madre e mia suocera.

A quel punto mi sono ritrovata immersa nelle tenebre e nel silenzio. Sapevo di essere morta, anche se mi sentivo più viva che mai: ero mille volte più intelligente. Da lontano ho visto una piccola luce che mi ha attirato verso di sé. Si è fatta man mano più grande, fino a occupare tutto l’orizzonte. È stato il momento più bello della mia vita, tanto che mi mancano le parole per descriverlo. Ho avuto la fortuna di nascere in una famiglia piena d’affetto, e di avere dei figli e un marito che mi vogliono un gran bene. Eppure il loro amore non era nulla in confronto all’amore “allo stato puro” che avvertivo di fronte a quella luce.

Ho rivisto anche mio fratello, che era morto a 11 anni. Aveva l’aspetto di un giovane uomo di 17 o 18 anni—l’età che avrebbe dovuto avere se non se ne fosse andato. Mi sono ritrovata nelle sue braccia: non mi è passato attraverso come successo per mio suocero. Sapevo che era lui, le nostre anime si sono riconosciute.

C’erano anche altre persone che non avevo mai incontrato in vita mia, ma che ho riconosciuto immediatamente, come il fratello di mio marito, anche lui morto e che ricordavo dalle foto. Ho avuto l’impressione che l’universo fosse tutto rivolto a me sotto forma di un essere che ci riconosceva—non Budda, Maometto o Dio, ma un’entità che non apparteneva a nessuna religione. Mi ha chiesto: “Quanto hai amato e cosa hai fatto per gli altri?” Così mi sono resa conto di non aver fatto granché e mi sono detta che avrei cercato di rimediare prima di andarmene definitivamente.

Ho visto moltissime cose. In 45 secondi mi sono passate davanti la storia dell’umanità e intere civiltà scomparse. Mi hanno anche fatto vedere cosa sarebbe successo se gli uomini non fossero cambiati: guerre, disoccupazione, una violenza gratuità sempre più grande. Dopodiché ho rivisto la mia vita: il tempo che mi restava, le prove che avrei dovuto affrontare.

Mi hanno spiegato che prima di nascere avevo accettato di sottopormi a queste prove, perché solo attraverso di esse sarei cresciuta. Mi sono vista realizzata.

Prima di tornare nel mio corpo ho parlato con mio fratello, che mi ha detto di non parlare di quell’esperienza per almeno 17 anni. Poi mi sono svegliata, e ad oggi ricordo solo una minima parte di ciò che è successo. Anni dopo ho incontrato una donna che aveva avuto un’esperienza simile. A lei era stato chiesto di aspettare 11 anni prima di parlare, ovvero fino al 1985—proprio come era stato chiesto a me. Il perché di quella data non lo so, ma so che è molto strano.

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