Il mercato è una porta d’accesso per scoprire temi che toccano tutta la città, come ad esempio la povertà urbana e la questione abitativa. Il mercato è un campo neutro all’interno del quale le diversità culturali possono raccontarsi.
Sono sempre stata una grande amante dei mercati: quelli generali, piccole città dentro la città, quelli settimanali, per le strade, e i miei preferiti, quelli rionali coperti.
Videos by VICE
A Milano ce ne sono circa una ventina, tra tradizionali, risalenti anche a inizio Novecento, e ristrutturati. Milano è la capitale della comunicazione, della fuffa come dicono alcuni, e ha la capacità di infiocchettare qualsiasi cosa: diversi progetti con dentro il nome mercato, come ad esempio lo scomparso Mercato Metropolitano in Porta Genova o il Mercato del Duomo nato per Expo e adesso diventato solo un contenitore per ristoranti, erano a tutti gli effetti dei locali fighetti, senza iniziative culturali e zero coinvolgimento del quartiere circostante.
Se si vuole parlare di veri mercati, allora, come luoghi di aggregazione oltre che di rivendita di cibo più o meno costoso, esistono ben altre realtà. Girando in bici in lungo e in largo per tutta la città e sono stata rapita in particolare dal Mercato Lorenteggio. Ne avevo sentito tessere le lodi, ma essendo lontano da casa mia non mi ero mai spinta fino a lì; noi milanesi consideriamo periferia zone che in realtà sono poco appena oltre la circonvallazione esterna.
“Questo mercato è nato con le persone del quartiere, una vera e propria petizione popolare che non ne ha permesso la chiusura”
Il mercato Lorenteggio esiste dal 1954, ma era a rischio chiusura; è stato salvato nel 2013 grazie ad una ristrutturazione resa possibile da Dynamoscopio, un gruppo di ragazzi che si occupano di rigenerazione urbana e innovazione sociale. Sono stati i primi ad occuparsi di questo mondo e hanno vinto il bando Curability nel 2015. Per entrare nel “mood” guardate Entroterra Giambellino.
Arrivo, lego la mia bici e mi guardo intorno. Case popolari, street art e un parco che ospita la biblioteca di quartiere. Entro e al bar incontro subito Ulla, una signora sorridente di 74 anni che si muove con disinvoltura. Conosce benissimo Laura e Marta, le “dynamoscoppiate”, così le chiama. Mentre beviamo un caffè mi racconta che frequenta il mercato da sempre, abita a Lorenteggio dall’86 e per lei è più di una famiglia. “Susanna, la panettiera, mi da sempre il pane a fine giornata da portare alle famiglie delle case popolari e Carlo, il macellaio, quasi non mi fa pagare…”. Ma Ulla non è sono una fedelissima, è anche parte attiva: organizza la Gugliata, appuntamento di knitting creativo per i bambini.
Sono entrata da poco e già amo tutto di questo luogo. Prima di andare in giro per i banchi faccio due chiacchiere con Simona, la barista. Lavora qui da tre anni e mi conferma che il mercato è l’isola felice del quartiere. “I miei clienti sono per lo più signori anziani e quando non li vedo per qualche giorno mi preoccupo, ho il numero di telefono dei figli e mi metto in contatto con loro”.
Mi pare di capire ci siano tre tipologie di clienti tipo: chi fa la spesa quotidiana, chi frequenta le iniziative del mercato e chi viene a mangiare da Vito. Vito è un’istituzione in campo di carne equina: sono trenta dipendenti, distribuiscono per la ristorazione e hanno 120 coperti a pranzo tutti i giorni (il giovedì e il venerdì anche a cena).
Dietro il bancone intercetto Francesco, il figlio di Vito, lavora qui da quando si è diplomato e ha visto crescere l’attività: “Prima avevamo 20 coperti e ora non sappiamo più dove mettere la gente! I clienti sono sempre nuovi, soprattutto a cena, mentre chi viene qui a fare la spesa acquista principalmente bistecche e salsicce. Chi mangia qui a pranzo sceglie quasi sempre la tartare oppure gli straccetti che vengono grigliati al momento”. Il laboratorio è a vista e la gastronomia ti permette di completare il pasto con tante verdure e piatti leggerissimi come la parmigiana.
In tutto i banchi sono otto: oltre a Susanna pane&pasta e Simona al caffè, c’è Carlo alla macelleria di carne bovina e Rino per la Frutta&Verdura, Claudio ha di tutto un po’ nella sua Drogheria, e infine c’è La Briciola piena di prodotti pugliesi.
Più giro e chiacchiero e più mi sembra di essere in una puntata di Beautiful, perché scopro che tutti sono legati da diversi tipi di relazioni; per esempio Carlo, il macellaio, si è sposato con la signora che lavora alla gastronomia di Vito e per sapere se avranno figli mi toccherà continuare a frequentare il mercato settimana dopo settimana, proprio come le puntate di una soap. Questo è dovuto anche al fatto che prima della vincita del bando i commercianti si sono dovuti associare in un Consorzio e ovviamente i rapporti si sono fatti più stretti. A riprova di questo improvvisamente tutti lasciano il lavoro e si ritrovano nella ludoteca per festeggiare il compleanno di Susanna: tre torte con candeline e tanto di canzoncina (e io mi commuovo, assaggiando una crostata deliziosa).
Questa atmosfera ha aiutato Dynamoscopio nel creare occasioni per farli lavorare tutti insieme anche al di fuori del mercato, iniziando per esempio a gestire catering per eventi esterni e iniziative come il Sugo del Giambellino, una spaghettata di mezzanotte organizzata da tutti i commercianti per il quartiere: un piatto che racconta la convivenza e allo stesso tempo educa alla sana alimentazione.
I prodotti DOP – Di Origine Popolare – identificano i prodotti a responsabilità sociale, e c’è una carta dei valori che guida il consumatore nell’acquisto, spiegandone la sostenibilità non solo nella filiera, ma anche l’impatto sulla comunità locale. Si, lo so, lo fa anche Eataly, ma qui i prezzi sono molto più bassi, in linea con le possibilità dei clienti abituali di zona e con una tradizione autenticamente popolare. “Questo mercato è nato con le persone del quartiere, una vera e propria petizione popolare che non ne ha permesso la chiusura” mi racconta Marta. Una rivendicazione che nasce dagli abitanti e che viene canalizzata attraverso il linguaggio del cibo. “L’approccio non era quello di fare storytelling del singolo banco, ma riscoprire insieme un nuovo modo di lavorare con il cibo: un nuovo utilizzo finalizzato all’integrazione, alla conoscenza e alla condivisione” afferma Laura.
Il cibo è anche uno strumento di approccio etnografico e antropologico. L’esempio perfetto è l’aperitivo in lingua araba: i ruoli sono ribaltati, non si parla italiano, ma sono gli italiani che per una volta devono integrarsi e questo forse li aiuta a comprendere meglio lo sforzo che un immigrato compie quando arriva da noi. I corsi di italiano ci sono, ma vengono organizzati in altra sede da diverse associazioni. Come a dire che non importa da dove si comincia a fare integrazione, ma i risultati della comunicazione fra due culture.
Passo poi da Rino, che da quaranta anni si occupa di ortofrutticolo. Da San Siro si è spostato qui e ammette di fare un po’ di fatica, soprattutto nello spiegare che la sua selezione punta a prodotti solo di qualità, e quindi il prezzo è leggermente più alto rispetto ad altri posti. “Fortunatamente ho i miei clienti fissi, non di zona, che tutti i weekend vengono e fanno la spesa per tutta la settimana”. In effetti Rino ha delle vere eccellenze vegetali, e prepara anche delle insalate di farro da portare via. Forse col tempo saprà farsi capire anche dal quartiere. Già, perché il mercato deve rivolgersi principalmente al quartiere, coinvolgendo anche gli spazi all’aperto per iniziative come cinema, concerti, teatro e mostre fotografiche. È una porta d’accesso per scoprire temi che toccano tutta la città, come per esempio la povertà urbana e la questione abitativa. Il mercato è un campo neutro all’interno del quale le diversità culturali possono raccontarsi.
Oltre a fare e ad essere tutto questo, il mercato Lorenteggio aiuta anche a non dimenticare il passato: giovani e anziani hanno lavorato sul tema del cambiamento del quartiere dovuto al piano di riqualificazione producendo un volume intitolato l’Atlante del cambiamento. Anche il progetto GameTrification racconta, attraverso un gioco partecipato, la rigenerazione di un quartiere che affronta il rischio di cancellazione del passato e delle relazioni. Costruire insieme alle persone il cambiamento per accoglierlo e amplificarlo.
Ci sono altri mercati a Milano con uno sguardo fortemente territoriale e che non rinunciano alla specificità del proprio quartiere. Una di queste è il Mercato Comunale Coperto in piazzale Ferrara a Corvetto, dove i commercianti si sono rimboccati le maniche e, insieme ad altre realtà del vicinato, hanno messo in piedi piccole attività per migliorare un rione che è stato negli anni abbandonato. Hanno ripulito le facciate, organizzano merende gratuite per i bambini e cercano di animare la piazza di fronte all’ingresso del mercato con spettacoli e concerti. Sulla carta è prevista una ristrutturazione di alcuni dei negozi dismessi; nel frattempo sono nati una ciclofficina e un laboratorio di cucina collaborativa, per condividere ricette e mangiare tutti insieme.
Anche il Mercato Comunale Monza in Viale Monza 54 si trova in un bellissimo edificio degli anni ’30 di un certo pregio. Addirittura il Politecnico di Milano si è occupato di questo spazio e diverse sono le tesi che propongono progetti di riqualificazione (anche del vicino Mercato Comunale Gorla). Inoltre l’università organizza laboratori ed eventi durante i quali mettono a punto lavori di riprogettazione degli interni, per esempio liberandoli dai controsoffitti che coprono le volte, e s’interrogano sulla relazione tra cibo e design. Ma dobbiamo dire che questo mercato è famoso per La taverna dei terroni: un locale easy che però è stato già preso d’attacco dagli hipster.
Il luogo-mercato diventa un condensatore sociale e il valore della contaminazione è ormai riconosciuto. Infatti il Comune di Milano è sempre più vicino a operazioni come il Mercato Animato: un palinsesto di animazione sociale e culturale organizzato da 9 associazioni che grazie a un fitto programma di workshop, feste, incontri e spettacoli trasformano i mercati in punti di riferimento della vita dei quartieri. Ne fanno parte tra i tanti anche Mercato Ca’ Granda (via Moncalieri, 15) e Il Mercato Rombon (via Rombon, 35) che sono diventati set di una web serie che racconta la vita tra i banchi, e Mercato Prealpi che si è rifatto la veste grafica, puntando così ad una crescita sotto tutti i punti di vista.
Assolutamente da tenere sott’occhio il Mercato Zara (Piazza Lagosta), che è in pieno cantiere e tra 9 mesi sarà possibile acquistare qualunque genere alimentare anche le carni esotiche più strane come la zebra, se proprio se ne sente il bisogno. 900 mq tra interno ed esterno totalmente plastic free, materiali architettonici compresi. Ovviamente non mancherà uno spazio dedicato a programmi educativi soprattutto per scuole e famiglie con cene di comunità.
Tutto facile e positivo? No, naturalmente. È dura mandare avanti uno spazio sociale in modo attivo. Bisogna specificare che i bandi di assegnazione non sono un sostentamento e non fanno fronte alle spese di ristrutturazione che sono a carico dei commercianti. Fondamentali sono le donazioni, gli altri bandi, le consulenze e i micro finanziamenti. La collaborazione con le associazioni di quartiere, come il doposcuola, lo sportello migranti e lo spazio anziani sono necessarie per fare squadra. La finalità è creare autonomia all’interno della comunità.
Ma la domanda che mi faccio alla fine di questo viaggio nel mondo dei mercati coperti è come vengono accolte queste iniziative dal quartiere? La difficoltà sta nel tradurre il quotidiano in un registro adatto alle persone che vivono la zona, stimolando a diventare parte attiva, accendendo la curiosità e puntando sempre in alto. Mi sembra che in molte realtà di Milano questo stia riuscendo molto bene.
Se sento ancora qualcuno dire che il cibo riempie solo la pancia (che palle!) mi permetto di fargli notare che ha molti limiti. Il cibo può essere un mezzo potentissimo di accoglienza, affetto, cultura, integrazione scambio, solidarietà, riflessione… in altre parole, un generatore di felicità.
Ha ragione Ulla, questi sono molto di più di un mercato. Sono luoghi in cui ci si scambiano merci e sentimenti, dove si ricreano quei rapporti familiari che una volta avevamo con i piccoli negozietti e che ora purtroppo stiamo perdendo.