Il ‘pensiero unico’ è il nuovo nemico del governo, ma nessuno sa cosa sia

“Oggi il fascismo è l’omologazione al pensiero dominante […] Oggi fascista è colui che bastona mediaticamente coloro che non sono allineati al pensiero delle élite.” Il 28 luglio Alessandro Di Battista commentava così le critiche dei giornali a Marcello Foa, il candidato presidente della Rai. “Onore a Rita Pavone, che non si inchina al pensiero unico!” scriveva invece lo scorso 28 giugno Matteo Salvini, mostrando il supporto alla cantante nella sua surreale battaglia d’opinione contro i Pearl Jam. “Il regime del pensiero unico disinforma, la Rete è vita e libertà!” esclamava un paio di settimane prima, condividendo un articolo di Repubblica che ne decretava il successo come il politico europeo più seguito su Facebook.

Bastano questi pochi esempi per capire che non si tratta di un vezzo occasionale: “pensiero unico” (con la sua variante “pensiero dominante”) è un’espressione ricorrente nel linguaggio del governo gialloverde e dei suoi sostenitori.

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Ma che cos’è il “pensiero unico”? È “l’uomo incinta”, ma anche “l’antifascismo oggi;” è il “gender”, ma anche la cancellazione de L’Arena di Giletti dai palinsesti Rai; è chi protesta se una giornalista del TG1 indossa un crocifisso, ma anche l’euro (“moneta unica, pensiero unico, crisi unica”). Il sito del quotidiano diretto da Maurizio Belpietro La Verità ha addirittura un’intera categoria dedicata al tema, in cui si trovano articoli che spaziano dalle prese di posizione del Papa contro il razzismo al codice anti-molestie di Netflix, passando per Piero Angela che “usa la scienza per fare politica.”

Insomma, di sicuro è un concetto dai confini estremamente elastici, capace di raccogliere qualsiasi idea vagamente liberal e progressista: dall’accoglienza per i migranti ai diritti LGBT, dal #MeToo all’europeismo, in un insieme talmente vago da non coincidere con nessuna posizione politica precisa, ma che viene presentato come un fronte compatto: da una parte ci siamo noi, dall’altra c’è una forza omologante e conformista che vuole distruggerci.

Insieme a “buonismo” e “radical chic,” il “pensiero unico” è entrato stabilmente nel vocabolario d’ordinanza del discorso reazionario, ma, rispetto ai primi due, ha subito un processo di appropriazione molto più radicale.

Il termine nasce infatti in ambienti di sinistra: la sua paternità è attribuita al giornalista Ignacio Ramonet, che nel gennaio 1995 scrive un editoriale con questo titolo (“La pensée unique“) su Le Monde Diplomatique. Ramonet ha in mente un bersaglio ben preciso: per lui, il pensiero unico è “la trasposizione in termini ideologici, che si pretendono universali, degli interessi di un insieme di forze economiche.” In altre parole, è la trasformazione in dato di natura dell’ordine economico neoliberale, rafforzatosi dopo il crollo dell’Unione Sovietica e sempre più svincolato dalla politica, al punto che—come avrebbe sostenuto anni dopo Mark Fisher in Realismo capitalista—diventa impossibile anche solo concepire un’alternativa.

Dalle critiche al conformismo della società dei consumi mosse negli anni Sessanta dalla Scuola di Francoforte (e poi in Italia da Pasolini), l’idea del capitalismo come forza omologante da combattere dal basso confluisce alla fine del secolo nel movimento no-global: “pensiero unico” e “nuovo ordine mondiale” sono espressioni che ricorrono spesso nei comunicati dei social forum e nei testi dei siti di controinformazione a cavallo del nuovo millennio.

Il collasso del movimento no-global è in diretta correlazione con l’attuale ascesa dei nazionalismi: venuta meno la possibilità di una risposta “da sinistra” alla globalizzazione, si è aperto lo spazio per una risposta da destra, che non a caso recupera molte delle stesse parole d’ordine (e degli antecedenti culturali, come Pasolini), trasfigurandole in senso reazionario e spesso complottista. Il nuovo ordine mondiale non si riferisce più al WTO, ma diventa una teoria cospiratozionista antisemita, e lo stesso “pensiero unico,” con quel suo rimando implicito alla “polizia del pensiero” orwelliana, si presta bene a derive paranoiche.

Un personaggio come Diego Fusaro, che tuona contro il capitalismo dalle colonne del giornale di CasaPound, rappresenta il perfetto anello di congiunzione tra le due fasi. Ma la sovrapposizione è solo parziale: dal “pensiero unico” come lo intendono i sovranisti spariscono quasi del tutto le rivendicazioni economiche—ridotte a un vagheggiato ritorno per lo stato-nazione e il protezionismo commerciale—mentre si fa largo un nuovo nemico, decisamente assente dalla concezione di Ramonet: i diritti civili.

Il concetto finisce per inglobare infatti un altro cavallo di battaglia delle destre, questa volta importato da oltreoceano: il “politicamente corretto”—un grimaldello retorico che ha permesso di barricare dietro la libertà di espressione o l’anticonformismo qualsiasi idea discriminatoria, opposta a un’immaginaria “dittatura liberal.” L’argomentazione è lo stessa—un’oppressione denunciata da una posizione, in realtà, dominante—ma funziona: è così che un bancarottiere miliardario come Donald Trump è riuscito a passare per “anti-establishment,” abbracciando linguaggi e comportamenti solitamente evitati tanto dai progressisti.


Cosa significa radical chic? L’abbiamo chiesto a un po’ di persone:


Con lo sdoganamento da parte di Salvini, la lotta alla temibile dittatura del pensiero unico è entrata di diritto nell’ideologia di governo—non senza trovare terreno fertile anche nel secondo polo della coalizione “gialloverde.” Anzi, proprio in questa sorta di “cospirazionismo pop”—come l’ha definito Giuliano Santoro sul Manifesto— si può individuare una convergenza profonda tra i due alleati di governo, che costituisce uno dei tratti essenziali di quello che genericamente si definisce “populismo”: l’idea di essere costantemente sotto attacco da parte di un nemico invisibile—la casta, i poteri forti, i giornali, le lobby, gli eurocrati—capace di insinuarsi ovunque e disposto a tutto pur di ostacolare la battaglia eroica degli unici politici davvero al servizio dei cittadini.

Questa retorica permea da sempre tutta la comunicazione del MoVimento 5 Stelle: sfogliando i post del blog di Beppe Grillo—che tanto deve alla postura dei siti di controinformazione del primo internet italiano—le nozioni di “pensiero unico” e “politicamente corretto” si incontrano con una certa frequenza. “Il Sistema, nelle sue varie e molteplici forme, diverse, ma protette dal medesimo scudo di perbenismo […] usa il politically correct per mozzare le lingue, etichettare, isolare chiunque ritenga altro a sé,” scriveva per esempio nel 2012, parlando di un “neo puritanesimo […] che annulla la verità e uccide qualunque confronto,” ovviamente senza specificare a chi o a che cosa si stesse riferendo.

Ma a incarnare in modo più pieno la figura dell’eroe libero che combatte contro l’omologazione e il conformismo c’è sicuramente il già citato Alessandro Di Battista, che nemmeno durante il suo viaggio “nelle Americhe” rinuncia a lanciare stoccate contro il politicamente corretto—ad esempio, per prendersela con i “lacchè di Napolitano” che hanno deciso di indossare le magliette rosse—e che a giugno di un anno fa anticipava così una propria apparizione televisiva: “Vogliono far credere che l’unica forza politica capace di rovesciare questo sistema malato sia la causa di tutti i mali italiani. È il loro obiettivo per questo premiano gli allineati e combattono chi combatte il pensiero unico. Potete crederci o meno ma è questo quel che sta succedendo e che succederà ancor di più da qui alla prossime elezioni politiche.”

Cos’è successo, invece? Che con la nascita del governo “gialloverde” il paradosso del pensiero unico si è compiuto: a denunciarne l’oppressione sono gli stessi che, stando ai sondaggi, esprimono attualmente le posizioni maggioritarie in Italia. Ma la fabbricazione di un nemico immaginario e il perpetuo vittimismo sono le due cifre fondamentali di questo tipo di narrazione, e il risultato è un completo ribaltamento: oggi chi denuncia il “pensiero unico” è proprio chi spinge un pensiero sempre più omologato, escludente e reazionario.

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