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Chi è Miles Davis?

Fin dal giorno che lasciò St. Louis per trasferirsi a New York, ancora adolescente, fino al giorno in cui morì, Miles Dewey Davis III fu il figlio di puttana più fico del pianeta. Non dico “figlio di puttana” per essere volgare; era l’espressione preferita di Miles. Nelle 400 pagine della sua autobiografia compare 312 volte. Miles usava “motherfucker” come la gente di Bologna usa “vez”. Non aveva un significato preciso per Miles, anzi, il senso cambiava a seconda dell’uso e del contesto. È impossibile riassumere la vita eccentrica e la carriera di musicista, pittore e icona della moda senza pari di Miles in una parola o una frase, ma questa ci va vicino: Miles Davis era un vero figlio di puttana.

Per usare le sue stesse parole, Miles ha cambiato il volto della musica “cinque o sei volte”. E forse è dire poco. Appena diciottenne ha giocato un ruolo fondamentale nella rivoluzione bebop dei tardi anni Quaranta, diventando il braccio destro della stella più brillante di quel periodo, Charlie Parker. Poi fu il leader del nonetto che produsse le prime registrazioni cool jazz nel 1949, una serie di 78 giri che fu in seguito raccolta in Birth of the Cool (1957). I suoi grandi quintetti—che trasformarono in star musicisti oggi leggendari come John Coltrane, Cannonball Adderley, Wayne Shorter, Herbie Hancock, Chick Corea e Tony Williams—registrarono album che sono pietre miliari per quasi ogni sottogenere del jazz nato a quei tempi, come ad esempio hard bop, post-bop, jazz modale e fusion.

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Per la frustrazione di critica e pubblico, la musica di Miles era in continua evoluzione; non faceva mai lo stesso disco due volte. La sua lunga e stretta amicizia con il compositore Gil Evans lo portò verso esperimenti con l’orchestrazione jazz che suonano freschi e originali anche a 60 anni di distanza. Alcuni credono che Miles abbia abbandonato il jazz del tutto al suo ingresso nel mondo fusion con dischi come Bitches Brew (1970) e On the Corner (1972). Riemerso dopo una pausa di cinque anni, Miles continuò a far incazzare i tradizionalisti incorporando le moderne sonorità sintetiche degli anni Ottanta, finendo anche per mettere in scena una faida pubblica con un giovane prodigio della tromba che ricordava proprio un Miles adolescente, Wynton Marsalis.

La vita privata di Miles Davis non era meno controversa della sua musica grazie alla tracotanza senza limiti che derivava dalla sua storia di relativamente privilegiato. Si guadagnò il soprannome di “Principe dell’Oscurità” dai media con velenosi attacchi all’America bianca e un comportamento imprevedibile e sostenuto che spesso somigliava a vera e propria ostilità nei confronti del pubblico, in particolare se bianco. Il suo gusto per gli abiti appariscenti e le auto costose lo resero bersaglio di accanimento da parte della polizia, cosa che risultò in vari, e ben pubblicizzati, scontri con il NYPD. Fu raramente fedele alle centinaia di donne che frequentò, e ammise di aver commesso vari atti di abuso domestico. Non esiste una persona nella vita di Miles che non si sia sentita insultata dalla sua inconfondibile voce roca.

Ma oltre agli insulti Miles Davis era in grado di produrre un altro suono: quello della sua tromba. La sua voce da orco e la sua tromba celestiale rappresentano alla perfezione il dualismo di Miles. Come Kanye West, era una persona tanto difficile da amare quanto era geniale, e questo vuol dire molto, perché il suo genio era un gran figlio di puttana.

Forse ti interessa: il Miles Davis bebop?

Miles Davis si trasferì a New York City nel 1944 ufficialmente per frequentare la prestigiosa scuola di musica Juilliard, ma il giovane prodigio diciottenne aveva un movente ulteriore: trovare Bird. Charlie “Bird” Parker era in prima linea nella rivoluzione bebop in locali lungo la 52esima strada e ad Harlem. Miles era rimasto trasfigurato da quell’arte fin da quando aveva sentito Bird e Dizzy Gillespie suonare a St. Louis qualche anno prima, e come Bob Dylan che si trasferì a NYC per trovare Woodie Guthrie, Miles era determinato a unirsi a loro. Bird rimase immediatamente colpito da Miles e rapidamente divennero un duo. Gli assoli rilassati di Miles completavano perfettamente le raffiche nervose del sax di Parker, ma il fatto ancora più importante era che Miles organizzava e procacciava concerti e sessioni di registrazione per il gruppo. Bird era talmente dipendente dall’eroina che anche solo farlo arrivare al locale era un’impresa, e Miles fece tanto da sideman quanto da badante per questo genio tormentato.

Questa playlist è presentata in ordine cronologico, così potrete ascoltare il giovane Miles che progredisce con il tempo e trova la sua identità a fianco di Bird. Bird è chiaramente la star di queste registrazioni, e i critici all’inizio si riferivano a Miles come a una brutta copia di Dizzy Gillespie. Ma il contributo di Miles al movimento bebop su e giù dal palco fu incommensurabile nel diffondere quest’arte fuori da New York City, dove il pubblico bianco la trattava spesso con la stessa paura e lo stesso disdegno con cui trattò il gangster rap negli anni Ottanta.

Playlist: “Now’s the Time, Pt. 4” / “Yardbird Suite” / “Donna Lee” / Milestones” / “Half Nelson” / Dewey Square” / “Scrapple From The Apple” / “Klaunstance” / “Marmaduke”
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Forse ti interessa: Miles Davis con Gil Evans?

Miles Davis conobbe Gil Evans nel 1947, quando quest’ultimo lo contattò per un arrangiamento di “Donna Lee”—la prima composizione di Miles Davis mai registrata—per la Claude Thornhill Orchestra. Miles faceva normalmente riferimento a Evans come suo migliore amico e lo usava come esempio del fatto che “non tutti i bianchi sono cattivi”. Evans era un compositore di grande profondità e lungimiranza, e Miles con il suo suono di tromba scintillante era la musa perfetta per lui. Avendo frequentato la Juilliard, Miles fu in grado di comprendere i concetti musicali più complessi che Evans voleva introdurre nell’orchestra jazz, anche se Miles finì per abbandonare gli studi alla Juilliard perché “parlavano di stronzate troppo bianche per me”.

Birth of the Cool, registrato nel 1949 ma pubblicato con quel titolo nel 1957, fu la loro prima collaborazione, e portò il jazz in una direzione diametralmente opposta al bebop. Come si capisce dal titolo, i 78 giri originali di queste sessioni furono la nascita del “cool jazz”, anche se Miles abbandonò il genere e cedette gran parte del merito per averlo creato a Chet Baker e Gerry Mulligan in quanto fortemente dipendente dall’eroina per i quattro anni successivi alla registrazione. Dopo che fu uscito dal tunnel della tossicodipendenza, Miles si riunì a Evans per Miles Ahead, nel 1957, una versione sofisticata del jazz da big band, e per Porgy and Bess nel 1959, un adattamento di un’opera di George Gershwin. Ma il loro progetto più audace e controverso fu Sketches of Spain nel 1960, che si ispira pesantemente alla musica classica spagnola degli inizi del XX secolo e che diede vita a quello che si potrebbe definire il primo di molti dibattiti sul fatto se si trattasse o meno di vero jazz.

Playlist: “New Rhumba” / “Boplicity” / “Will O the Wisp” / “Gone” / “Venus De Milo” / “The Duke” / “Saeta” / “Deception” / “There’s a Boat That’s Leaving Soon for New York”
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Forse ti interessa: i grandi quintetti di Miles Davis?

Mentre Miles Davis suonava “Round Midnight” con un quintetto al Newport Jazz Festival del 1955, Aram Avakian si girò verso suo fratello George, dirigente della Columbia Records, e gli disse di mettere Miles sotto contratto immediatamente, ma George si oppose perché Miles era ancora considerato un tossico. “Non fare lo stupido”, sbottò Aram. “Hai sentito che cosa ha suonato? È il migliore di tutto il festival!” Alcuni mesi dopo, Miles firmò un’esclusiva con la Columbia. Per questa etichetta, produsse capolavori in quintetto per i successivi 15 anni.

I quintetti di Miles divennero il punto di riferimento dell’improvvisazione jazz per generazioni, oltre ad allargare i confini della teoria musicale. Il Primo Grande Quintetto—Miles, John Coltrane, Philly Joe Jones, Paul Chambers, Red Garland e a volte Julian “Cannonball” Adderley a renderlo un sestetto—registrò quelli che molti considerano essere i migliori album jazz di tutti i tempi, tra cui ‘Round About Midnight (1957), un riferimento alla performance che lo fece arrivare alla Columbia, Milestones (1958) e l’immortale Kind of Blue (1959), l’album jazz più venduto di tutti i tempi.

Miles voleva disperatamente mantenere questo gruppo unito, ma la stella di Coltrane cominciava a brillare troppo perché lui restasse un gregario. Nei primi anni Sessanta, Miles, a quel punto quasi quarantenne, mise insieme un altro gruppo di adolescenti totalmente sconosciuti al pubblico—Herbie Hancock, Tony Williams, Ron Carter e Wayne Shorter—e i prodigiosi giovani talenti divennero gli strumenti con cui Miles scolpì la propria visione. Gli esperimenti del gruppo con melodie e accordi non ortodossi e poliritmi produsse opere fondamentali per l’epoca post-bop che incorporavano elementi di free jazz senza tuttavia rientrare completamente nel genere; Miles infatti rifiutò con forza il free jazz in quanto cospirazione bianca per distruggere la musica nera. Miles Smiles (1967) è il punto più alto raggiunto dal Secondo Grande Quintetto, ma Sorcerer (1967), Nefertiti (1968), Miles in the Sky (1968) e Filles de Kilimanjaro (1969) sono affascinanti punti cardine verso la svolta elettrica.

Playlist: “Dr Jackle” / “Conception” / “Freedom Jazz Dance (Evolution of the Groove)” / “So What” / “Milestones” / “Footprints” / “Black Comedy” / “Nefertiti” / “Ah-Leu-Cha” / “‘Round Midnight – Live (1955 Version)”
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Forse ti interessa: il Miles Davis jazz fusion?

Il padre di Miles Davis era un dentista e un membro prominente della comunità nera di St. Louis. Miles non visse la vita di povertà che molti afroamericani dovettero affrontare, e questo fatto fu sempre un problema per lui. Nei tardi anni Sessanta, raggiunse un punto di rottura. La morte di John Coltrane nel 1967 ammutolì il mondo del jazz, e Miles si rese conto che il suo pubblico era composto perlopiù da persone bianche in età avanzata. Voleva disperatamente trovare una connessione con il pubblico giovane e nero che nel frattempo si era spostato sul rock e il funk. Tramite il suo giovane pianista Herbie Hancock e il bassista Ron Carter, Miles scoprì i suoni elettronici di quegli strumenti e già nei primi anni Settanta Miles era più una rock star che un musicista jazz.

Le sue esplorazioni elettroniche cominciarono con il Secondo Grande Quintetto, con Miles in the Sky (1968) che vede per la prima volta uno strumento elettronico in un suo disco. Ma un anno dopo fece esplodere il quintetto con In A Silent Way (1969) utilizzando due pianisti elettrici (Herbie Hancock and Chick Corea), una chitarra elettrica (John McLaughlin) e un organo (Joe Zawinal). I critici dell’epoca accusarono Miles di inseguire le tendenze con i suoi album fusion. C’è un fondo di verità in questo, ma è anche vero che produsse senza dubbio due dei migliori dischi della storia della jazz fusion: Bitches Brew (1970) e On the Corner (1972).

Per quanto oggi sia considerato uno dei suoi album migliori, On the Corner fu un flop clamoroso, il che giocò un ruolo fondamentale nel ritiro dalle scene di Miles a metà anni Settanta, un periodo in cui ebbero la meglio su di lui alcol, cocaina e sesso. Quando ritornò, nei primi anni Ottanta, continuò a incorporare nel suo suono la moderna elettronica. Tuttavia, visto che i synth anni Ottanta avevano quel suono innaturale, i suoi lavori post-ritiro sono invecchiati piuttosto male; Tutu (1986) è il punto più alto di quest’epoca. Uno dei grandi momenti potenziali della carriera di Miles è l’album che stava progettando insieme a Jimi Hendrix prima che quest’ultimo morisse improvvisamente nel 1970.

Playlist: “Stuff” / “John McLaughlin” / “Black Satin” / “In A Silent Way/It’s About That Time” / “Frelon Brun (Brown Hornet)” / “Right Off” / “Tutu” / “Jo-Jo”
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Forse ti interessa: il Miles Davis romantico?

Miles Davis odiava rispondere a domande sui suoi vecchi dischi; voleva che tu ascoltassi la roba nuova. Questo atteggiamento è perfettamente rappresentato dalla sua famosa frase: “Sai perché ho smesso di suonare ballate? Perché adoro suonare ballate”. Per quanto il suo approccio votato al futuro l’abbia portato a innovazioni che si possono ancora sentire nella musica di oggi, uno dei più dolorosi sacrifici per i fan fu la scomparsa delle ballate. Il suono cristallino della tromba aperta di Miles e il ronzio della sua sordina Harmon, suonato su uno sciabordare di accordi di pianoforte, può sciogliere anche il più gelido dei cuori. È il caso di evidenziare ancora una volta che il rapporto di Miles con le donne è stato a tratti disgustoso, e che il lato oscuro del suo personaggio merita una critica severa. Ma separando l’arte dall’artista, le ballate di Miles sono senza dubbio parte della miglior musica composta nel XX secolo e, nel XXI secolo, sono ancora la perfetta colonna sonora per le sessioni di coccole.

Il grosso delle ballate di Miles fu registrato a metà anni Cinquanta, quando era sotto contratto con la Prestige. Dopo aver firmato con la Columbia, il volume delle ballate si ridusse, ma come succede in gran parte della discografia di Miles, questo periodo produsse il meglio della sua musica da dolce amore. “Someday My Prince Will Come”, tratta dall’album omonimo del 1961, è una versione senza tempo della canzone di Biancaneve; è anche una delle ultime volte che Miles suonò con Coltrane. Le due ballate su Kind of Blue—“Flamenco Sketches” e “Blue in Green”—porteranno lacrime garantite anche al millesimo ascolto.

Playlist: “Someday My Prince Will Come” / “It Never Entered My Mind” / “Flamenco Sketches” / “In Your Own Sweet Way” / “My Old Flame” / “Stella By Starlight” / “When I Fall In Love” / “I Fall In Love Too Easily” / “I See Your Face Before Me” / “Blue in Green”
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