Ho percorso mezza Italia in FlixBus per capire i motivi del suo successo

Qualche giorno fa ho preso due bus low cost FlixBus nel giro di 24 ore. Ho viaggiato più di 900 chilometri dal centro al nord Italia e ritorno, sudato tre magliette, passato diverse ore con la nausea, tentato di dormire e fallito.

E l’ho semplicemente fatto per capire come FlixBus sia riuscito a ritagliarsi uno spazio tale nell’immaginario dei giovani, e nelle notizie dell’estate: con addirittura Matteo Renzi che si spende contro la chiusura della società di autotrasporti a prezzi popolari, e il raggiungimento di nuovi vertici di utenza, con una crescita del 70 percento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno e l’apertura di nuove tratte e ‘stazioni‘.

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Bello il mio lavoro, eh?

Flixbus è un servizio nato in Germania non molto tempo fa, nel 2011, che fin da subito ha registrato una crescita esponenziale: quattro anni dopo, apriva la sede milanese e cominciava a espandersi in tutta Europa. Oggi puoi prendere un FlixBus per andare da Milano ad Aix-en-Provence per poco più di 40 euro, o sprecarne 15 per andare da Perugia a Milano per puri scopi sociologici.

Devo premettere che sono un fan del FlixBus, ma forse proprio per questo non mi sono mai fermato a ragionare sulla questione: dopo il boom mediatico di quest’estate, invece, era giunto il momento di capire il motivo di tanta affezione da parte di una vasta fetta di popolazione italiana (tra cui ricordiamolo, anche il Partito Democratico), chi sono i fruitori di questo servizio, e se i soldi risparmiati sono sufficienti a giustificare gli sguardi di compatimento dei miei colleghi quando arrivo in ufficio dopo una notte in bus.

In un autogrill da qualche parte in centro Italia.

“Sarò la persona che odierai in questo viaggio,” ho detto a una ragazza mentre mi sedevo accanto a lei, in assenza di coppie di sedili libere. Lei mi ha guardato e non mi ha risposto. Poco dopo, quando mi sono reso conto spiandole il telefono che non era italiana, le ho ripetuto la frase in inglese. Non mi ha risposto comunque. Ottimo inizio.

In ogni caso, mentre il bus lasciava Perugia direzione Milano all’1 e 55 di notte—perché il servizio è 24 ore su 24, e questo orario nello specifico è parecchio gettonato perché arrivi a Milano alle 9.30 del mattino, fresco per una giornata in ufficio—ho pensato che anche questa volta, come tutte le altre, non avrei dormito, e ho cominciato a ripercorrere in testa tutti i ricordi di viaggio che mi porto dietro: ogni viaggio mi è effettivamente valso un ricordo nitido di qualcosa di estremamente assurdo.

Come quella volta che mi sono ritrovato accanto a un tizio che è riuscito a ingollarsi un cartone da sei di Ceres calde, fumarsi una mezza canna a ogni fermata, e poi scendere a Milano più lucido di me e salire su un’Audi A3 nuova di zecca. Non penso fosse neanche un caso che somigliasse a “Boston” George Jung, davvero. Questo esempio è esemplificativo del fatto che su un FlixBus puoi trovarci un po’ chiunque—ricchi a parte. O meglio, ricchi (dove per ricchi intendo tutti quelli che possono pagarsi un affitto senza fare tre lavori) che non hanno qualcosa da nascondere a parte. Diciamo che non credo che “Boston” George sia mai stato sottoposto a un controllo per salire su un FlixBus, a parte la scansione del codice a barre.

Ad ogni sosta, quando le luci si accendevano e la stanzialità mi consentiva di non provare un conato di vomito nel percorrere il corridoio tra i sedili, cercavo di scambiare due chiacchiere con i passeggeri e capire chi erano. C’era puzza di sudore, un sacco di gente senza scarpe e, appunto, un buon assortimento di persone: studenti squattrinati vestiti male, madri con figli piccoli, ultras che puzzano di birra, uomini stressati di mezza età, uomini anziani con il simbolo del M5S come foto profilo.

Il motivo per cui l’umanità sul bus è così variegata è che lo stesso viaggio che ho fatto mi sarebbe costato 40 euro in più con un treno—e in un momento storico come questo, a parte la mia personale condizione di ventenne con le mani bucate, perché dovresti rifiutare un’offerta così allettante? Quindi eccoci qui: in piena notte, un po’ oltre Bologna, schiacciati su dei sedili di plastica di un bus con l’aria o sempre troppo calda o sempre troppo fredda, a condividere la scomparsa della classe media.

C’è una considerazione da fare, a questo punto. Stare su un Flixbus è un momento di condivisione sociale e di intimità (per dimensioni, per numero di persone) maggiore che stare su un Frecciarossa. Eppure, e lo dimostra il fatto che le mie chiacchiere continuavano a cadere nel vuoto, a differenza che su un treno ad alta velocità fare amicizia è molto difficile: quello che vedi delle persone più prossime a te sono spesso la testa ciondoloni di quella che hai di lato e lo schienale della poltrona di quella che hai davanti. La vicinanza forzata e la stanchezza non ispirano certo gentilezza, né sono il miglior lubrificante sociale. Nessuno posa il giornale piegato perfettamente sul tavolino davanti a te, e questo taglia fuori la mia entry line preferita: ehm, se hai finito di leggere il giornale posso dare un’occhiata?

“Cosa fai a Milano?” ho chiesto a una ragazza dall’altra parte del corridoio, una ragazza dall’apparenza tranquilla e simpatica, una qualunque compagna dell’università. Mi ha risposto che ci vive, che prende spesso il FlixBus per andare a trovare il suo ragazzo: “Sta a Napoli e ci vediamo più o meno una volta al mese,” mi ha spiegato. Come me, molte persone sul FlixBus erano clienti abituali, che una volta provato avranno pensato, “Ma che mi importa dei servizi, con quello che costa!” Proprio come me.

Infatti, nulla di cui quelli di FlixBus si vantano sul loro sito è del tutto vero: la velocità della rete Wi-Fi è come quella dell’ADSL che avevo a otto anni, quando i Mac avevano ancora quel cassettone tondo attaccato dietro. “Lo spazio per le gambe”, a meno che tu non sia veramente basso, è ridicolo. “Prese di corrente”, sono delle prese praticamente sotto le tue scarpe, che per qualche motivo ti mangiano parti di caricatore. “Snack e bevande” non ci sono su tutte le tratte, e anche se ci fossero, vi sconsiglio di bere e mangiare qualsiasi cosa per evitare poi di dover affrontare il bagno del FlixBus: un tugurio verticale di plastica che puzza di chimico e corre a pochi centimetri dall’asfalto—motivo per cui anche una piccola buca è percepita come un’esplosione di una mk2 sotto alle scarpe.

Il signore con la foto profilo del M5S, dietro a uno che cerca di dormire in una classica posa da FlixBus.

Mentre comincio a vedere le luci dell’hinterland milanese dal finestrino, mi viene da pensare che non ci sia nulla di fisicamente attraente in un FlixBus che giustifichi quell’impennata del 70 percento nelle utenze. Anzi, ci sarà sempre l’adolescente con la trap troppo alta in cuffia, ci sarà la tizia che mangia le patatine a bocca aperta, sbriciolandoti addosso, sopraffatta dall’irrefrenabile necessità di commentare qualsiasi cosa, e ci sarà sempre la cervicale che ti porti dietro una volta sceso. Ma alla fine quello che conta è arrivare, no?

Dodici ore dopo sto tornando a casa, sono di nuovo su un FlixBus. Una tizia accanto a me ha ascoltato sette volte—sì, sette volte—di fila “Sign of the Times” di Harry Styles. Ha parlato su FaceTime—sì, FaceTime—con il suo ragazzo e ha mangiato un Bounty—sì, ancora li fanno.

Nonostante quello che pensa chi ha abbastanza soldi per pagarsi i treni ad alta velocità, viaggiare su un autobus di notte non ha niente di avventuroso: come dicevo, raramente riesci anche solo a parlare con le persone. Nessuno ha mai importunato me, né le ragazze intorno a me. Nessuno mi ha mai offerto droga, e non somiglia a un Interrail—non è un’esperienza collettiva. È anzi una non esperienza; se non in quest’articolo, raramente ne ho parlato (ho parlato delle persone che vedevo, ma questo è diverso); è un mero strumento. E forse proprio in questo ha fatto così presa sulla mia generazione. A me importa arrivare da un punto A a un punto B a un costo bassissimo. Un costo che onestamente nemmeno sapevo di volere.

Quando sono sceso a Perugia c’era altra gente pronta a salire a occupare i posti che si erano liberati. I due autisti si sono dati il cambio. Un altro bus, diretto a Roma, stava arrivando, io sono andato alla macchinetta più vicina a prendere un Bounty, di cui insieme alla memoria mi era salita la voglia, e ho prenotato un altro FlixBus da prendere tra 10 giorni.

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