Cosa non capiamo delle proteste contro l’alternanza scuola-lavoro

Domenica 25 marzo gli studenti del liceo classico Vittorio Emanuele II di Napoli hanno protestato contro l’alternanza scuola-lavoro. Dovevano lavorare gratis come “volontari” per il FAI—pur avendo chiesto di poterlo evitare poiché di ritorno da un viaggio di istruzione—e si sono rifiutati di indossare il badge da volontario, sostituendolo con un altro fatto da loro che diceva “Alternanza scuola-sfruttamento. Questo non è formativo.” La delegata del FAI presente ha minacciato provvedimenti, fino a comunicazione di un possibile 7 in condotta a fine anno.

Qualche giorno fa, uno studente di un ITIS di Carpi è stato invece punito con l’annuncio di un 6 in condotta per aver pubblicato un post su Facebook—il cui testo esatto non è citato da nessuna delle fonti che riportano la notizia—in cui criticava l’alternanza-scuola lavoro dopo il primo giorno passato in una ditta metalmeccanica nell’ambito del progetto.

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Questi due casi, usciti a distanza di una settimana l’uno dall’altro, hanno riacceso l’attenzione sul tema dell’alternanza scuola-lavoro, il metodo didattico obbligatorio introdotto dalla “Buona Scuola” che prevede un periodo di formazione in azienda per gli studenti degli ultimi tre anni delle superiori.

Negli ultimi giorni ho visto girare una serie di opinioni al riguardo—espresse da uno spettro di voci che va da Christian Raimo a Frankie Hi-Nrg. Si tratta di critiche giuste ma che, a mio avviso, hanno un difetto fondamentale: parlano a nome degli studenti, ma non toccano i diretti interessati. Sono scritte e lette da esterni, ci fanno indignare ma non lasciano niente ai 17-18-19enni precettati per stare alla cassa di un autogrill o in fabbrica, o rompersi la tibia mentre guidano un muletto, o per fare le guide “volontarie” del FAI.

Invece è proprio a loro che non si parla e bisognerebbe parlare. Come dimostrano questi ultimi casi, gli studenti costretti in situazioni che trovano scorrette e tutt’altro che formative sono i primi a prendere l’iniziativa per protestare. Il problema è che si muovono in un ambiente ostile, in cui ci vuole poco per punirli, e che le sponde che trovano fuori da quell’ambiente sono limitate ai commenti indignati sulla loro situazione.

Per questo credo che l’aspetto interessante dei casi di Napoli e Carpi non riguardi tanto le misure adottate contro i ragazzi per farli rigare dritto—che, come ha detto Raimo, di base sono minacce e ricatti—quanto il modo in cui i ragazzi hanno cercato di opporsi. Le loro proteste sono state spontanee, organizzate e animate da un livello sorprendente di coscienza per persone della loro età.

Certo, in nessuno dei due casi i ragazzi sono riusciti a evitare l’alternanza scuola-lavoro, ma non penso neanche fossero così ingenui da voler ottenere questo. Sono però riusciti a far parlare del tema in modo critico e, soprattutto, a tirar fuori una questione estremamente importante: quella della loro consapevolezza. Ci hanno detto che ci arrivano da soli a capire che sono sfruttati, ci arrivano da soli a capire che questo sfruttamento è mascherato da opportunità e ci arrivano da soli anche a capire che il modo migliore per protestare contro questo sfruttamento è smascherarlo.

Il video dello studente di Carpi diffuso giovedì dimostra in modo inequivocabile questa cosa. In primo luogo, Aleksandar—questo il suo nome—ha attaccato il comunicato pubblicato dai rappresentanti d’istituto che, parlando anche a suo nome, si sono schierati dalla parte della scuola parlando di una vicenda “davvero troppo strumentalizzata” che “ha assunto toni eccessivamente offensivi” nei confronti del preside e del corpo docente.

In secondo luogo ha ribadito le sue posizioni, “e cioè che l’alternanza scuola-lavoro è sostanzialmente un sistema di sfruttamento che consente alle aziende di impiegare una forza lavoro poco specializzata ad un costo zero, per quanto si dica il contrario per convincerci che loro ci fanno un favore.”

Di fronte a questa consapevolezza c’è da constatare una cosa: la critica, l’indignazione e i dibattiti sul tema dell’alternanza scuola-lavoro sono drammaticamente in ritardo rispetto alla realtà. Il loro pubblico, i loro lettori hanno già ben chiara la situazione.

Nella loro protesta, i 17-18-19enni si stanno rivolgendo a tutti coloro che dovrebbero fargli sponda e supportarli fuori dall’ambiente scolastico.

Proprio in questi giorni, tra l’altro, dal liceo napoletano è stato lanciato un nuovo appello alla mobilitazione, invitando tutti gli studenti del paese a mettere in campo azioni di protesta contro l‘alternanza scuola-lavoro.

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