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Il rap di Ernia è fatto di contrasti e non potrebbe essere altrimenti

Ernia

Ernia ha vissuto tante vite nei suoi 26 anni. Da giovane promessa del rap italiano nei Troupe d’Elite, si era poi allontanato e la sua vita si prospettava lontana dai palcoscenici, tra lavori diversi e un trasferimento a Londra.

Tuttavia poi è seguita una rapida risalita, con una serie di progetti convincenti che hanno smussato sempre più le facce della sua produzione artistica e hanno mostrato al pubblico un rapper capace di eccellere in tante categorie. Del resto, i fan di Matteo Professione, aka Ernia, sono molto diversi tra loro.

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La copertina di ‘Gemelli’, clicca sulla copertina per ascoltare il disco su Spotify.

C’è il fan di quanto Matteo definisce “street rap”, quello che sente come proprio genere, e ci sono poi gli ascoltatori in cerca di “rap conscious”, che vedono in lui uno dei migliori liricisti della nuova scuola italiana.

I precedenti dischi di Ernia vivono proprio in questo chiasmo tra i suoi momenti di maggiore fiducia e animo come “No Pussy” in 68, e quelli dell’Ernia più riflessivo e a tratti malinconico di “Tosse (La Fine)”, sempre dallo stesso disco. E se è vero che molti dei rapper suoi coetanei hanno trovato il successo grazie a una strada lineare, fatta di perfezionamento del proprio talento all’interno di un recinto molto ristretto, Ernia ha scelto invece una via più tortuosa.

Mentre molti suoi coetanei hanno scelto una strada lineare, Ernia ha scelto la via più tortuosa.

Il rapper ha cercato infatti di eccellere in più campi e di giocare da protagonista in diversi campionati allo stesso momento. La strada verso il successo si è rivelata più lunga, ma, passo dopo passo, il suo 68 ha raggiunto comunque il disco di platino.

Mi sarei immaginato di sentire un po’ di tensione nelle sue parole alla vigilia dell’uscita del nuovo disco, eppure Ernia è del tutto tranquillo, gioviale e scherzoso. Poco prima di ascoltare l’album ho ripensato alla gestazione problematica di questo disco, causata dalla pandemia globale, e al suo posto avrei avuto tantissimi ripensamenti.

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Per questo, quando l’ho finalmente ascoltato mi sono sorpreso. Gemelli è un lavoro adatto a questo periodo, che unisce la voglia di vivere la strada e la compagnia che ci è mancata negli ultimi mesi—come in “Puro Sinaloa”, remake eccezionale del pezzo culto del Club Dogo—, a un po’ di malinconia per quello che ci succede intorno —ascoltatevi “Morto Dentro”.

La formula è quella di sempre: c’è tutto Ernia nel disco, i Gemelli che vivono e lottano dentro di lui. E così si passa rapidamente dall’upbeat di “Vivo”, prodotta da Marz e Zef, alla già citata “Morto Dentro”, con le chitarre spettrali del beat di Sick Luke, per ritrovarsi poi con l’odore di marmitte e gomme bruciate di “Puro Sinaloa”.

C’è tutto Ernia nel disco, i Gemelli che vivono e lottano dentro di lui: l’’upbeat di “Vivo”, le chitarre spettrali di “Morto Dentro” e l’odore di marmitte e gomme bruciate di “Puro Sinaloa”.

Soprattutto, la vera hit del disco, cioè “Superclassico”, che profuma di estate e di amori che fanno il giro dell’ombrellone e che forse ritornano. E, se lo fanno, prendono un autobus strapieno che ci porta dalla sua Bonola fino a sotto il Duomo.

Noisey: Come ti senti oggi alla vigilia dell’uscita di Gemelli?
Ernia: Sento un misto di sollievo, felicità ed eccitazione. L’attesa ha aumentato il desiderio, di certo. Però all’inizio la maniera in cui è prospettata questa situazione è stata un bel problema, e ha impattato molto anche sul mio umore. È stato pesante ma ora finalmente siamo arrivati all’uscita e per la prima volta nella mia vita sono molto felice di far uscire un progetto. Sono felice io, felice del disco ed è un momento felice… quindi bene!

Tra i temi principali troviamo i Gemelli dentro di te e la tua musica. Un Ernia di Bonola a Milano, ma anche un Ernia in viaggio. Gli Stati Uniti con Luchè, le sessioni a Napoli con D-Ross e Startuffo, o a Roma con Sick Luke.
Credo che nel disco, come in quasi tutti i miei progetti, ci sia quasi sempre Milano come base. Non ho mai fatto gangsta rap, però ritengo di aver fatto sempre street rap. La maggior parte della mia vita alla fine riguarda faccende di quartiere. E infatti Bonola e QT8 sono sempre presenti nella mia narrativa. Anche se mi sono spostato di più che per gli altri dischi, c’è poco che proviene da fuori in realtà, anche se io chiaramente vivo i pezzi in maniera diversa dell’ascoltatore. Ogni pezzo io lo ricollego ai luoghi dove ho finalizzato il lavoro, qua a Milano. Quello che racconto l’ho vissuto qui, nella maggior parte dei casi.

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In un’intervista recente di Rap Radar a Drake, diceva che il momento più difficile della stesura del disco è la tracklist, perché deve accontentare i fan del Drake che rappa, i fan del Drake melodico e così via. Anche tu hai fan che stimano diverse tue anime artistiche, eppure Gemelli è sintetico.
Difficile non lo è stato, e anzi ho scritto molto serenamente. Diversamente dai dischi precedenti, in cui ero molto quadrato, ho fatto andare la penna e mi sono proprio rilassato. Ho detto: “Cazzo, se non piace a me fare questo lavoro”, e a me piace, quindi è filato tutto liscio. Se fisso dei concetti che capisco solo io o faccio delle scelte che piacciono solo a me, non serve a niente fare un disco. Devo per forza rilassarmi mentre lo faccio e così mi è venuta semplice anche la scaletta. Non sono Drake, a me è venuta facile [risata NdA].

E perché Gemelli?
Perché ho giocato molto sul tema del contrasto. Il disco secondo me scorre molto bene, però se ci fai caso la seconda e la terza traccia sono “Superclassico” e “Puro Sinaloa”, cioè due brani agli estremi. È una scelta voluta, ho scelto due tracce che si massacrassero a vicenda.
Lo stesso vale per “Morto Dentro” e “Non me ne frega un cazzo”. La prima come musicalità riporta un po’ a Lil Baby e Gunna, quel mondo lì che ora va per la maggiore. Invece, “Non me ne frega un cazzo” è una roba veramente hip hop West Coast. Il disco si muove tutto su questi contrasti.

In Gemelli ho giocato molto sul tema del contrasto, il disco si muove tutto su questi binari.

Una tua caratteristica è che citi esplicitamente le tue fonti d’ispirazione. In 68 c’era “King QT” ispirata a “King Kunta” di Kendrick Lamar, e oggi c’è Kanye West.
Sì, certo, il pezzo con Luchè “Pensavo di ucciderti” è una citazione a “I Thought About Killing You” di Kanye. Non ho mai cercato di camuffare la cosa. Il rap è un genere assolutamente meticcio. Poi in Italia appena fai un pezzo ti accusano di plagio, s’è c’è una base simile son tutti convinti che sia una scopiazzatura. Questo è il genere dei mixtape, il genere della meticciata, della bastardata, del “prendo quello che mi piace e lo faccio pure io”. “Puro Sinaloa” ripresa da “Puro Bogotà” dei Club Dogo ne è l’esempio. Io faccio rap, forse sono gli altri che non sanno cosa vuol dire.

C’è mai stato qualche problema per questo?
Quando cantai per intero “Serpi” di Jake La Furia al Gate Club a Milano due anni fa, l’ho fatto perché mi piaceva. Gli americani lo fanno sempre: se mi piace un pezzo, io lo canto sul palco, anche se non è il mio, l’importante è che piaccia alla gente. C’è qualche esponente della scena, per fortuna non di rilievo, che ha avuto da ridire e ha detto, in modo dispregiativo, che sono “il rapper che fa le cover”. La cover è intrattenimento ed è una forma di rispetto per l’autore del pezzo. Jake è stato il mio rapper preferito di quando ero adolescente quindi perché non farlo anche io?

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Parlando di Jake la Furia, quanto è stato difficile organizzare il remake di “Puro Bogotà”?
La proposta è stata mia. Considerando che è una bomba, se l’avessero proposta gli altri l’avrebbero voluta nel loro disco (ride NdA.) Per chi è amante del genere, questo è un momento topico. Ti permette di rivivere quei momenti e quegli anni. E rivivere anche la nostra adolescenza. L’ho proposto a Don Joe e poi sapevo già chi mettere: i milanesi con i quali son cresciuto, come Lazza e Rkomi. Tedua, per quanto sia genovese, ha passato la sua infanzia a Milano fino ai 14 anni, quindi è cresciuto con me e dovevo chiamare lui e gli altri per forza.

Come dicevi prima, dopo “Puro Sinaloa” c’è “Superclassico”: una bella metafora e l’insieme delle tue anime, un racconto sia scanzonato che malinconico. Quando l’ho sentita ho pensato: “Ernia fa il singolo di platino in scioltezza”. Però sei uscito senza singoli sino al lancio del disco. Come mai?
Io son sempre stato contrario ai singoli. Con il mio team volevamo all’inizio far uscire “Superclassico” ma poi mi sono opposto con tutte le mie forze. Sai, i singoli sono strani. Se senti il singolo di un altro artista poi riesci a capire dove andrà a parare il disco, perché generalmente i dischi hip hop seguono tutti lo stesso filone.

Io ho sempre avuto un approccio diverso, che unisce diversi filoni assieme e così diventa tutto più difficile.

Qual è stato il tuo ragionamento allora?
Io ho sempre avuto un approccio diverso, che unisce diversi filoni assieme e così diventa tutto più difficile. Se avessi fatto uscire “Puro Sinaloa” come singolo, probabilmente le radio e il mondo un po’ più mainstream avrebbero detto “Che cafone, ecco qua un altro disco hip hop che fa la cafonata”. Se invece avessi fatto uscire “Superclassico”, il mondo hip hop avrebbe detto che sono diventato pop per cercare di vendere. Così come con “Bugie” mi avrebbero detto: ecco un altro pezzo asciugo.

In questi mesi di quarantena hai cambiato opinione sul disco?
Mi sono piaciuti di più tutti i pezzi. All’inizio c’era qualche pezzo che proprio non mi convinceva, e invece adesso, ascoltandolo negli ultimi giorni, mi sono convinto. Durante la quarantena non l’ho proprio sentito, perché altrimenti mi sarebbe venuta ansia.

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Come ti immagini Gemelli dal vivo dopo il coronavirus?
Non te lo saprei dire. So di sicuro che andrò con la mia solita formazione, con dj e me. Io ho sempre preferito, e voglio, il one man show e non sono un fan delle band. Anche perché poi i pezzi hip hop suonati non sono mai come su disco. Ho sentito i live dei miei colleghi con le band e non sono come nel disco. Magari c’è qualcuno a cui piace di più, ma io sto facendo rap. Della batteria vera, della chitarra e del basso non mi interessa. A me piace che un po’ il suono sia di merda. Potrò non sembrare un cultore della musica, ma a me questo genere piace perché è fatto un po’ a cazzo di cane (ride NdA).

Quindi niente strumenti suonati dal “vero”?
Magari ci sono dei pezzi che sono suonati da strumenti veri, però poi a me piace così, senza la band ai live. Ad ogni modo, sono sicuro che ai live andrà molto forte “Vivo”, così come “Superclassico” e “Ferma a Guardare”. “U2” sarà divertente perché sarà il pezzo del disco che farà saltare la gente ai live. Il pezzo è piatto, senza sconvolgimenti nella base, però proprio questo aspetto permette la cantino tutti.

Io ho sempre preferito il one man show e non sono un fan delle band. Anche perché poi i pezzi hip hop suonati non sono mai come su disco.

Lazza ha detto recentemente che farebbe un disco solo con Giaime. Qualche anno fa Santeria di Marracash e Gué Pequeno ha rivoluzionato il rap italiano. C’è un tuo gemello con cui faresti mai un disco? O forse due, pensando a Mecna e Coco…
Un disco in coppia è già un problema, figurati in trio. Devi soddisfare tutti i bisogni di tutti gli artisti. Già in due nei feat è una tragedia scegliere mix, master e voce di tutti. Sinceramente ad ora non me la sento di fare un disco con qualcuno. Poi considera che io come approccio son completamente staccato: sento la base e registro, poi non intervengo nella fase di post-produzione. Poi ora ti dico così e magari tra due anni cambio idea o sorge la possibilità di farlo… Se mi offrono un milione di Euro, ti richiamo e ti dico: “ma sai che in realtà mi è sempre piaciuto l’idea di fare un disco in coppia” (Ride NdA).

Del resto hai già fatto il disco in coppia con i Gemelli dentro di te. Grazie Ernia.
Questo di sicuro, grazie a te.

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