Cultura

La strana storia della più grande rapina in un regime comunista

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La mattina del 29 luglio del 1959, a Bucarest, cinque uomini armati sono saltati fuori da un taxi e hanno assaltato il furgone blindato della Banca Nazionale della Romania. Il veicolo si era fermato davanti a una filiale della banca e i rapinatori hanno minacciato l’autista e il passeggero per farsi consegnare il denaro—mucchi di contanti provenienti dagli stipendi dei lavoratori.

Nella Romania comunista le rapine a mano armata erano un fatto piuttosto raro, visto che il Paese di fatto era uno stato di polizia governato col pugno duro. Capita la gravità della situazione, l’autista si era arreso in fretta e aveva consegnato macchina e denaro, e i cinque uomini erano poi scappati. Non avevano ancora idea di come si sarebbe conclusa questa storia. La rapina, infatti, sarebbe diventata famosa non tanto per il bottino né per le motivazioni che stavano dietro al crimine.

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Quella mattina, i rapinatori avevano raggranellato il corrispettivo attuale di circa 340.000 euro nella valuta locale (il leu)—una somma colossale, se si conta che equivaleva a circa 2.000 salari statali di un anno. Soprattutto, però, il crimine rappresentava a suo modo una breccia nel sistema. Qualcuno aveva osato dubitare e sfidare l’ordine sociale imposto dal partito, un fatto decisamente anormale nella Romania di allora.

Le autorità cominciarono a interrogare gli impiegati della banca, usando metodi di tortura e pestaggi per ottenere le informazioni. Utilizzarono anche la loro vasta rete di informatori, costruita sin dalla creazione della polizia segreta nei tardi anni Quaranta—un’agenzia conosciuta anche come Securitate, o col nome completo Direzione Generale per la Sicurezza delle Persone. Fino a poco tempo prima dell’esecuzione dell’allora dittatore Nicolae Ceaușescu—che aveva governato il Paese dal 1965 al 1989—circa mezzo milione di persone risultavano essere in qualche misura informatori dello Stato.

La ricerca si allargò su tutta Bucarest e persino i ristoranti di lusso vennero tenuti d’occhio, nella speranza che i rapinatori si tradissero con una qualche cena sfarzosa resa possibile dalle ricchezze acquisite. Il desiderio di catturare la banda era così forte che persino Gheorghe Gheorghiu-Dej, il leader comunista di allora, si fece coinvolgere nelle indagini e sollecitò ogni giorno la Securitate per ottenere informazioni sulle identità dei criminali.

Foto in bianco e nero di un uomo mascherato che esce da un taxi con un fucile mitragliatore in mano.
Uno dei membri della banda che rimette in scena l’inizio della rapina. Immagine: National Council for the Study of the Securitate Archive

La macchina utilizzata per la fuga era nel frattempo stata ritrovata in Anibal Teohari, una strada del centro cittadino. Nella fretta di sbarazzarsi del veicolo, la banda aveva lasciato nella vettura circa 43.000 euro in contanti. Le motivazioni dietro al furto continuavano a non essere chiare.

Da lì a breve, però, il quadro cominciò a delinearsi. Dopo che le indagini alla banca si erano rivelate un buco nell’acqua, gli investigatori avevano seguito una pista che li portava al Ministero per gli Affari Interni. Alcuni ex dipendenti vennero convocati e interrogati. Fu così che al centro della storia finì una coppia di coniugi.

Igor Sevianu, che era stato un pilota di caccia e un ingegnere aeronautico, aveva trascorso gli anni del dopoguerra a lavorare come agente di polizia, guida turistica e per il Ministero degli Interni. Ai tempi della rapina era disoccupato e viveva del salario da insegnante della moglie Monica.

Le ricerche portarono poi gli investigatori a Alexandru Ioanid, che fino al marzo del 1959 aveva lavorato per la polizia. Oltre a essere un ex tenente, Ioanid era anche il cognato di Alexandru Drăghici, il ministro dell’Interno di allora. Anche Paul, il fratello di Alexandru nonché un importante intellettuale a capo del dipartimento di aviazione dell’accademia nazionale militare, era sospettato del crimine.

Stava andando a formarsi un quadro ben preciso, composto da un gruppo di persone che, grazie allo status sociale e professionale, normalmente non sarebbe stato sospettato dalla polizia. Ulteriori conferme arrivarono dagli altri due sospettati individuati dalla Securitate: l’ex professore di storia Sașa Mușat e Haralambie Obedeanum, un altro ex dipendente del Ministero degli Interni, entrambi in quel momento disoccupati.

La polizia aveva quindi individuato in tutto sei sospetti, tutti intellettuali ebrei legati in qualche maniera al Ministero degli Interni. Dopo gli interrogatori, tutti e sei i membri della banda ammisero la colpevolezza e venne pianificato di dibattere il caso a porte chiuse nel novembre del 1959.

Immagine in bianco e nero che mostra una donna in corte e cinque uomini seduti dietro di lei.
Monica Sevianu espone il suo caso, in un’immagine tratta dalla ricostruzione del processo. Immagine: Reconstituirea.

Ed è a questo punto che la storia diventa davvero indimenticabile. Con uno strano colpo di scena, gli investigatori formularono un piano piuttosto bizzarro: imposero alla banda di rimettere in scena il proprio crimine. Davanti a una telecamera.

Probabilmente allettati dall’idea di una punizione più mite, i sei—ribattezzati “la Banda Ianid”—accettarono di “reinterpretare” passo dopo passo la rapina. Una volta filmato il tutto cominciò il processo, e anche questo divenne parte del film in costruzione.

Il 22 novembre il gruppo venne riconosciuto colpevole e cinque membri vennero condannati a morte. Monica Sevianu fu invece condannata all’ergastolo, ma venne poi graziata dopo cinque anni ed emigrò in Israele nel 1970, dove morì sette anni più tardi. I suoi complici vennero tutti giustiziati. Ma perché mai qualcuno avrebbe dovuto rubare una simile somma di denaro senza poterla spendere?

Ancora oggi abbondano le teorie. Considerando il grado di controllo e sorveglianza esercitato del regime di allora, sulla carta qualsiasi grande spesa sarebbe stata subito notata dalle forze dell’ordine. Anche per questa ragione, una delle teorie più accreditate afferma che la gang voleva raccogliere dei fondi per aiutare la causa sionista, il movimento per instaurare e consolidare lo stato di Israele in Palestina.

Durante il processo, il gruppo venne accusato proprio di questo e venne sostenuto che il piano prevedeva di spedire il denaro proprio in Israele. Il problema è che in quel momento storico il leu, la moneta romena, non poteva essere scambiata con nessun’altra moneta. L’ipotesi successiva, quindi, prevedeva che i sei rapinatori avrebbero usato i soldi per comprare dei gioielli da rivendere in un secondo momento.

Tutte e sei le persone accusate avevano delle carriere di successo fino al momento in cui il regime di Gheorghiu-Dej iniziò una politica di svilimento e degradazione dei cittadini ebrei in posizioni di relativo potere, di successo o influenti. Una politica che col tempo divenne sempre più popolare e che spinse la comunità ebraica in una situazione di progressiva perdita d’importanza. Tenendo in considerazione questo dato, si comprende perché molte persone hanno interpretato la rapina come un atto di rivolta nei confronti del regime.

Immagine in bianco e nero di due uomini mascherati e armati.
In questa immagine della ricostruzione del crimine vengono mostrati i membri della banda mentre commettono il crimine. Immagine: Reconstituirea.

Ancora oggi, però, questa rimane solo un’ipotesi tra molte altre. Alcune persone ritengono addirittura la rapina non abbia mai avuto luogo e che si trattasse in realtà di un piano delle autorità istituito per spaventare la popolazione e mandare un avvertimento alle élite ebraiche.

Quale che sia la verità, è innegabile che l’evento faccia ormai parte dell’immaginazione collettiva della Romania. In effetti, oltre al “film” originale, ha dato vita a innumerevoli re-interpretazioni filmiche. Una è il docu-drama del 2001, Reconstruction, che esamina il crimine a partire da materiali d’archivio e riprese realizzate nella Romania contemporanea. A renderlo particolarmente intrigante c’è il fatto che è stato diretto da Irene Lusztig, la nipote di Monica Sevianu.

Nel 2004 è stato prodotto il documentario The Great Communist Bank Robbery di Alexandru Solomon, che mette insieme diverse testimonianze, investigatori e persino alcuni discendenti dei rapinatori, nel tentativo di riprodurre e spiegare la rapina. Dieci anni più tardi, Nae Caranfil, uno dei registi romeni più famosi, ha girato Closer to the Moon, un film che in qualche modo trasforma il crimine in una commedia romantica—una delle conseguenze più inattese e incredibili di tutta questa faccenda.