Salute

Sono bloccato a casa dei miei e sto impazzendo: cosa faccio?

bloccato coi genitori coronavirus

Durante questa quarantena abbiamo un sacco di domande su cosa stia capitando al nostro modo di rapportarci con noi stessi, col mondo e con gli altri. Per questo abbiamo pensato a un appuntamento periodico, una specie di angolo in cui raccogliere i nostri pensieri, metterli sotto forma di domanda e lasciare che sia un esperto a rispondere. Se avete dei temi da sottoporci per i prossimi episodi, scriveteci in DM su Instagram. Qui trovate le altre puntate.

Domanda: Per una serie di coincidenze, e di decreti ormai noti a tutti, mi sono ritrovato a passare il lockdown a casa dei miei genitori. Erano un po’ di anni che, complice l’università, non vivevo più stabilmente con loro, ma il nostro era quello che definirei un buon rapporto: non gli raccontavo spesso della mia vita privata, certo, ma erano al corrente delle cose importanti e andavo regolarmente a trovarli. Loro facevano lo stesso con me.

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In queste ultime settimane di convivenza forzata, però, quello che era il nostro ‘nuovo equilibrio’ si è rotto. Abbiamo iniziato a litigare per tutto. Per come gestisco il mio tempo, per come contribuisco (anche economicamente) alla casa, per la mancanza di privacy, persino per la politica—tema che prima evitavo di toccare, ma che a causa delle notizie è diventato onnipresente.

A volte mi sembra di essere tornato ai miei 16 anni, altre volte mi sento tremendamente in colpa. Perché ci stiamo comportando così? Come faccio a far capire che la mia indipendenza è ormai un dato di fatto? Come posso andargli incontro a parole? Con l’avvicinarsi della fase due potrei pensare di tornare a casa, ma non voglio comunque danneggiare il nostro rapporto.

Risposta di Gianluca Franciosi, psicologo e psicoterapeuta: Tu e i tuoi genitori, le persone che siete oggi, siete stati destabilizzati da una situazione che vi riporta al passato, vi ricorda i ruoli che avevate un tempo l’uno per l’altro, ma non significa che siano ancora validi o possano essere ripristinati.

A un certo punto della vita avviene il fenomeno della separazione: il figlio cresce, va a vivere da solo, diventa semi o totalmente indipendente economicamente, si trasferisce per i motivi più svariati in un’altra città. Messo in conto quindi che le dinamiche, i rapporti familiari e i vissuti personali sono sempre molto diversi, questo processo è da considerarsi sempre un po’ come una “lotta” per la propria indipendenza. Questa, nel tuo caso, è già avvenuta—ed è bene che sia tu che i tuoi lo teniate a mente in questa situazione.

Perché da un lato un genitore potrebbe pensare ingenuamente, e anche un po’ inconsciamente, “mio figlio è tornato all’ovile, quindi tutto è tornato come prima”; dall’altro un figlio potrebbe adagiarsi troppo sui benefit che questa situazione comporta, far riaffiorare la sua parte più immatura e dipendente.

Quando si torna a casa dei propri genitori per un breve periodo è quasi naturale “farsi coccolare,” chiedere “oggi cosa hai preparato?”, cedere al “domani a che ora vuoi essere svegliato?” Fa piacere a entrambe le parti. Ma se tu, in quarantena, un periodo molto più lungo e di convivenza obbligatoria, continui a caldeggiare queste dinamiche, alla lunga potrebbe essere rischioso. Questo accudimento prolungato potrebbe somigliare sempre più a una regressione adolescenziale o preadolescenziale, dalla quale salterebbero fuori anche tutti quegli aspetti del rapporto genitore-figlio che odiavamo di quel periodo. Come per esempio l’invasione della privacy, e i conseguenti litigi.

Un consiglio è quello di delimitare i propri confini, rivendicare i propri spazi non solo col dialogo e il confronto, ma anche coi fatti. Mostrando ai tuoi genitori il livello di indipendenza che hai acquisito all’esterno, per esempio occupandoti del tuo bucato, del tuo ordine, di cucinare ogni tanto per te o per tutta la tua famiglia. Anche se può sembrargli o sembrarti assurdo.

Per quanto riguarda, poi, i momenti di confronto sugli argomenti più disparati—attualità, politica, stili di vita—questi sono un ulteriore banco di prova per ricordare che ormai sei un adulto che pensa con la propria testa, e che non ha più intenzione di annuire a considerazioni su cui si trova in disaccordo. (Questo ovviamente però non significa che tu abbia sempre ragione e loro torto, e nemmeno viceversa). In generale si può dire tutto, dipende da come lo si dice. E il come dipende molto dalle circostanze: essere schietti potrebbe essere utile in certe situazioni, controproducente in altre.

Per la questione della dipendenza economica, invece, è importante capire se la disponibilità dei genitori a sostenere un figlio di una certa età è un qualcosa a livello, passami il termine, gratuito o se ha un che di “ricattatorio.” Se un genitore pretende l’ultima parola perché contribuisce alle spese, allora comportiamoci di conseguenza. Siamo disposti ad accettare questa condizione? Come cambiarla nel medio-lungo termine?

In ogni caso, non siamo obbligati a raccontare tutta la nostra vita—privata e non—ai nostri genitori. Il fatto di essere momentaneamente sotto lo stesso tetto non impone la condivisione totale o non poter esprimere la propria opinione.

Ricorda che questo è un periodo transitorio, tecnicamente necessario, che non durerà per sempre. Mentre l’affetto sì. Come già hai notato tu.

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