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Recensione: Caso – Ad ogni buca

caso ad ogni buca

Ho paura che la musica italiana sia, ora come ora, a un punto di stallo. Escludendo il rap dall’equazione, non perché non in fase di stallo ma perché sennò non ci stiamo dentro nello spazio di un articolo, è che le cose che hanno creato l’itpop non sono più “nuove”. Il nostalgismo musicale e l’ironia spiccia sono ovunque. I ritrattini da bohémien metropolitano infarciti di stereotipi pure. Le canzoni d’amore cantate da maschi bianchi etero per ragazze disegnate con lo stampino anche. C’è una quantità francamente vergognosa di gente che sta provando a beccare le briciole lasciate dai grandi a forza di poetica delle piccole cose e canzonette, e c’è un piccolo giro di grandi diventati tali nonostante fossero già derivati dei primi innovatori.

Nove anni fa Caso, da Bergamo, era praticamente una versione più maldestra di Vasco Brondi. Se il ferrarese nascondeva la sfiga di provincia dietro un immaginario d’amore di sinistra, post-industriale e tendente al cielo, Caso la indossava con orgoglio in tutta la sua semplice banalità. Esempio: “Inno generazionale di noi sfigati”, con le vocine in secondo piano coi PA-RA-PA e la chitarra pulitissima e ripetitiva. Poi è successo che Brondi è diventato enorme e la sua poetica, a partire dalla pubblicazione del libro d’ordinanza, è stata spremuta fino a restare solo una buccia asciutta al sole del deserto. Caso invece non è diventato nessuno.

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Ha fatto i suoi piccoli dischi per un piccolo pubblico, con i suoi piccoli classici: “Fiato Corto”, “Balena Bianca”, “Fino agli alberi sottili”. La sua poetica, sebbene sia ancora quasi la stessa, suona però oggi particolarmente fresca ed è sicuramente, per riprendere le fila del discorso con cui ho iniziato, questione di contesto. In mezzo all’appiattimento generale del discorso musicale italiano, in cui sembra che le voci narranti cerchino costantemente di narrare cose normali come se fossero enormi o disegnano macchiette spacciandole per ritratti, Caso non sembra cercare di fare nulla con le sue canzoni se non suonarle per star bene.

Parlando di dischi emo, o che dall’emo prendono spunto, è facile cadere nella banale lettura alla “queste cose ti fanno sentire meno solo, cantiamole tutti assieme coi pugnetti al cielo e la voce spezzata”. Che poi se è un luogo comune è perché è in parte vero, intendiamoci, e anche Ad ogni buca suggerisce una lettura in questo senso. Quando non lo fa esplicitamente, come in “Il tuo nome”, questo accade soprattutto quando usa il “noi”, come in “Strade Minori”, in cui disegna un insieme deandreiano tutto in direzione ostinata e contraria attorno a se stesso e i suoi ascoltatori.

Ora, questo insieme qua è così generico che può funzionare idealmente per un pubblico enorme: d’altro canto De André piace ai gestori degli ARCI come a Salvini. Se quello di Caso invece piace a pochi è perché, come canta in “Fosbury”, uno dei precetti che si è dato è quello di “non confondere mai popolarità con qualità e successo”. Oggi come nove anni fa, per come è concepita e venduta, la musica di Caso non potrà mai riempire un palazzetto. Ma oggi, più che nove anni fa, è un respiro d’aria fresca dato che narra le stesse cose dell’itpop ma senza la minima patina di sto-provando-a-farcela che impuzza le centinaia di cantautori che si chiamano con il loro cognome.

Nelle nuove canzoni di Caso ci sono epiche e normalissime notti brave (“Piscina”), un piccolo cinema di periferia (“Supercinema”), un’amicizia (“Il tuo nome”), una coppia che supera difficoltà (“Dente di leone”), tanta sfiga e voglia di tranquillità (“Ogni volta l’inverno”), il tutto espresso un po’ con il tono di un Giorgio Canali non-nichilista e un po’ di un Guccini meno sborone. Caso è così emotivo e sincero che a volte potrebbe far venire i brividi: “Questa sera ha profumo di quelle che non scorderemo mai”, annuncia all’inizio di “Piscina”, e la chiude con un “E poi al solito posto, sdraiati sull’asfalto / La senti ancora la curvatura del mondo intero sotto la schiena?”. Roba che esce dalla bocca di un trentenne: il che può causare in voi un genuino senso di sfiga o di meraviglia in base a quanto disillusi siate nei confronti della vostra vita e del mondo intero. Nel primo caso, avete un sacco di itpop arrendevole da ascoltare. Nel secondo, eccovi una modesta ma necessaria boccata d’aria dalla banalità che domina la scena italiana.

Ad ogni buca è uscito il 9 novembre per To Lose La Track.

Ascolta Ad ogni buca su Spotify:

Tracklist:

1. Ogni volta l’inverno
2. Dente di leone
3. Il tuo nome
4. Piscina
5. Strade minori
6. Fosbury
7. Majorette
8. Supercinema

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