Il 10 maggio arriverà nei cinema Loro 2, il film di Sorrentino su Berlusconi che segue quello uscito pochi giorni fa nelle sale, Loro 1. Del primo film si è già parlato parecchio, il più delle volte male.
Le critiche l’hanno trovato più o meno unanimemente stereotipato ed esteticamente misero, ma la maggior parte dei recensori sospendeva il giudizio fino alla visione di Loro 2. Questo anche perché il primo film svolge una funzione esplicitamente introduttiva, visto che il protagonista non compare prima degli ultimi venti minuti.
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Cominciamo allora col dire che Berlusconi in Loro 2 è presente, presentissimo.
Sorrentino ha scelto uno dei molti stereotipi che accompagnano la narrazione berlusconiana—il puttaniere—e l’ha sviluppato come centro unico dell’intera pellicola. Questa probabilmente è la prima macroscopica debolezza: il Silvio che viene messo in scena non è altro che la rappresentazione stilizzata che conosciamo a memoria dalle intercettazioni, dai quotidiani, da mille altre fonti e influenze che dopo tutti questi anni ci si sono scolpite nell’inconscio. Qui non parliamo di uno sfuggentissimo Andreotti, tutto mezze paroline e aforismi. Da dove cominciare con Berlusconi? Dal culona inchiavabile? Dalle navi da crociera? Dagli attentati subiti? Da Dudù?
La difficoltà suprema di fare un film su un uomo reale e vivente e pesante come lui starebbe proprio nel crearne un ritratto complesso, che in qualche modo renda giustizia alla grandezza del personaggio senza rinunciare a metterlo in discussione. Starebbe, in sostanza, nell’essere in grado di approfondire la rappresentazione pubblica per svelare i meccanismi umani, nel creare empatia verso qualcuno senza giustificarlo, anzi.
Parliamo di un persona che ha segnato la storia politica italiana degli ultimi vent’anni, che ha al suo attivo delle scene vere che Buñuel scansate e di cui è impensabile fare un ritratto rilevante senza affrontare le relazioni che intratteneva al di là di quelle sessuali e le conseguenze che hanno portato. Annunciare un film su Berlusconi e poi parlare solo delle veline—un punto importante ma pur sempre un punto in una biografia sconfinata—non è solo riduttivo, per me è un attestato ufficiale di “scorciatoia”. E’ ovvio che non si può avere la pretesa di cogliere le sfumature di una vita intera, ma si possono scegliere delle “porzioni” di vita da raccontare meno conosciute e vivisezionate dalla stampa, o comunque si può aggiungere un livello d’analisi ulteriore, una prospettiva, una riflessione che non siano già incorporate nel bunga bunga che conosciamo tutti a memoria. In sintesi la prima cosa evidente, secondo me, è che la scrittura non è in grado di sopportare la complessità del protagonista. Finendo, così, per rappresentarlo con la profondità e gli intenti di una paparazzata da tabloid.
Agli altri personaggi non va molto più di lusso: non sapevo, per esempio, che Veronica Lario fosse Palmiro Togliatti sotto mentite spoglie, sempre pronta a difendere la Cultura e a schifarsi del marito arricchito. Come altri nel corso del film (il senatore di sinistra, la ragazza che lo rifiuta), l’intera persona di Veronica viene piegata all’esigenza di giudicare esplicitamente il protagonista e di ripetergli di continuo quanto sia vecchio, patetico e mafioso, perdendo così ogni possibile somiglianza con il vero essere umano che dovrebbe rappresentare.
Ecco, questo è un problema abbastanza diffuso: tutto il film puzza di giudizio e non perde un attimo per ricordarti quanto tutto ciò che circonda il protagonista sia malsano, disperato, sbagliato—cosa su cui peraltro sono assolutamente d’accordo, non c’è bisogno che tu me lo ribadisca ogni singolo fotogramma: so che Berlusconi è terribile, tutti lo sappiamo, adesso però possiamo tornare al film?
C’è poi tutto un discorso a parte sull’estetica, che sicuramente non lascerà delusi i fan visto l’alto tasso di sorrentinità del tutto. Io non mi considero né fan né detrattrice (mi è piaciuto Il divo, mi è piaciuto L’uomo in più, sicuramente me ne sono piaciuti altri che ora non ricordo, non mi è piaciuta La grande bellezza, non mi è piaciuto The young pope, fingo che This must be the place non sia mai esistito), ma comincio a sentirmi abbastanza appesantita da tutta questa artificiosità che sembra non essere più interessata alla realtà in nessuna forma.
Diciamo che la deriva nani e fenicotteri rosa in atto già da qualche film non accenna a mollare la presa, ecco. Ho comunque apprezzato il tentativo di sintonizzare linguaggio e contenuto: tutto quel dispiego di loghi, grafiche e siglette Mediaset, che a tratti nel film vengono usate nelle scene in cui Berlusconi piazza donne in giro per fiction ed europarlamenti.
Sono sicura che sia una scelta quella di privilegiare l’atmosfera rispetto alla storia, ma alla fine dal punto di vista narrativo il film è statico e inconsistente, sembra un remake de Il giardino delle vergini suicide con Silvio e Veronica Lario al posto delle sorelle.
C’è solo anche un breve momento in cui viene abbandonata la prigione dorata berlusconiana—non dico quale perché altrimenti SPOILER—per contrapporla alla sofferenza degli umili, che probabilmente nell’idea del regista funziona come contrappeso a tutta la frivolezza disperata che ha mostrato. Qui per me viene fuori uno dei tratti fastidiosi di Sorrentino, cioè la tendenza a rappresentare i “poveri” come delle maschere di umanità “vissuta”, sofferente, callosa. Uno sguardo pietista-gramellinoso di cui il nostro sembra un po’ bearsi e che a me causa degli sfoghi cutanei di notevole estensione.
Da quando la tematica “potere” è diventata l’ispirazione principale di Sorrentino, tutta l’umanità su cui faceva i primi film si è lentamente tramutata in una carrellata di sofferenti ciclicamente riproposta a margine di ogni sua storia sull’opulenza e che anche in questo, per ovvie ragioni, non ci viene risparmiata. Se i potenti sono grotteschi almeno loro esercitano un flebile, scazzato diritto al vita, il popolo di Sorrentino—quindi tutto ciò che non è papi, cardinali, capi di stato, rockstar—è proprio ottocentesco, senza speranza, impossibile da redimere neanche se Fabio Fazio in persona gli facesse un esorcismo.
In generale si può dire che se esiste uno stile di Sorrentino, in questo film si esprime al 100 percento, arrivando forse a coprirne le intenzioni iniziali. Infatti stavolta non c’è giraffa in grado di salvare la situazione e Silvione può dormire sonni tranquilli: il film definitivo su Berlusconi non è ancora arrivato, e di sicuro non è Loro.