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Era il luglio del 2001 quando, durante il G8 di Genova, la caserma di Bolzaneto divenne teatro di violenze e soprusi da parte delle forze dell’ordine contro i manifestanti arrestati, in un clima che la Cassazione ha definito “di completo accantonamento dei principi-cardine dello Stato di diritto.”
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Dentro vi furono portate 240 persone di diverse età e nazionalità, molte delle quali vennero percosse e seviziate per tre giorni, in una delle pagine più buie della democrazia italiana.
Dopo 15 anni la questione è tutt’altro che chiusa. L’ultimo capitolo – o meglio, quello che il governo Renzi avrebbe voluto fosse l’ultimo – risale alla scorsa settimana, quando l’esecutivo ha cercato di porre fine alla questione proponendo alle 31 vittime in attesa della sentenza della Corte europea una “conciliazione amichevole,” che prevede il risarcimento di 45mila euro per ogni manifestante coinvolto.
Nella lettera presentata dal ministro degli Esteri Gentiloni alla Corte a inizio dicembre, e resa nota qualche giorno fa, si specifica che non c’è alcuna volontà di “sminuire la serietà e l’importanza degli episodi,” e si riconosce che “i gravi e deplorevoli crimini commessi dagli agenti di polizia costituiscono dei crimini.” Tuttavia, si chiede alle vittime di accettare il risarcimento per danni morali, e ritirare i ricorsi presentati alla Corte europea in attesa di risposta—31 in questa prima tranche, a cui se ne aggiungeranno altri 33 in una seconda.
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L’offerta, stando a quanto ipotizzato da più parti, nascerebbe dalla volontà del governo di evitare che sul caso Bolzaneto la Corte europea si esprima di nuovo, una sentenza che costerebbe all’Italia – simbolicamente e non – molto più di quanto offerto alle vittime, e che porterebbe inevitabilmente la Corte a pronunciare di nuovo la parola ‘tortura’.
Il tentativo di risolvere con una cifra simbolica la faccenda, però, sembra aver sortito l’effetto contrario, sollevando aspre critiche da parte delle vittime che per ora hanno categoricamente rifiutato l’offerta, sottolineandone l’indecenza.
“Ribadisco un decisissimo no, i miei assistiti rifiutano l’offerta,” ha detto a VICE News l’avvocato Riccardo Passeggi, che difende due delle vittime dei fatti di Genova. “Non è una questione di soldi, vogliamo il reato di tortura.”
L’offerta è stata commentata negativamente anche Roberto Traverso, segretario del Siap (Sindacato Italiano Appartenenti Polizia). In un’intervista rilasciata a Repubblica, Traverso ha sottolineato il bisogno di regole di intervento chiare, e la contrarietà a un’offerta con la quale il governo – spiega – “vorrebbe pagare le vittime sperando di metterci una pietra sopra. Il G8 non ha insegnato nulla.”
I 45mila euro non sono una cifra offerta a caso: è ciò che l’Italia è stata condannata a pagare dalla Corte Europea dei Diritti Umani per il ricorso di Arnaldo Cestaro, manifestante vittima del pestaggio durante l’irruzione della polizia al Genova Social Forum in quel 21 luglio del 2001.
Proprio dal ricorso è partito il procedimento “Cestaro contro l’Italia,” che ha portato la Corte a definire ciò che successo a Genova una “tortura,” e a condannare Italia per la mancanza di tale reato.
Infatti, nonostate i tribunali italiani abbiano parlato di tortura sia in riferimento agli episodi della Diaz che a quelli di Bolzaneto, la mancanza di una legge ha portato a ricorrere al reato di lesioni – l’unico esistente in casi analoghi – impedendo di fatto che venisse fatta giustizia.
Il processo ai 45 responsabili identificati, segnato dalla mancanza di collaborazione delle forze dell’ordine, si è chiuso nel 2013 con sette condanne, quattro assoluzioni, e 37 prescrizioni.
Tuttavia, ciò che è emerso prepotentemente dal caso è stata soprattutto la lacuna legislativa italiana—poi sottolineata dalla Corte europea. Nonostante infatti l’Italia abbia ratificato nel 1988 la convenzione ONU contro la tortura e altri trattamenti inumani, crudeli o degradanti, in Italia non esiste ancora una legge che sancisca tale reato, creando situazioni paradossali in casi analoghi a quelli di Bolzaneto, nei quali la tortura è in qualche modo riconosciuta ma non punita.
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All’indomani della sentenza della Corte europea del 7 aprile 2015, il presidente del Consiglio Matteo Renzi aveva garantito il suo impegno per varare una legge sulla tortura.
La legge approvata al senato a marzo del 2014 – sulla quale anche il primo firmatario aveva espresso forti perplessità – da due anni rimbalza tra Senato e Camera, alimentando dubbi legittimi sul fatto che manchi la volontà di approvarla.
Quello che non manca, a quanto pare, è il coraggio di proporre una conclusione ‘amichevole’ a una storia che in ogni suo capitolo riesce ancora a suscitare rabbia e sfiducia.
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Foto di Ares Ferrari rilasciata su licenza Creative Commons