Il Libano è in rivolta da più di un mese, ormai, e centinaia di migliaia di persone sono scese in strada quasi ogni giorno per protestare contro la corruzione e l’inefficienza del governo. Tutto è iniziato il 17 ottobre a Beirut, quando un gruppo di 100 persone ha iniziato a esprimere il proprio dissenso contro l’aumento delle tasse nella nuova finanziaria. Il costo della vita è già alto in confronto al salario medio, e il tentativo del governo di tassare servizi gratuiti come WhatsApp è stato la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
Ora, il movimento si è esteso a tutta la nazione. Scandendo lo slogan “Tutti vuol dire tutti”, libanesi di diverse religioni pretendono un ricambio della classe politica. Il governo ha già fatto alcune concessioni—gli aumenti delle tasse sono stati bloccati e il primo ministro Saad Hariri ha dato le dimissioni. Ma la gente vuole di più: un completo rinnovamento del sistema politico e un nuovo governo che risolva la crisi economica e migliori la qualità della vita.
Videos by VICE
Io ho partecipato alla prima manifestazione con mia sorella e un amico. Il corteo ha bloccato una delle arterie principali della città, con le donne in testa per proteggere i partecipanti da azioni violente da parte della polizia. Da allora, ho protestato ogni giorno e ho notato un effetto collaterale inaspettato: la mia salute mentale è migliorata molto. Depressione, ansia e sbalzi d’umore non mi colpiscono più come prima. Di solito piango piuttosto spesso, ma dall’inizio della rivoluzione ho pianto soltanto una volta: quando la polizia ha fatto irruzione nel nostro accampamento in piazza Riad El Solh nel centro di Beirut.
I giovani che hanno preso parte alla rivoluzione sono tantissimi. La sensazione di euforia collettiva si riflette negli slogan che accompagnano il movimento e che vengono scritti sui muri della città. Graffiti che inneggiano ai diritti delle donne e delle persone LGBTQ spuntano come funghi in ogni angolo della città.
“È una sensazione di felicità pubblica, non c’è spazio per la depressione o la tristezza,” mi dice Salwa, 22 anni. “C’è un obiettivo comune, quello di far cadere il governo.” L’ho conosciuta al primo giorno di manifestazioni e da quel momento ci siamo viste ogni giorno in piazza Riad El Solh.
Salwa è in cura da uno psichiatra per la depressione e frequenti attacchi di panico, ma dice che partecipare alle manifestazioni l’ha fatta sentire meglio. “Vedevo gli amici ogni giorno, ho cominciato a essere più disponibile con gli sconosciuti, senza paura o timidezza—una novità per me,” spiega.
Quindi la rivoluzione può davvero migliorare la nostra salute mentale? Lo psicologo Khaled Nasr, specializzato nel trattamento delle conseguenze da traumi, non la pensa così. “La depressione è una malattia psicologica e non se ne va semplicemente partecipando a delle manifestazioni,” chiarisce. “Chi soffre di depressione solitamente evita le interazioni sociali. Ma se una persona si sente giù, il sostegno, la speranza e l’obiettivo comune possono aiutarla a stare meglio.”
Il Libano ha una lunga storia di conflitti violenti e non ha ancora finito di pagarne le conseguenze. Tra il 1975 e il 1990 è scoppiata una guerra civile tra i 18 diversi gruppi religiosi del paese e i loro alleati internazionali nella regione mediorientale. Si è conclusa in una tregua; da allora, Libano e Israele hanno avuto ancora vari scontri militari, soprattutto al confine.
La guerra ha gravemente danneggiato le infrastrutture, rendendo impossibile produrre elettricità per 24 ore al giorno. I tagli quotidiani possono durare dalle tre ore nella capitale alle 12 in zone più periferiche.
Moltissimi non hanno acqua potabile a casa perché una cattiva gestione dei rifiuti ha inquinato il mare e le vie d’acqua. Le famiglie ricche hanno accumulato patrimoni dalla ricostruzione, aumentando spropositatamente i costi delle proprietà e allargando ulteriormente la forbice tra cittadini ricchi e poveri. La maggioranza delle università sono private e hanno rette altissime, il tasso di disoccupazione è al 25 percento e ci sono poche opportunità per i neolaureati.
Ecco perché tantissimi libanesi lasciano il paese ancora oggi. La diaspora—frutto delle guerre ma anche delle difficoltà economiche e sociali—conta 15 milioni di cittadini, mentre soltanto 4,6 milioni vivono nel paese. Il resto della popolazione, circa 1 milione e mezzo, sono rifugiati palestinesi e siriani spinti a emigrare dai conflitti nei rispettivi paesi.
Gli anni di instabilità e malcontento hanno avuto delle conseguenze sulla salute mentale della popolazione. L’organizzazione non-profit Embrace Lebanon è l’unica a offrire supporto emotivo e prevenzione del suicidio nel paese. Loro calcolano che un libanese su quattro abbia sperimentato un problema mentale almeno una volta nella vita.
“Andavo regolarmente dallo psichiatra perché soffrivo di una grave forma di depressione,” dice la graphic designer 27enne Julia. Secondo lei, le proteste le hanno dato la speranza di un cambiamento significativo, così ha preso un periodo di aspettativa non pagato dal lavoro per poter partecipare. “È la prima volta che lo sento davvero come il mio paese,” spiega. Per un po’ era convinta di voler lasciare il Libano e ha fatto richiesta di visto diverse volte. “Ma da quando ho iniziato a manifestare, non voglio più scappare.”
Ali, 27, è un autore e il mio migliore amico. Dice che prima della rivoluzione non aveva un vero obiettivo nella vita. Ma da quando ci siamo uniti alla protesta, ho notato un cambiamento nei nostri discorsi. Non stiamo più con le mani in mano a piagnucolare per le relazioni fallite. Parliamo di roba importante, come politica ed economia. Per molti, la rivoluzione ha creato uno spazio in cui discutere. Professori, avvocati, economisti, giornalisti e cittadini qualunque organizzano quotidianamente conferenze sugli obiettivi politici ed economici del paese.
“È semplicemente il periodo più bello della mia vita,” dice il 26enne Rafy, che lavora nel settore audiovisivo. Soltanto il mese scorso era depresso e pensava al suicidio, ma mi dice che dallo scoppio della rivoluzione si sente meglio. Dice che “non è passato un solo giorno” senza che pensasse a quanto fosse arrivato vicino a togliersi la vita. Naturalmente non ha superato del tutto la depressione, ma ora sente “una maggiore connessione” con le persone che lo circondano.
Hassan, 30 anni, viene dal quartiere sciita Khandaq al Ghamiq di Beirut. Ha difficoltà a trovare lavoro e dice che ha spesso assunto droghe con i suoi amici per soffocare il senso di vuoto. Ora, secondo lui “non c’è più tempo da perdere o da passare a far niente. Ci sono cose più importanti da fare.” Ho incontrato Hassan all’entrata del suo quartiere, guardando la gente che costruiva le barricate. “Non ho mai visto Beirut così bella e unita,” continua. “Voglio cacciare tutti i presidenti e i padroni che controllano le nostre vite.”
Anche i libanesi all’estero stanno rivalutando la decisione di partire. La mia amica Manal, 23 anni, è andata a studiare in UK un mese prima dell’inizio della rivoluzione. Mi ha detto di aver organizzato una piccola manifestazione con i suoi amici libanesi per supportare la comunità anche a distanza. “Sono dove ho sempre sognato di essere, a studiare per un Master in una buona università, ma non riesco a concentrarmi sullo studio,” mi dice. “Sono a Manchester, ma il mio cuore, la mia mente e la mia anima sono a Beirut.”
Sono ancora entusiasta del successo della rivoluzione, specialmente perché alcune delle nostre richieste sono state accolte. Ma ora la luna di miele è finita e sono anche preoccupata per quello che succederà.
“Nonostante la speranza e la felicità che proviamo, sappiamo quanto sarà difficile raggiungere i nostri obiettivi,” dice Julia. “Ma che riusciamo a riformare il paese o meno, credo che noi giovani abbiamo già vinto. Non ritorneremo mai le stesse persone di prima.”
Se ti capita di pensare al suicidio, il Telefono Amico è a tua disposizione ogni giorno dalle 10 alle 24 al numero 199 284 284.