“È facile capire se è un buon salmone dagli ingredienti. Devono esserci Salmone, Sale e Zucchero. Stop.”
Il Natale più strano dai tempi della Seconda Guerra Mondiale è alle porte, ma possiamo già dire, con un ragionevole margine di certezza, che una portata accomunerà tutte le tavole anche in quest’anno bislacco: il salmone affumicato.
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Tra Vigilia e Santo Stefano, il salmone almeno una volta appare sulla tavola della mia famiglia. Nel mio caso se ne occupa nonno perché, di fatto, deve solo scaldare qualche fetta di pane e mettere il salmone su un bel piatto accompagnato da panetti di burro. Il salmone regala colore alla tavola, sembra prezioso e piace oggettivamente a tutti.
Come si fa il Salmone affumicato
La carne attaccata alla spina dorsale del salmone viene recuperata, rimessa insieme e ritrattata per il salmone di fascia bassa, notoriamente quello che costa meno.
Il punto è che da qualche anno il salmone affumicato non è prezioso per niente. Nei banchi frigo del supermercato potete trovare almeno quattro marche diverse con provenienze e affumicature differenti a prezzi decisamente abbordabili. Indovinate un po’? Molto probabilmente fanno schifo tutte e quattro.
Per capire cosa significa veramente scegliere e come si fa un salmone di qualità, ho parlato con Claudio Cerati di Upstream. “Affumico salmone per passione, nella vita ho sempre fatto altro,” mi racconta Claudio. “Per 12 anni ho affinato la ricetta e mi divertivo a usarlo come regalo per gli amici a Natale. Finché mi hanno fatto capire che avrei dovuto produrlo.” L’idea dell’azienda Upstream è quella di creare i loro salmoni affumicati esattamente come se fossero dei regali per degli amici. Quindi la produzione deve essere il massimo in tutto.
Non è detto che il miglior salmone sia quello selvaggio e basta: un conto è una pesca a traino, in cui gigantesche reti acchiappano tutto, un altro sono i salmoni pescati a canna.
Momento “Come è Fatto”. Per fare il salmone affumicato sappiate che esistono in linea di massima tre modi. Partendo dal top, come avviene per Upstream, il pesce viene diviso in filetto, baffa, ventresca, posteriore e fettine. Il cuore del filetto per intenderci è il più pregiato. Viene fatta una marinatura a secco di sale e zucchero alternata (prima sale, poi zucchero) e quindi sciacquata. La marinatura è parte della ricetta eh, quindi insieme al sale si possono mettere diverse spezie. Dopo che il nostro bel salmone è stato sciacquato arriva l’affumicatura. L’affumicatura è il marchio di fabbrica. I legni usati si pretende che siano pregiati in un prodotto top. “La nostra affumicatura, per essere poco invadente, viene fatta con il pesce disteso che viene colpito per due ore da piccoli colpi di fumo di legno di faggio dell’Appennino parmense.”
Per quanto riguarda la fascia media in genere si separano il filetto dalla spina dorsale (questo video vi fa pure vedere come): il filetto diventa il nostro salmone che costa un po’ di più al supermercato; la carne attaccata alla spina dorsale viene invece recuperata, rimessa insieme e ritrattata per il salmone di fascia bassa, notoriamente quello che costa meno sugli scaffali.
Il filetto principale invece si becca un’oretta di sale e spezie e va in forno a legna (con legna abbastanza scadente) per un paio d’ore in cui il legno viene bagnato per tenere la temperatura bassa e non fare un’affumicatura troppo aggressiva. Se è troppo aggressiva avrete un salmone fatto in forni ad alte temperature (per farne di più) oppure, come vedremo, verrà sparato del fumo direttamente prima di confezionare, per dare l’aroma.
Quale salmone affumicato comprare
Gli allevamenti di salmone producono 2,6 milioni di tonnellate sui 3 milioni di tonnellate di tutto il salmone consumato in totale.
Uno dei veri problemi legati al salmone, che da una parte ci dicono essere un alimento fantastico e sano e dall’altra viene demonizzato, è che da decenni il suo processo – pesca e produzione – non rispecchia proprio la definizione di “sano”.
Dagli anni ‘50 esiste un fenomeno chiamato acquacoltura. Nel 1970 i norvegesi hanno capito che tutti quei salmoni che pescavano nell’Oceano Atlantico potevano essere tranquillamente allevati in vasche galleggianti. Oggi, secondo questo rapporto, gli allevamenti di salmone producono 2,6 milioni di tonnellate sui 3 milioni di tonnellate di tutto il salmone consumato in totale. Nella maggioranza dei casi vengono usati antibiotici per allevarli, con conseguenze sull’inquinamento marino disastrose.
I luoghi migliori sono Danimarca, Norvegia, Scozia e Irlanda. Se il salmone viene dall’Est Europa o dal Pacifico, sappiate che lì la maggior parte degli allevamenti è intensivo
Claudio ci racconta, secondo la sua esperienza. “Il salmone buono arriva da due parti: se è selvaggio da una pesca sostenibile, se è allevato da un allevamento che lavora bene.” Insomma, non è detto che il miglior salmone sia quello selvaggio e basta: un conto è una pesca a traino, in cui gigantesche reti acchiappano tutto quello che trovano e un altro sono i salmoni pescati a canna.
“C’è molta demonizzazione sugli allevamenti. Ma esistono allevamenti intensivi e allevamenti distensivi. Questi ultimi sono in oceano aperto e c’è un limite massimo di pesci per vasca, così come è controllato quello che mangiano.”
Il discorso è un po’ quello dei polli: il pollo ruspante, che ci evoca scenari idilliaci di campagne della nonna, non è un pollo che passeggia selvaggio per i boschi. Semplicemente viene allevato in maniera migliore. “I salmoni li scelgo personalmente per il mio prodotto sono delle Isole Fær Øer da un allevamento distensivo che li prende in maniera non distruttiva. Vengono portati vivi in Danimarca dove vengono poi lavorati prima di arrivare in Italia,” mi dice Claudio Cerati.
Allevamento e pescato portano a un altro consiglio: guardare da dove arriva. Ovviamente leggere l’etichetta è sacro e se nel primo caso state attenti a certificazioni varie (non basta che sia scritto davanti, ma devono esserci dei simboli così), la seconda cosa da fare è vedere il luogo di provenienza. “I luoghi migliori sono Danimarca, Norvegia, Scozia e Irlanda. Se il salmone viene dall’Est Europa (come dalla Lituania) o dal Pacifico sappiate che lì la maggior parte degli allevamenti è intensivo.” E in genere lo si vede nel prezzo: se la catena costa poco all’inizio, costerà poco anche il prodotto finale.
I primi scogli sono superati, ora passiamo all’altra, importantissima, cosa da sapere: come leggere l’etichetta e gli ingredienti. “È facile capire se è un buon salmone dagli ingredienti,” mi dice Claudio. “Devono esserci Salmone, Sale e Zucchero. Stop.” Insomma, se leggete altra roba strana, non va bene. “Ma potete anche essere ingannati se leggete tra gli ingredienti fumo, fumo naturale o fumo di legna. L’affumicatura fa parte del processo di preparazione, non è un ingrediente.”
In genere la confezione fighetta è un indicatore di buon salmone. Ma guardate il prezzo: almeno 11/12 euro l’etto.
In sostanza: se lo trovate scritto significa che l’hanno aggiunto dopo con sostanze chimiche per fare finta che sia più affumicato di quello che è. L’anno scorso il New York Times ha anche detto come queste pratiche di affumicatura sembrino aumentare il rischio di cancro, come era stato scoperto anche per l’industria della trasformazione della carne. “Se gli ingredienti sono sale, salmone e zucchero, guardate anche in che percentuale sulla tabella nutrizionale,” aggiunge Cerati.
Se non avete lo sbattimento di controllare etichette e tabelle e cercare allevamenti di salmone su Internet, ci sono altri due modi per capire al volo se è un salmone affumicato di qualità: il packaging e il prezzo.
Il packaging dei salmoni di livello è un packaging fighetto. Sembra assurdo ma quella roba costa, quindi lo troverete probabilmente in una sezione tutta dedicata ai salmoni premium, con la sua scatola grande e minimal – non fra le mozzarella in scadenza per capirci.
E guardate il prezzo in rapporto al peso per essere certi. “Il prezzo deve essere sugli 11/12 euro all’etto,” conclude Claudio Cerati. “Ma probabilmente quelli veramente buoni non li troverete al supermercato. Quindi andate direttamente in gastronomie e da piccoli negozianti che vendono eccellenze.”
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