Questa domenica Matteo Salvini ha partecipato alla festa dei cinquant’anni della Curva Sud, il principale gruppo di tifo organizzato del Milan. Nulla di cui sorprendersi, ovviamente: il leader leghista è un grande tifoso del Milan.
Tuttavia, Salvini non è solo un tifoso; capita che, en passant, faccia anche il ministro dell’Interno. E da titolare del Viminale, forse non è il massimo associarsi a un gruppo che ha compiuto diverse violenze, e dove militano personaggi in odore di ‘ndrangheta (quelli a cui il vicepremier vorrebbe togliere pure le mutande).
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Ma Salvini ha subito voluto placare le polemiche. “Io stesso sono indagato,” ha detto, “sono un indagato in mezzo ad altri indagati.” Per poi aggiungere: “Io sono per il tifo corretto, colorato e colorito. Questi tifosi sono persone perbene, pacifiche, tranquille. Loro portano colore con un coro, un tamburo, una bandiera. La violenza è un’altra cosa.”
Tuttavia, in almeno un caso Salvini ha incontrato un tifoso che non è proprio il ritratto della persona “perbene, pacifica e tranquilla.” Mi riferisco alla foto che sta girando parecchio in queste ore: quella che immortala il ministro dell’Interno con Luca Lucci, uno dei leader della curva, “tra ampi sorrisi e calorose strette di mano.”
Come ricorda Linkiesta, durante il derby di Milano del 15 febbraio del 2009, ad esempio, Lucci partecipò a una spedizione punitiva al primo anello di San Siro—un settore dello stadio occupato da tifosi dell’Inter “normali”—e colpì in faccia Virgilio Motta, accecandolo all’occhio sinistro.
Qualche mese dopo arrivò la condanna a quattro anni e mezzo di carcere, incluso il risarcimento di 140mila euro. Ma Motta non vedrà mai un euro: gli aggressori, infatti, vennero riconosciuti come nullatenenti. In seguito, a causa della parziale cecità, la vittima entrò in profonda depressione e si suicidò nel maggio del 2012.
Appena tre mesi fa, invece, Lucci ha patteggiato un anno e sei mesi di carcere per spaccio di droga. Secondo gli inquirenti, l’ultras era in stretti rapporti con un giro di spacciatori albanesi, ai quali forniva anche una base d’appoggio logistica.
In un articolo del Corriere della Sera si legge che “Lucci e gli albanesi” s’incontravano “sempre all’alba” per “partite di droga anche da 50mila euro. Loro andavano a caricare la droga nei box in cui la tenevano stoccata; lui intorno alle 6 e mezza del mattino apriva il cancello del locale per aspettarli.”
Insomma: è uno che il ministro dell’interno Salvini definirebbe un “VENDITORE DI MORTE” da sbattere in cella per poi buttare la chiave. Non ricordo però tweet di giubilo quando Lucci è stato condannato—o forse uno spacciatore è un “venditore di morte” solo quando è “clandestino”.