I semafori sulla strada principale che collega Rimini a San Marino durano un’eternità. O almeno così sembra. Secondo alcuni, i tempi biblici dei rossi sarebbero settati di proposito, per disincentivare la gente ad arrivare dall’Italia. Però sono solo voci, mi dice uno dei ragazzi in macchina con me, e mi consiglia di non indagare ulteriormente. È sabato sera del 30 marzo, e l’unica cosa che m’importa al momento è arrivare a destinazione.
Poco dopo attraversiamo un grosso ponte metallico, l’ingresso di Dogana, dal quale spicca una scritta in blu che recita “Benvenuti nell’Antica Terra della Libertà”—argomento che sentirò spesso in situazioni ufficiali durante la mia breve permanenza. Ma qui, di dogana, c’è solo il nome: nessuno ci ferma, nessuno mi chiederà il passaporto e non avrò mai l’occasione di dichiarare una reflex e uno spazzolino elettrico, gli oggetti più preziosi e contundenti che ho in borsa.
Videos by VICE
Il motivo per cui mi ritrovo a varcare il confine di San Marino è l’elezione del capo di Stato in carica più giovane al mondo, finita ossessivamente anche sui giornali italiani nel corso delle ultime settimane. Il Capitano si chiama Matteo Ciacci, ha 27 anni e un curriculum di quelli che su LinkedIn verrebbero considerati al “massimo” dell’efficacia.
Sul sito di Rtv San Marino, la tv di stato, si può leggere che ha studiato Giurisprudenza in Italia, fa parte di diverse Commissioni e ha fondato quattro anni fa Movimento Civico10—una sorta di PD, mi dicono—di cui è il capogruppo nel parlamento locale. Inoltre, è radiocronista per Radio San Marino, ha simpatizzato per Barack Obama ed è fidanzato con una collega e consigliera (ovvero parlamentare) del suo partito.
Ciacci è uno dei due Capitani Reggenti che vengono nominati semestralmente a San Marino, precisamente il primo di ottobre e aprile. Sono un po’ il nostro Presidente della Repubblica, ma con altri poteri aggiuntivi. Inoltre, per essere eletti dal parlamento locale devono aver compiuto 25 anni, essere cittadini sammarinesi, e non aver ricoperto il medesimo incarico nei tre anni precedenti. Ma su questi punti torneremo dopo.
Intanto, mentre la macchina continua a salire sulla strada tutta curve del monte Titano, penso che la domanda a cui vorrei trovare risposta—a prescindere dal periodo di recessione, gli scandali collegati alla mafia, la recente cancellazione di San Marino dalla lista dei paradisi fiscali—è questa: in uno Stato con poco po’ più di 30mila abitanti e un Capitano Reggente con un’età a cui i coetanei italiani spesso non sono ancora economicamente indipendenti, i giovani hanno davvero così tante possibilità? Così tante da diventare la massima carica dello Stato? Dipende solo dalla commistione tra ridotte dimensioni del Paese e poca concorrenza? E che cosa fanno i giovani, soprattutto alla sera, per passare il tempo a San Marino?
Parte del responso all’ultima domanda, se non si vuole tornare in Italia, verso Rimini o Riccione, consiste nello stazionare in uno “degli unici due bar/pub dove escono i ragazzi alla sera”—alla maniera di ciò che succede in un qualunque paesino della provincia italiana.
Con i ragazzi che mi sono venuti a prendere in stazione a Rimini decidiamo di andare al pub poco distante dalla funivia che porta al centro storico. Com’ero stato avvisato, arrivati nel luogo di ritrovo mi sento subito piuttosto osservato.
Del resto i presenti, in media sulla trentina in giù, sembrano conoscersi un po’ tutti, anche quelli a cui mi presento. Chiedo se andranno alla cerimonia del giorno dopo, ma alcuni ancora devono decidere. Quello che andrà invece sicuramente è Pietro, 26 anni. Me lo presentano al bancone e mi spiega che nei prossimi sei mesi vestirà i panni del Maggiordomo, una figura “spalla” che ogni Capitano Reggente designa personalmente. Nel suo caso a sceglierlo è stato proprio Matteo Ciacci, il quale arriva poco dopo col fratello gemello Stiven per un saluto al pub prima del grande giorno. Purtroppo, scambiarci due parole è impossibile.
La mattina seguente, nei due minuti scarsi che passo sulla funivia, osservo come il centro storico sia l’unica parte di San Marino che somiglia a ciò che fin dall’inizio da profano mi sarei immaginato di trovare.
Lì, infatti, ci sono i maggiori siti di interesse e quei tanto famosi negozi di armi bianche e fucili da soft air—prodotti che sotto una certa potenza possono essere acquistati da un maggiorenne presentando un documento d’identità valido. Per l’acquisto di altre tipologie di prodotti, invece, è tutto molto più complicato, soprattutto da quando nel 2013 l’Intesa tecnica tra Italia e San marino per il trasferimento di armi è saltata.
Al di là delle casistiche diplomatiche più recenti, comunque, mi sento piuttosto fortunato: sto per assistere a una lunga cerimonia di insediamento praticamente immutata nei secoli.
Leggenda vuole che la prima comunità di San Marino si sia insediata per seguire un Santo di nome Marino intorno al 300 d.C., ma grazie a diversi documenti è certo che la nomina dei primi Capitani Reggenti di quella che oggi viene riconosciuta come la Repubblica più antica al mondo risalga al 1273. Come accadeva nell’antica Roma Repubblicana, all’epoca i Capitani reggenti venivano chiamati consules: uno rappresentava il volgo, l’altro la parte “bene”. Oggi, ovviamente, questa distinzione è venuta un po’ meno.
La cerimonia di insediamento è piuttosto articolata e dura all’incirca tre ore e mezza: tutto inizia con l’alza bandiera a Palazzo Valloni—sede del Consiglio Grande e Generale (il parlamento monocamerale che conta 60 deputati), il Consiglio dei XII (con funzioni amministrative) e il Congresso di Stato (ovvero il Governo). Da lì i corpi militari marciano fino a Palazzo Valloni, dove nella Sala delle Udienze si presentano i Capitani Reggenti davanti al corpo diplomatico. A quel punto si torna tutti al Palazzo Pubblico per l’incontro coi Capitani uscenti, poi si va in Basilica per la messa, e infine si torna ancora una volta al Palazzo Pubblico per il passaggio di consegne.
Per fortuna è tutto molto vicino.
Durante le varie fasi del corteo reggenziale, tra turisti e curiosi, riesco a individuare più volte in abiti tradizionali Stefano Palmieri II (di Repubblica Futura, al secondo mandato, e che i media stranieri si sono filati ben poco visto che ha più di 50 anni) e Matteo Ciacci I. Quest’ultimo sembra molto soddisfatto, ma mi domando come la pensino invece gli autoctoni.
Controllando su Facebook, sul profilo di Ciacci noto una mole consistente di commenti entusiasti: “Buon lavoro, eccellenza!, “Auguri S.E,” ”Complimenti ed auguri ad un giovane che si appresta a ricoprire la massima carica della nostra Repubblica!”
Ma è quello che pensano tutti “in Repubblica”, come si dice da queste parti? Decido di chiedere in giro. “In generale, e non solo a San Marino, credo che certe cariche pubbliche dovrebbe essere ricoperte da gente con un po’ più d’esperienza,” mi risponde secca Lucia* (24 anni).
Subito dopo, un commento un po’ diverso lo ricevo da Alberto (25 anni): “Se sentissi della giovane età di un capo di Stato di un altro paese probabilmente lo vedrei come un valore, ma nel nostro caso non è così: il ricambio è apparente, perché durante una legislatura di cinque anni ci sono ben 20 capi di Stato, scelti tra i 60 consiglieri.”
In effetti, il ricambio è così ciclico che guardando bene nello storico della Reggenza sammarinese si scovano nel 2010 un 27enne, nel 2006 un 26enne e nel 1988 un 25enne. La nomina di Ciacci, quindi, non è di per sé rivoluzionaria.
Ma allora perché si è creato tutto questo interesse mediatico all’esterno? “Non riesco davvero a spiegarmelo, forse è stata fatta maggior pubblicità dal Cerimoniale o magari dalla stessa Reggenza,” continua Alberto. “Magari per dare maggiore visibilità a livello internazionale al Paese e cercare di ripulire un minimo le macchie degli ultimi anni.”
A interromperci in questa discussione piena di interrogativi irrompe dagli altoparlanti una voce a me, che guardo spesso la Gruber, molto familiare. È quella di Paolo Mieli, il giornalista che ha “inventato” lo stile giornalistico del mielismo e presenta spesso i suoi libri anche a San Marino. In questa occasione, invitato per tenere l’orazione ufficiale della cerimonia, parla del tema della libertà, ricordando che la Serenissima ha resistito anche quando l’ha persa per brevi periodi (nel 1503 ad opera di Cesare Borgia, nel 1739 per mano del Cardinale Giulio Alberoni e nel 1944 durante l’occupazione nazista).
Ma al di là del fatto che nel 1861 nessuno si sia permesso di annettere San Marino all’Italia, che San Marino sia in mezzo al’Italia, e i sammarinesi mangino molte piadine e cappelletti romagnoli, l’atmosfera che si respira durante la cerimonia è patriottica. Non tutti quelli con cui parlo, infatti, si sentono “anche italiani,” ma “sammarinesi e basta.”
Del resto la sera prima al pub mi avevano spiegato che nonostante la gran parte dei giovani sammarinesi si iscriva in Italia all’Università (e per cui ricevono diversi rimborsi dallo Stato), in diversi tornano—anche per brevi periodi—in terra natia “perché alla fine qui si sta bene.”
Dai vari racconti che ho ascoltato, il vantaggio di essere un sammarinese mi sembra risieda proprio nelle contraddizioni congenite di questo luogo: nelle sue ridotte dimensioni convergono tutte le possibilità che uno Stato molto più grande solitamente non offre.
Per capirci, l’esempio più esemplificativo sono le possibilità che un giovane sammarinese ha di svolgere uno stage presso ambasciate e consolati rispetto a un giovane italiano—da noi la fila è di migliaia di persone, a San Marino per forza di cose di poche decine.
Osservato questo, quindi, è piuttosto intuitivo capire perché qui, sistema politico messo in conto, si possa addirittura finire per assumere la massima carica pubblica possibile prima dei trent’anni.
Peccato che per prendere la cittadinanza sia un vero casino.
Segui Vincenzo su Instagram.