Soldi, politica, repressione: perché c’è voluto così tanto per ascoltare la storia di Sanpa

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“Questa storia non è mai stata raccontata per intero, in tutte le sue sfaccettature.” Così Carlo Gabardini, uno degli autori di Sanpa: Luci e tenebre di San Patrignano—la nuova docu-serie Netflix diretta da Cosima Spender, di cui si sta parlando molto in questi giorni—spiega il motivo che li ha spinti a realizzare una retrospettiva sulla storia di San Patrignano (la più famosa comunità di recupero per tossicodipendenti d’Italia, aperta nel 1978) e sulla vita del suo fondatore, Vincenzo Muccioli.

In circa cinque ore Sanpa tenta di rimettere insieme un racconto cronicizzato, composto da testimonianze dirette, materiale d’archivio, processi giudiziari e mediatici, figure politiche, denaro, violenza, omicidi, suicidi e trent’anni di (non)narrazione italiana della tossicodipendenza. La storia di San Patrignano—della sua nascita, della sua filosofia terapeutica, dei suoi metodi, dei suoi ospiti—è una sorgente di dibattito praticamente infinita.

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Perché quindi, supponendo che Gabardini abbia ragione, abbiamo dovuto aspettare così tanto per avere un prodotto mainstream che la raccontasse anche a coloro che non se ne erano interessati di propria iniziativa o non hanno vissuto direttamente quel periodo? La mole stessa degli archivi e dei testimoni che la produzione ha avuto a disposizione per realizzare Sanpa lo dimostra: era già tutto lì.

Una delle spiegazioni che si dà l’autore stesso, è che serviva tempo per metabolizzarla. Io mi domando se non sia il caso di aggiungere che serviva tempo per sgrassare il racconto dalle vecchie narrazioni. È sicuramente vero che l’Italia ha una certa difficoltà a fare conti complessi col passato, ma è anche vero che da sempre ha un rapporto morboso col presente e con determinati personaggi.

San Patrignano era già stata raccontata in itinere, in modo piuttosto aggressivo e sensazionalistico. Muccioli era sempre in TV, i vari processi nei suoi confronti erano al centro della cronaca: tutta Italia seppe delle catene con cui erano stati legati gli ospiti che avevano tentato di scappare, delle percosse, dei suicidi di Natalia Berla e Gabriele de Paola, dell’omicidio di Roberto Maranzano.

Il centro di questa morbosità, però, era soprattutto il fondatore. Una specie di maschera della commedia dell’arte così tipica del Centro Italia: un ex contadino con tinte messianiche e paternalisticamente conservatrici, imponente e autoritario, dotato di quella facondia retorica e agreste che rassicura le folle. San Patrignano l’aveva pensata, realizzata, sistematizzata, e incarnata Muccioli, e dietro alla sua figura era semplice rimpiattare i punti scomodi del tema della droga. Morto lui, senza che le sue vicende giudiziarie giungessero a una conclusione, l’interesse per l’argomento si è cristallizzato ed è scemato.

Quelli che non sono subito scemati, invece, erano i suoi appoggi politici ed economici. Nel corso degli anni i cancelli di San Patrignano avevano accolto una sfilata enorme di Re Magi: imprenditori, attori, politici, giornalisti. Sponsor che nel corso del tempo hanno protetto la comunità, anche dopo la morte di Muccioli.

Inoltre San Patrignano non è soltanto un luogo terapeutico, ma anche il simbolo di un certo modo di guardare all’abuso di droga. Ha contribuito a orientare il pensiero comune sulla tossicodipendenza in Italia per molto tempo (basti pensare alla legge Jervolino-Vassalli), anche e soprattutto attraverso quella rete di pubbliche relazioni e il supporto economico notevole che ne derivava. Probabilmente, per giungere a un quadro più limpido e oggettivo, era necessario che l’importanza di questi sponsor fluisse nel tempo e che una nuova tipologia di pubblico fosse pronta a masticare la storia senza involucro.

Un altro aspetto che ha reso difficile arrivare a Sanpa, probabilmente, è semplicemente il fatto che queste vicende hanno dei tratti di ambiguità che le rendono ancora oggi oggetto di dispute. Ci sono coloro che vedono in San Patrignano una roccaforte che ha salvato moltissime vite (e ne giustificano i metodi in base a questo fine), e coloro che non hanno mai smesso di condannare la comunità e Muccioli. Non solo per le catene e le violenze, ma anche per aver incarnato la visione reazionaria e autoritaria al tema della droga che ha segnato quei decenni.

Io non credo che il documentario riesca a tirarsi pienamente fuori dalla logica del giudizio—del resto non avrebbe neanche senso: alcuni fatti sono autoesplicativi—come è stato sostenuto nella campagna di presentazione, ma raggruppa certamente voci diverse. C’è l’ex residente che da 20 anni lavora in centri di recupero, e che dice “a San Patrignano ho visto tutto quello che non si dovrebbe fare,” e c’è Red Ronnie.

Ma soprattutto c’è Fabio Cantelli, ex residente, la cui testimonianza, da sola, giustifica lo sforzo di vedere tutto il documentario. Per tutta la durata di Sanpa Cantelli balla sul perimetro del giudizio sui fatti, offrendo uno spaccato molto più complesso di altri. Ed è arrogante fino alla stupidità immaginare di poter etichettare (in qualsiasi orientamento) la sfera emotiva di un uomo che riesce a restituire una voce così lucida e sofferta del limbo fra la vita e la morte come Cantelli. Che allo stesso tempo racconta con onestà l’inammissibile che ha subìto nella comunità, e confessa che uno dei suoi più grandi rimpianti è quello di non essere riuscito a dire a Muccioli quanto fosse stato importante per lui.


Guarda il nostro documentario sulla riduzione del danno in Italia—girato prima della chiusura al drop-in di Collegno, Torino, in un centro praticamente unico in Italia:


Infine, è stato difficile inquadrare trent’anni di San Patrignano in un’ottica che generasse quel tipo di discussione allargata sulle dipendenze che non si limiti all’inutile predica per i convertiti. Le alternative sane a quel modello non sono certamente recenti (d’altronde lo stesso San Patrignano nasce anche in contrapposizione ad altre realtà), ma il livello del dibattito sulla riduzione del danno non ha raggiunto del tutto nemmeno oggi il livello di attenzione generale in Italia.

Ora: ricercare complessità, risposte, e prospettive in prodotti di consumo e intrattenimento è quel tipo di trappola postmoderna di cui David Foster Wallace diffidava. Ma l’esistenza di Sanpa, con i suoi punti in sospeso, fa pensare che magari possiamo raggiungere un nuovo plateau di consapevolezza condivisa.