Música

Seismographic Sounds, la mostra contro ogni muro e divisione musicale

Non credo ormai di dire nulla di nuovo se sostengo che tra le parole più usate e abusate nella conversazione sul futuro della musica tutta, negli ultimi anni, sono “appropriazione culturale” e “ibridazione”: ma, d’altro canto, per uscire dalle logiche immobilistiche che sembrano affascinare tanto l’occidente in cui viviamo, mi sembra necessario continuare a usarle. “Ibridazione” perché, come abbiamo detto in passato, l’incontro di culture, lingue, note, generi e gender ha dimostrato di essere una delle vie maestre per scardinare il suddetto immobilismo; “appropriazione culturale” perché la risposta dello status quo non è sempre quella di chiudersi in sé stesso o di mettersi le mani sulle orecchie e gridare fortissimo LALALALALA quanto quella di pescare dall’underground, da quello-che-va-ed-è-avanguardia, per rielaborare alcune delle sue caratteristiche fondamentali in pacchetti da vendere alle masse.

Ad ogni modo: a pensare questo non sono solo io ma anche un sacco di altre persone, tra cui Thomas Burkhalter, che circa quindici anni fa ha fondato Norient━un auto-definito “Network locale e globale per suoni e culture mediali.” In poche parole, è un portale sul quale potete tranquillamente trovare contributi di scrittori da tutto il mondo su argomenti incredibili come il death metal in Botswana o la scena elettronica di Dacca, in Bangladesh. Particolarità di Norient sta nel suo essere una rete e non un sito dalla struttura redazionale gerarchica: il team accoglie contributi e li posta, semplicemente. 

Dopo anni e anni di lavoro, Norient ha organizzato una mostra━Seismographic Sounds━che sta per arrivare per la prima volta in Italia, da domenica 26 novembre a venerdì 23 dicembre a Milano. È una sorta di collezione audiovisiva dell’enorme patrimonio culturale che il sito ha messo assieme negli anni di cui i visitatori possono fruire liberamente, ascoltando tracce e podcast, guardando video clip e documentari, interagendo con installazioni. Insomma, un piccolo parco giochi per chiunque voglia farsi un’idea di come il fare musica e il parlare di musica stia impattando la contemporaneità. 

Abbiamo quindi parlato con Thomas della mostra, delle idee che la sorreggono e della storia di Norient, della teoria delle bolle e della bellezza che la pluralità di forme e contenuti regala alla musica contemporanea. Lungo l’articolo trovate un po’ di fotografie scattate alla mostra, per farvi un’idea di quello che vi aspetta.

A questo link, invece, trovate una video-playlist curata da Thomas per ascoltare alcuni degli artisti coinvolti nella mostra. Ci sono contributi da Stati Uniti, Regno Unito, Austria, Bolivia, Sud Africa, Serbia, Indonesia, Finlandia e Ghana.

Box video alla mostra, © Norient, Nils Volkmann.

Prima di parlare della mostra, ti va di spiegarmi com’è nato Norient?
Ho fondato Norient nel 2002, almeno in modo ufficiale; poi, se devo pensare al momento in cui tutto è iniziato a livello personale, non saprei bene ritrovare il momento esatto. Ero un giornalista musicale, facevo il freelance e mi ero specializzato in reportage da zone fuori dall’Europa come l’Egitto, il Libano, il Sud Africa. Ero interessato in tutto ciò che fosse underground e sperimentale, nell’elettronica da club, e viaggiando ho scoperto un sacco di musica incredibile. Tornato, però, mi sono sempre dovuto confrontare con le logiche del giornalismo europeo. Le riviste━perché di riviste e giornali si trattava, allora━chiedevano di parlarne in termini di world music o comunque di trattare artisti che fossero distribuiti in Europa, per i legami che avevano con l’industria e le etichette. La cosa ha quindi iniziato a darmi ai nervi, e ho sempre pensato che l’etichetta “world music” rappresentasse in maniera errata la musica là fuori, sia questa africana o asiatica. Ho cominciato a cercare di inserire quello che mi piaceva il più possibile nei miei pezzi, ma poi ho pensato che aprire un mio blog fosse la scelta in migliore.

Norient è però diventato un’esperienza collettiva.
È che ci si conosce, tra giornalisti freelance svizzeri e tedeschi, dato che in un certo senso siamo un po’ tutti nerd. Ci piace cercare musica strana, e non c’è un senso di competizione tra di noi. Quindi ho chiesto a miei amici e colleghi se gli andava di contribuire al sito, che col tempo è diventato un blog collaborativo a tutti gli effetti. Abbiamo iniziato a fare podcast, e a collaborare con alcune stazioni radio. Poi mettici il fatto che anch’io ero in un gruppo━suonavo il sassofono in un collettivo di improvvisazione, ora lavoro su installazioni audiovisive e so smanettare con Ableton━e a un certo punto scrivere di musica non mi bastava, quindi ho cominciato a proporre le mie ricerche in forma artistica. Abbiamo un’audience internazionale, direi, perché in fondo ci concentriamo su musica di nicchia. Berna è una città piccola, e in certi momenti era come se ci conoscessero più persone fuori dalla mia città che gente del luogo. Ma dato che penso sia importante fomentare la scena locale abbiamo iniziato a organizzare iniziative, tra cui un festival del cinema, il Norient Film Festival, che va avanti da otto anni. La prossima edizione sarà a gennaio. Poi è nata la mostra, che è solo un altro esperimento, in un certo senso. Un curatore mi ha detto che il materiale di Norient sarebbe stato fantastico per un’iniziativa del genere, e quindi eccoci qua.

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“The Stinky Singer”, installazione sonora di Raed Yassin, da Beirut – foto di Chris Saunders.

Perché scegliere l’aggettivo “sismografico” per definire i suoni protagonisti della mostra?
Credo che il mondo in cui viviamo stia cambiando a tutti i livelli, e che molti non si stiano rendendo conto della cosa. I movimenti di destra, in Europa e in America, hanno paura del cambiamento e stanno cercando l’approvazione della gente impaurendola. La sinistra, al contempo, è un po’ fuori dal tempo, obsoleta. Non si rendono conto di quello che sta succedendo veramente. E il nostro approccio, basato su nicchie underground, tocca nervi che i media mainstream e la politica evitano. Diamo spazio a voci che preferirebbero restassero zitte, direi. E la mostra non è mia, o dei ragazzi di Norient, non è una mostra in cui noi svizzeri spieghiamo perché il mondo sta cambiando o il modo in cui il mondo suona. Negli anni abbiamo costruito un’enorme rete di contatti, e la mostra è totalmente loro. Sono duecento blogger, giornalisti, accademici, speaker radiofonici, artisti e musicisti che scoprono musica contemporanea e posizioni politiche. E attraverso questo enorme patchwork di idee e musica creiamo un sismografo dei nostri tempi, in un certo senso. Un indice nascosto ma importante, che diventerà sempre più rilevante. 

Avete scelto di suddividere il percorso per sezioni tematiche: denaro, solitudine, appartenenza, desiderio, esotica e guerra.
Ci sono due risposte. Quella più ampia gira attorno al fatto che queste culture di nicchia hanno modi sorprendenti e provocatori di trattare tematiche come quelle, e di continuare a esistere e guadagnarsi da vivere all’interno di un’industria musicale sempre più vicina al fallimento. Una suddivisione tematica ci sembrava quindi interessante━ad esempio, se ci concentriamo sulla guerra, e ci rendiamo conto della varietà con la quale gli artisti ne parlano a livello globale, otteniamo risultati sorprendenti. Ci sono parodie, c’è rabbia, c’è brutalità, c’è musica noise che cerca di ricreare la guerra a livello sonoro per scioccare l’ascoltatore, ci sono storie di vita. La risposta più piccola e pratica invece è data dal modo in cui la mostra è stata creata. Non abbiamo chiesto o collezionato materiale, abbiamo mandato al network una domanda: “Quali pensate siano le tracce e i video più importanti del vostro paese negli ultimi due anni?” Una volta ottenuto il materiale abbiamo taggato ogni singolo contributo in base agli argomenti che trattava, e il risultato è stato un lunghissimo file di Excel da cui abbiamo ricavato i temi preponderanti. 

La mostra, foto di Norient.

Il fatto che l’ibridazione sia una pratica fondamentale per “mandare avanti” il discorso musicale è ormai piuttosto evidente. Al contempo, viviamo in tempi di forte appropriazione culturale da parte del mainstream nei confronti di tendenze non-occidentali, vedi ad esempio la dancehall, ormai parte fondamentale del suono della contemporaneità. Che cosa ne pensi di questo processo?
Prima di tutto, credo che se ci guardiamo indietro di dieci anni è inevitabile notare una maggior presenza di artisti asiatici e africani a dettare la via a livello culturale. Guardando la cosa più da vicino, ti rendi conto di come molti di loro lavorino in reti composte da persone europee o americane. La questione non è quindi un ipotetico scontro tra primo e terzo mondo, quanto la creazione di nuove connessioni. Sono sicuro che alcune delle posizioni artistiche più importanti nascano da strutture come queste. Se possano entrare nel mainstream senza che qualcuno se ne appropri, non possiamo saperlo. Innanzitutto perché il mainstream è indefinibile: è passare per radio? Essere nella colonna sonora di un videogioco importante? Credo che finché il sistema girerà attorno ai soldi, e ci saranno artisti con grandi patrimoni da investire, ci sarà sempre un elemento di appropriazione nel pop. Non so se ci sarà un mainstream nel futuro, o molti mainstream diversi. E non sono sicuro quale sarà il ruolo dei media tradizionali in tutto questo. 

Credo sia il modo corretto di porre la questione. In fondo la tendenza in cui mi sembra di vivere è quella a un sistema di bolle. Insomma, è quella cosa per cui sulla home di Facebook vedi solo gente d’accordo con te. Forse la cosa accadrà anche a livello musicale.
È una cosa a cui pensare, perché spesso noi stessi non ci rendiamo conto della nostra stessa posizione. Norient sta cercando, credo, di portare alcune di queste bolle ad altri livelli e a nuovi pubblici. Questo però senza allontanarsi dalla bolla originale, senza prenderne gli aspetti più trendy e superficiali. Restare fedeli alla cultura underground ma presentarla a utenze più ampie. 

“AudioTube” con MC Sacerdote, dall’Angola – foto di Norient.

Nella mostra c’è anche una forte componente visuale.
Sì, per me è stata un po’ sfida scegliere di inserirla. Se si parla di culture particolarmente sperimentali, ridurle a un video clip rischia di far perdere pezzi al loro messaggio. D’altro canto, un video permette forse a pubblici non abituati alle stesse culture di approcciarcisi in maniera più semplice. In un certo senso questa scelta rende la mostra un po’ più pop di quello che Norient fa normalmente. Ma in fondo abbiamo un sacco di mixtape, installazioni sonore, podcast. 

Coprite tutti i continenti, nella mostra?
Credo di sì! Ma la musica che celebriamo o discutiamo nella mostra non è una raccolta definitiva, ci sono altri milioni di modi per approcciarsi alla cosa. Seismographic Sounds è solo un’idea per far progredire questo tipo di contenuti. È un’idea collaborativa che unisce blogging, giornalismo e università. Un modo per unire scrittori da qualunque parte del mondo. Tenendo un approccio come questo possiamo andare sempre più avanti. Ed è anche un esperimento riguardo al modo in cui parliamo di musica a livello giornalistico. 

“Stereo Types”, installazione video di Urs Hofer, Zurigo – foto di Norient.

Esatto, la mostra non solo parla di underground ma anche del modo in cui questo viene presentata a livello giornalistico. Che cosa ti aspetti di vedere a breve termine, a livello mediatico?
Posso parlare della Svizzera e della Germania, e devo dire che sta tutto crollando, e alla svelta. I media tradizionali, i giornali soprattutto, non pagano più i freelance. Da ragazzo ce la facevo, prendevo quattro o cinque volte i soldi che prendo ora. Ci sono sempre meno giornalisti musicali, sempre meno persone che trattano l’underground. Ma d’altro canto ci sono sempre più blogger. La domanda è questa: come possono sopravvivere? Per quanto tempo potranno andare avanti? Se scrivi di musica su un blog lo fai con passione, entri nei dettagli, intervisti i musicisti e crei dei post incredibili. Per il primo anno lo fai ogni settimana. Poi rallenti, e lo fai una volta al mese. E lentamente il tuo blog muore. Sei troppo piccolo per avere successo. E gli algoritmi di Facebook non ti aiutano, in tutto questo. Rischi di non raggiungere più nessuno. Al contempo, sono sicuro che ci saranno sempre creativi di talento con abbastanza energia per andare avanti e far sopravvivere il giornalismo musicale. Norient è solo un piccolo pezzo di questa enorme sperimentazione. In tutto questo, credo che pagare gli articoli sia fondamentale, e anche nel nostro piccolo cerchiamo di farlo sempre. Nessuno dovrebbe lavorare gratis. E la mostra, assieme al suo catalogo, è un modo per tirare su fondi e quindi pagare scrittori per avere nuovi articoli. Da svizzero, non posso chiedere a uno scrittore boliviano di scrivere gratis per me. Avrei problemi di coscienza. Dobbiamo sorpassare queste strutture di gratuità.

Un modo potrebbe essere cercare di auto-crearsi un brand. Magari in video, grazie a YouTube. 
Certo! Ad esempio nella mostra c’è un contributo di FrankJavCee, un ragazzo che presenta generi internettiani come la vaporwave e la trap attraverso video di YouTube tra i sette e i dodici minuti. E ha centinaia di migliaia di visite. E mi chiedo se sia abbastanza per generare utili, o forse ha paura di iniziare a farlo perché vuole evitare di lavorare assieme a dei brand. È una domanda che dobbiamo tutti porci: vogliamo lavorare a livello commerciale o no?

Grande Frank, lo adoro!
È un grande, vero? L’ho intervistato per il catalogo, e ha scritto un articolo che abbiamo pubblicato! 

Seismographic Sounds è da domenica 26 novembre a venerdì 23 dicembre allo spazio BASE, a Milano, in via Bergognone 34. L’ingresso è gratuito.
Acquista qua il libro-catalogo della mostra.


Foto di copertina di Camille Blake.

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