È in crescita il numero di stranieri residenti in Italia che decidono di lasciare il paese per tornare nella madrepatria. Secondo il Bilancio Demografico 2014 pubblicato a giugno dall’Istat, sono in aumento le richieste di cancellazione di residenza soprattuto da parte di alcune nazionalità.
Tra le comunità che hanno visto il maggior numero di persone lasciare l’Italia spiccano i marocchini, seguiti dagli albanesi, la cui presenza in Italia si è ridotta nel 2014 di circa 5.226 unità.
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Sono lontani i tempi dell’esodo albanese verso l’Italia nei primi anni novanta, quando migliaia di persone si imbarcavano su navi sgangherate e vecchi pescherecci per scappare da uno stato in frantumi e da un’economia devastata.
L’8 agosto 1991 la nave Vlora attraccò al porto di Bari con a bordo più di 20.000 albanesi. Le immagini della nave carica di persone divennero il simbolo della fuga dall’Albania alla volta dell’El Dorado italiana, un ideale molto forte nell’immaginario collettivo alimentato anche dalla grande diffusione dei canali televisivi italiani nel paese.
L’arrivo di migranti in Italia continua ancora oggi, nonostante siano altre guerre, altre carestie e altri disastri economici a spingere le migrazioni. Se un tempo gli albanesi arrivavano in Italia per stabilirvisi, i migranti di oggi sono invece diretti verso i paesi del nord Europa. E non sono i soli a voler lasciare l’Italia il prima possibile: anche gli albanesi se ne stanno andando, ma per fare ritorno in patria a ritmi sempre crescenti.
Secondo Enza Roberta Petrillo, assegnista di ricerca post-doc e parte della cattedra UNESCO “Popolazione, Migrazione e Sviluppo” alla Sapienza di Roma, le motivazioni che spingono gli albanesi a lasciare l’Italia sono da ricercare nei cosiddetti push e pull factors.
Da un lato, spiega Petrillo, “l’Italia non è attrattiva per i migranti, e questo lo raccontano anche i flussi odierni: adesso transitano per l’Italia, ma non vogliono restarci.” Dall’altro, l’Albania sta vivendo un momento migliore non solo per quel che riguarda la crescita economica, ma soprattutto per la spinta di rinnovamento politico.
“L’Albania dal punto di vista istituzionale sta facendo dei passi in avanti, dunque rappresenta una meta più stabile in cui rientrare rispetto a quello che poteva essere dieci anni fa,” aggiunge Petrillo.
Anche i dati sembrano confermare il graduale rientro in patria degli albanesi. Sempre secondo l’Istat il numero di cancellazioni di residenza è cresciuto di anno in anno, con un aumento da 609 a 2.296 persone tra il 2007 e il 2013.
Questo trend è supportato dai dati dell’istituto albanese di statistica INSTAT. La migrazione di ritorno dall’Italia all’Albania ha subito un’accelerazione tra il 2007 e il 2008, allo scoppio della crisi finanziaria globale. Si è passati da meno di 4.000 ritorni dichiarati nel 2007, a quasi 8.000 nel 2011.
La pesante recessione che ha colpito l’Italia ha avuto un impatto anche sugli stranieri residenti nel paese, sia in termini di occupazione che di salari. Un esempio fatto da Petrillo riguarda la comunità rumena: “È chiaro che c’è stato un impatto in termini di retribuzione. Per esempio, la paga oraria per i lavori da colf o assistente agli anziani è andata decrescendo. Prima le lavoratrici rumene prendevano 10 euro all’ora, adesso intorno agli 8 euro.”
Ma al contrario di quanto si possa pensare, secondo Petrillo, la crisi si è abbattuta in maniera più drammatica sui lavoratori altamente qualificati, spingendoli a tornare in patria—la riduzione degli investimenti e l’instabilità lavorativa hanno infatti toccato indiscriminatamente gli italiani e gli stranieri.
Tuttavia, quello che colpisce è che a lasciare il paese non sono solo i cervelli italiani, ma anche quelli albanesi. Per Petrillo, il ritorno degli albanesi altamente qualificati è “un sonoro schiaffo in faccia a un modello di integrazione che è sicuramente perfettibile. Se non riusciamo a integrare neanche gli altamente qualificati, siamo ben lontani dall’integrare anche i migranti vulnerabili.”
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Mentre l’Italia sembra non riuscire a scrollarsi di dosso il fardello della crisi, in Albania l’ottimismo è tangibile. Prima della crisi finanziaria globale, il paese faceva registrare tassi di crescita media intorno al 6 per cento annuo, cifre che in Italia non si vedono dal 1980. L’economia si sta gradualmente riprendendo, e il Fondo Monetario Internazionale ha previsto un tasso di crescita tra il 2,5 e il 3 per cento nel 2015.
Darien Levani è nato in Albania nel 1982, ma si è trasferito in Italia a 18 anni per studiare giurisprudenza. Ora è abilitato in Albania come avvocato, e nel frattempo scrive libri e articoli pubblicati anche in Italia.
Levani ci tiene a specificare che “dal punto di vista albanese, [una crescita del] due o tre per cento del PIL è essenzialmente un fallimento. Ovvio che confrontato all’Europa è qualcosa di straordinario, però è un confronto un po’ approssimativo.”
L’abbassamento del livello economico italiano e il miglioramento di quello albanese sono però innegabili, tanto che, secondo Levani, “la distanza tra i due paesi si è ridotta: si può anche pensare di andare a lavorare in Albania e, se le cose vanno male, tornare in Italia.”
Ed è quello che ha fatto Muharrem Çobo, arrivato in Italia nel 1991 con il primo grande esodo albanese, e rientrato in patria quasi dieci anni dopo.
Ora Çobo vive in Albania con la moglie (italiana) e i figli. Dopo aver lavorato per il governo albanese per quasi dieci anni, dal 2010 si dedica esclusivamente alla casa vinicola di famiglia, la Çobo Winery.
“L’arrivo [in Italia] è stato traumatico,” ha raccontato Çobo. “Non so se hai presente il grande esodo dall’Albania nel 1991… il primo grande esodo. Io ero uno di loro.”
Arrivato a Brindisi su una nave partita da Durazzo, è stato ospitato per due settimane in una scuola della città pugliese, per poi essere trasferito a Trento dove ha vissuto fino al 2000. Si è iscritto all’università per studiare giurisprudenza, e nel frattempo ha svolto qualche lavoro part-time, “prevalentemente nei bar o nei ristoranti.”
Nel 2000, la decisione di tornare in Albania. “La spinta era un po’ idealistica. Pensavo che con il mio contributo e i miei studi avrei potuto dare una mano anche io a questo paese.” Quello che ha trovato era a suo dire un paese “molto cambiato. La mentalità era diversa, nel bene e nel male.”
Il ritorno di Albania di Çobo è stato il precursore di una tendenza inaspettata, estranea al dibattito pubblico italiano: gli albanesi che rientrano non sono solo il manovale o la colf schiacciati dalla crisi; sta tornando in Albania una generazione di laureati e professionisti che svolgono lavori altamente qualificati e che andranno a formare la nuova classe dirigente albanese.
La storia di Çobo riflette un nuovo rapporto tra Italia e Albania che emerge dal racconto di tanti rimpatriati, ma anche di accademici e studiosi dei flussi migratori. Lo spostamento da unidirezionale è diventato fluido, spesso circolare.
“Non ho mai concepito e continuo a non concepire l’Italia o l’Albania come una stazione fissa,” ha detto Levani, secondo cui il miglioramento delle condizioni economiche in Albania ha reso “i due paesi talmente vicini, i confini talmente effimeri” che la scelta di stabilirsi in uno dei due paesi “non è mai definitiva.”
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Foto di apertura di Shkumbin Saneja rilasciata sotto licenza Creative Commons.