Ieri mattina le sezioni antiterrorismo della Digos di varie città del Nord Italia hanno concluso un’operazione nei confronti di alcuni “neo-nazisti,” accusati di detenere ingenti quantità di “armi da guerra e armi da sparo.”
Grazie a intercettazioni e pedinamenti, la polizia ha scoperto che Fabio Del Bergiolo—sessantenne residente a Gallarate, ex candidato al Senato per Forza Nuova nel 2001, e sospeso dal lavoro di doganiere per una truffa ai danni dell’erario—aveva in casa un vero e proprio arsenale di fucili d’assalto e pistole di produzione austriaca, tedesca e statunitense, nonché di munizioni.
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Nell’abitazione di Del Bergiolo, dove viveva con la madre, la Digos ha trovato anche svastiche, cartelli e testi nazisti. Una vicina, intervistata da La Stampa, l’ha descritto così: “Passava il tempo a odiare i migranti. Li malediceva. Usava frasi irripetibili contro i vescovi che li accolgono. Per Pasqua mi ha mandato delle foto di donne nude vestite da naziste, era ossessionato dalle armi.”
Il ritrovamento più clamoroso è indubbiamente quello di un missile aria-aria Matra R530, realizzato per i caccia francesi Mirage e dimesso dall’esercito del Qatar, in un magazzino di Rivanazzano Terme—tra Voghera e Tortona—appartenente alla società Star Air Service, che commercializza e ripara piccoli aerei civili.
I titolari dell’azienda Alessandro Michele Aloise Monti, svizzero di 42 anni, e Fabio Amalio Bernardi, 50enne residente a Oleggio, sono stati inizialmente fermato per il reato di vendita di armi da guerra salvo poi essere messi agli arresti domiciliari.
L’ordigno bellico era privo di carica esplosiva ma “riarmabile,” secondo gli inquirenti, e poteva valere tra i 450 e i 500mila euro sul mercato nero. Ancora non si sa come sia potuto finire lì. Del Bergiolo avrebbe inviato una foto del missile su WhatsApp (intercettato dalla polizia) a “un combattente italiano reduce del Donbass [la zona nell’Ucraina dell’est contesta tra il governo di Kiev e i separatisti filo-russi],” per sondarne l’interesse all’acquisto.
Le indagini sono partite qualche mese fa, quando—riportano i quotidiani—un “informatore di un paese dell’Est” ha svelato agli investigatori “un articolato traffico internazionale di armi, riconducibili ad aree dell’estrema destra” e addirittura un “presunto piano per colpire il ministro dell’interno Matteo Salvini,” giudicato subito privo di “consistenza investigativa.”
Dopo aver esplorato più strade, gli inquirenti si sono dunque focalizzati sui tre arrestati. Nel comunicato ufficiale sull’operazione c’è un altro riferimento esplicito al Donbass. Le forze dell’ordine, infatti, dicono di essere risalite ai neonazisti monitorando “alcune persone legate a movimenti politici dell’ultradestra che avevano combattuto nella regione ucraina del Donbass contro gli indipendentisti.”
Su questo punto è utile fare un po’ di chiarezza, perché in queste ore è citata un’inchiesta della procura di Genova—risalente all’agosto del 2018—su un giro di mercenari italiani di estrema destra che reclutavano e combattevano per gli indipendentisti filo-russi.
Sin dall’inizio del conflitto in Ucraina, infatti, il campo del neofascismo italiano si è spaccato in due: una parte si è schierata con i settori nazionalisti di Kiev, arruolandosi anche in formazioni paramilitari di estrema destra come il Battaglione Azov; e un’altra è andata a ingrossare le file dei separatisti delle “repubbliche indipendenti” nel Donbass.
La circostanza è stata anche fotografata nell’ultima relazione dei servizi segreti. “Tale contrapposizione,” si legge, “si è tradotta nella rilevata presenza in entrambi gli schieramenti di militanti dell’ultra-destra italiana, spinti da motivazioni tanto ideologiche quanto economiche.” Il testo si sofferma sui numeri (non elevati e non paragonabili ai foreign fighters jihadisti) e sulle “potenziali criticità,” legate soprattutto “all’esperienza e alle competenze di natura militare che, al rientro in territorio nazionale, potrebbero essere riversate negli ambienti di riferimento.”
Nella conferenza stampa, il questore di Torino Giuseppe De Matteis ha dichiarato che si tratta di “un’operazione che ha pochi precedenti investigativi in Italia.” L’avvocato di Del Bergiolo, invece, ha detto che “il mio assistito è soltanto un appassionato collezionista d’armi.”
Solo la scorsa settimana si era svolta la prima fase dell’operazione, che aveva portato a perquisizioni nella sede di Torino del gruppo bonehead Legio Subalpina (sostenuto dal leghista Mario Borghezio) e nelle case di una decina di militanti di Forza Nuova e Rebel Firm a Ivrea. In quel caso, la polizia aveva sequestrato simboli fascisti e nazisti, coltelli, mazze, proiettili e un machete.
Queste due inchieste, come ha notato Saverio Ferrari dell’Osservatorio democratico sulle nuove destre, dimostrano che “l’estrema destra si sta armando: qualcuno ipotizza apertamente di voler organizzare la lotta armata, altri pensano di mettere armi da parte.” E sono pure la riprova che soffermarsi sulle percentuali da prefisso telefonico dei partiti fascisti è sempre un gigantesco errore prospettico.
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