È di nuovo quel periodo dell’anno in cui i social sono pieni di foto di test rapidi positivi per il Covid-19, persone che conosciamo l’hanno preso (o ripreso)—anche con sintomi non lievi—e noi stessi magari lo abbiamo beccato per la prima volta dopo averlo scampato per più di due anni.
Insomma: siamo nel mezzo di un’altra ondata della pandemia di Covid-19, la sesta in totale e la prima dopo la fine dello stato d’emergenza e la rimozione di (quasi) tutte le restrizioni sanitarie.
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Secondo i dati del bollettino ufficiale, la scorsa settimana si sono registrati 350.017 casi, in aumento del 59 percento rispetto alla settimana precedente—ed è una cifra sicuramente al ribasso, visto che molte persone fanno gli autotest e non notificano la positività alle autorità sanitarie.
L’indice di trasmissibilità (Rt) calcolato dall’Istituto Superiore della Sanità (Iss) è superiore all’uno, segno che l’epidemia è in una fase espansiva. In base all’ultimo monitoraggio settimanale, l’incidenza è di oltre 500 casi ogni 100mila persone; in alcune zone, come la Lombardia, è anche maggiore.
A differenza delle precedenti ondate, la pressione ospedaliera rimane limitata e gestibile. Tuttavia, ha sottolineato il ricercatore dell’Ispi Matteo Villa su Twitter, i decessi di questo periodo per il Covid-19 superano quelli dello stesso periodo dell’anno scorso.
Questa situazione non riguarda ovviamente solo l’Italia. Dal Sudafrica all’Europa, passando per gli Stati Uniti e Israele, i casi sono in aumento ovunque.
L’incremento è dovuto principalmente a due fattori. Il primo ha a che fare con l’evoluzione del virus: le subvarianti BA.4 e BA.5 di Omicron (rilevate per la prima volta in Sudafrica ad aprile) stanno diventando dominanti un po’ ovunque e scalzando la subvariante BA.2 (Omicron 2), che aveva causato l’ondata tra l’inverno e la primavera.
In Italia—stando a un’indagine condotta da Iss, Ministero della salute, laboratori regionali e Fondazione Bruno Kessler—l’incidenza della BA.5 sul totale dei casi è al 23 percento, mentre quella della BA.4 è all’11 percento.
Rispetto a Omicron 2, si legge in un recente articolo sulla rivista Nature, le versioni 4 e 5 si trasmettono meglio perché hanno maggiori capacità immunoevasive: in sostanza, riescono a eludere la risposta anticorpale data dalle precedenti infezioni e dalle vaccinazioni.
Secondo l’immunologo Oliver Schwarz dell’Istituto Pasteur di Parigi, intervistato da The Local Italy, la BA.5 è il 10 percento più contagiosa della BA.2, ma non è associata a una maggiore gravità della malattia.
Il secondo fattore riguarda per l’appunto noi: sia i nostri comportamenti, decisamente più rilassati rispetto al passato (complice anche l’assenza di restrizioni), che la nostra protezione immunitaria.
In Italia il tasso di vaccinazione è molto alto: a oggi ha completato il ciclo primario l’84,3 percento della popolazione e il 67,1 percento ha ricevuto il booster. Tuttavia, secondo alcuni studi condotti in laboratorio e citati da Nature, “gli anticorpi sviluppati attraverso la vaccinazione sono meno effettivi nel bloccare [le subvarianti] BA.4 e BA.5, rispetto alle versioni più risalenti di Omicron, tra cui la BA.1 e BA.2.”
Un altro studio, condotto in 21 ospedali degli Stati Uniti, ha osservato che gli attuali vaccini hanno un’efficacia del 77 percento nel prevenire i sintomi gravi di Omicron 4 e 5, in sensibile calo dal 95 percento rispetto alla variante Delta.
È importante sottolineare, come ha fatto il giornalista del Financial Times John Burn-Murdoch, che le dinamiche della pandemia sono sempre più diverse da paese a paese, contrariamente a quanto è accaduto in passato. Siccome le restrizioni sono state tolte pressoché ovunque, a fare la differenza sono il “profilo immunitario” e la demografia di ogni singolo paese.
Il Sudafrica, ad esempio, ha registrato un piccolo incremento di ospedalizzazioni e decessi durante l’ondata di Omicron 4 e 5. Come ha spiegato a Nature la ricercatrice Waasila Jassat del National Institute for Communicable Diseases di Johannesburg, ciò è dovuto all’“immunità ibrida” data dalle vaccinazioni (circa il 50 percento della popolazione vaccinabile) e dalle massicce infezioni avute nelle ondate precedenti (specialmente Omicron 1 e 2), nonché dalla giovane età media degli abitanti.
In Portogallo, dove il tasso di vaccinazione è molto più alto rispetto al Sudafrica, le ospedalizzazioni e i decessi dell’ondata di Omicron 5 sono stati simili a quelli dell’ondata di Omicron 1. Per Jassat, la differenza con il Sudafrica deriva dalla struttura demografica del Portogallo, dal momento che “più persone anziane ci sono, più la malattia può essere grave.”
A ogni modo, finora la pandemia ci ha insegnato che è praticamente impossibile sapere cosa succederà in futuro. In autunno dovrebbero arrivare nuovi vaccini adattati a Omicron, che stando a un comunicato ufficiale di Pfizer e dall’azienda BioNTech hanno dimostrato un’ottima efficacia.
Gli esperti però avvertono che potrebbero svilupparsi nuove varianti da ceppi diversi, e che una circolazione virale sostenuta ha sempre e comunque effetti negativi—come, ad esempio, l’aumento dei casi di Long Covid.
In tutto ciò, una cosa è certa: la pandemia di Covid-19 è ancora tra noi, anche se ci piacerebbe che non fosse così.
“La percezione che la pandemia sia finita è comprensibile, ma fuorviante,” ha detto all’inizio di questo giugno Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. “Non è finita, e continueremo a dirlo finché non sarà così.”