La necessità di dormire almeno otto ore di fila per notte non è solo un’introduzione recente nella storia dell’uomo—è anche un processo apparentemente innaturale. Lo storico Roger Ekirch ha dedicato più di 15 anni allo studio del fenomeno, e ha raccolto una grande mole di materiale a sostegno di questa idea.
Nel Medioevo, e forse anche in tempi precedenti, la norma era infatti di dividere il sonno in due fasi della durata di circa quattro ore l’una (il cosiddetto sonno bifasico), separate da una o due ore di veglia. Questo lasso di tempo poteva essere utilizzato per sbrigare le faccende di casa, leggere, scrivere, meditare sui sogni fatti o chiacchierare col compagno di letto. O, come consigliato, per fare sesso. Questo schema sarebbe scomparso più o meno due secoli fa, con l’arrivo dell’illuminazione artificiale e della rivoluzione industriale.
Secondo Ekirch, la causa principale del cambiamento sarebbe stata l’illuminazione artificiale, paragonata a una droga a cui l’uomo moderno è continuamente esposto, capace di sconvolgere l’organizzazione dei livelli ormonali influendo inevitabilmente sulle abitudini legate al sonno.
Ekirch lavorava con Thomas Wehr, un ricercatore che aveva riprodotto le condizioni del sonno bifasico assicurandosi che i partecipanti allo studio evitassero di esporsi alla luce artificiale per circa un mese. Dopo due settimane, ogni soggetto mostrava lo stesso ritmo del sonno: dormiva in due fasi per notte.
Secondo i due studiosi, il tempo tra le due fasi di sonno era necessario per ridurre lo stress e garantire un buono stato di salute. Nella pratica, avrebbe funzionato come un momento di serenità utile a riflettere sulla giornata appena trascorsa, pensare a quanto accaduto nella prima fase di sonno o semplicemente oziare e rilassarsi.
Personalmente, ho sempre avuto problemi a dormire: vado a letto tardi, ci metto una vita ad addormentarmi e alla mattina faccio il possibile per ritardare l’ora della sveglia. Forse è perché preferisco le ore notturne, o forse è perché non ho disciplina; per capirlo ho provato a mettere in pratica il sistema del sonno bifasico, sottoponendomi al regime delle due ondate di sonno in assenza di illuminazione artificiale.
Prima notte
Verso le dieci di sera ho acceso un po’ di candele e mi sono chiesto se anche quelle si sarebbero potute considerare illuminazione artificiale. Ho fatto una ricerca su internet, ma le opinioni non erano proprio uniformi; il fuoco è un fenomeno naturale, ma le candele non lo sono… Alla fine ho optato per tenerle accese, dato che all’epoca c’erano. L’assenza di illuminazione artificiale significava che non avrei potuto usare nemmeno computer, televisione o telefono. Le opzioni a mia disposizione erano a dir poco scarne. Alle 11 mi sono lavato i denti nel buio più totale e mi sono preparato per andare a letto—molto in anticipo rispetto all’ora in cui mi corico solitamente. Dal momento che non sarei mai riuscito a svegliarmi da solo quattro ore dopo, ho impostato la sveglia alle quattro di mattina.
Qualche ora dopo mi sono svegliato madido di sudore, come se il mio corpo avesse capito che avevo l’intenzione di tirarlo giù nel bel mezzo della notte. Ho acceso una candela e mi sono messo a sedere sul letto. Ricordavo perfettamente il sogno che avevo appena fatto, e ho cercato di ripercorrerlo per meditare. Purtroppo gli occhi mi bruciavano, e c’era anche il forte rischio di chiudere gli occhi e addormentarmi. Avrei riflettuto sul mio io in un’altra occasione.
Ho preso la candela e l’ho portata in uno dei luoghi della casa che mi piace meno—il piano della cucina—e ho deciso di lavare i piatti. Per un attimo mi sono venute in mente le volte in cui mi metto a fare le pulizie da ubriaco. Quando succede, la mattina dopo sono sempre orgoglioso di me stesso. Mezzora più tardi sono tornato a letto, dove senza volerlo sono rimasto sveglio un’altra ora. Fortunatamente il mio lavoro non richiede che mi svegli presto, dato che il giorno successivo prevedevo di svegliarmi piuttosto tardi.
Seconda notte
Al suono della sveglia, l’idea di alzarmi è sembrata del tutto naturale: non ci ho pensato due volte, non avevo sonno e avevo fame. Mi sono fatto un uovo strapazzato e l’ho mangiato in piedi, di fronte alla finestra della cucina, in mutande. Mi sono chiesto cosa avrebbero pensato i vicini se mi avessero visto—ma non potevano vedermi, dato che era martedì notte e tutti stavano dormendo.
Per quanto possa sembrare strano, quest’ora della notte è perfetta per dormire. Mi piace leggere, ma non lo faccio più così spesso per colpa di tutte le distrazioni. Non stasera. Ho letto per mezzora, alla luce della candela, e mi sentivo una specie di studioso medievale. Ero lucido e avevo l’impressione di poter tirare dritto per il resto della giornata—e se quattro ore di sonno fossero meglio di otto ore divise in due fasi? Dal momento che non avevo intenzione di scoprirlo in quel momento, sono tornato a letto. Mi sono addormentato immediatamente.
Terza notte
Le prime quattro ore di sonno sono anche quelle in cui l’organismo ristabilisce tutte le sue funzioni e il cervello si prepara a una nuova giornata. I sogni sono importanti, e in passato la gente dedicava un sacco di tempo e sforzi alla loro interpretazione. Oggi non è più così, forse anche perché ce li dimentichiamo immediatamente o nemmeno ci sforziamo di ricordarli appena svegli. Adattandosi ai ritmi di sonno naturali e intervallando le due fasi, invece, ricordare ciò che si è sognato è molto più semplice. O almeno, questo è ciò che ho sperimentato io: dopo le prime quattro ore non ho avuto alcuna difficoltà a ricordare il sogno che avevo fatto, un po’ come se fosse stato un film dentro la mia testa. Nel sogno c’era una palla da bowling che mi sussurrava cose incomprensibili, e quando l’ho avvicinata per capire, ha iniziato a urlare. Ad ogni modo, a nessuno interessa sapere dei sogni degli altri, quindi non starò qui a tediarvi col mio.
Quarta notte
Credendo che il mio corpo fosse ormai pronto a regolarsi da sé non ho messo la sveglia. Dieci ore dopo mi sono svegliato. Ovviamente il mio corpo non era pronto a un bel niente, tantomeno ad adattarsi all’orologio biologico.
Quinta notte
Ero invitato a un matrimonio, e la festa si era protratta ben oltre il mio appuntamento col letto. Invece di essere alla mia terza ora di sonno ero su una pista da ballo con delle macchie di whisky sul vestito che avevo preso a noleggio, e nessuno avrebbe potuto dirmi cosa fare. Prima dell’illuminazione artificiale la notte era roba da criminali, prostitute e ubriaconi—e quella sera facevo parte dell’ultima categoria.
Uno dei vantaggi dei matrimoni è che di solito non durano tutta la notte, perché a una certa gli invitati si stufano e nessuno ha più auguri da fare agli sposi. Arrivato a casa ho bypassato tutte le sveglie notturne, ma forse è stato meglio così: riprendersi da una sbronza nel bel mezzo della notte deve essere molto più difficile che dover gestire un hangover la mattina.
Sesta notte
Al sabato non vado mai a letto presto, ma stavolta sono stato costretto. Mentre tutti erano fuori a bere e qualcuno tornava già a casa, è iniziata la mia pausa tra le due fasi di sonno. Avrei dedicato quella finestra temporale al bucato a mano. Fuori, per strada, qualcuno urlava. Ho messo la testa fuori e per un po’ ho osservato il litigio tra una coppia polacca. Il ragazzo aveva preso il cellulare della (ex) fidanzata e l’aveva lanciato a terra, lasciandolo senza cover e senza batteria—entrambe prontamente calpestate dalla ragazza, che aveva risposto prendendolo a schiaffi. Li ho seguiti con lo sguardo finché non sono usciti dal mio campo visivo, e poi ho deciso di andare a letto.
Settima notte
Alle tre di notte ho spento la sveglia e acceso la radio. L’intervistato aveva una teoria tutta sua sulla Seconda guerra mondiale, e il conduttore del programma non sembrava volerlo interrompere. Forse per una questione di rispetto. O forse, cosa ben più probabile, ero l’unico ascoltatore e non valeva la pena litigare per me. Mi sono alzato, ho sistemato per un po’ casa e poi sono tornato a letto. Ho soffiato sulla candela e per un attimo sono rimasto con gli occhi aperti, immerso nell’oscurità.
Per quanto possa essere naturale, capisco perché questo sistema sia ormai parte del passato. È tutto fuorché pratico: alle canoniche otto ore di sonno se ne aggiungono due praticamente vuote, sei costretto ad andare a letto presto, evitare l’illuminazione artificiale è impossibile e nemmeno i ritmi delle nostre attuali vite sono di aiuto. Eppure, quegli attimi di tranquillità tra le due fasi di sonno sono stati anche belli. Basta riuscire a svegliarsi, ma risolto quello non ti senti obbligato a fare nulla, quindi attività come il bucato, la lettura o il semplice stare in mutande sul divano assumono un senso. Soprattutto oggi, quando siamo costantemente bombardati dalle informazioni e non abbiamo tempo per noi.
Quindi ecco, se vi capita di svegliarvi nel bel mezzo della notte non cercate a tutti i costi di tornare a dormire—il vostro io futuro vi ringrazierà per aver finalmente lavato i piatti.
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