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Nel 1972 è stato previsto il collasso della società nel 2040. Secondo nuovi dati, siamo sulla buona strada

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Un importante studio condotto da una direttrice di una delle più grandi società di revisione contabile mondiale ha rilevato che un allarme lanciato dal MIT diversi decenni fa si sta dimostrando fondato. La ricerca riguarda il rischio del collasso della civiltà industriale che, a quanto pare, sarebbe confermato da recenti dati empirici.

Mentre il mondo cerca di guardare avanti e spera nella ripresa economica dopo le devastazioni portate dalla pandemia, questa ricerca solleva pressanti interrogativi riguardanti il semplice ritorno alla “normalità” pre-pandemica.

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Nel 1972, un gruppo di scienziati del MIT ha studiato i rischi relativi all’eventuale collasso della civiltà. Il loro modello di dinamica dei sistemi, pubblicato dal Club di Roma, ha identificato i “limiti dello sviluppo” che porterebbero la nostra civiltà industriale sulla strada verso il collasso proprio nel ventunesimo secolo, a causa dello sfruttamento incontrollato delle risorse planetarie.

Quando è stata pubblicata, la controversa analisi del MIT ha generato un acceso dibattito, ed è stata addirittura derisa da alcuni esperti che hanno travisato e distorto i risultati ottenuti e i metodi utilizzati. Oggi, invece, l’analisi è stata convalidata in maniera piuttosto spettacolare grazie allo studio realizzato dalla direttrice del gigante KPMG—una delle quattro società contabili più importanti al mondo, in considerazione del fatturato globale.

Limiti dello sviluppo

Lo studio è stato pubblicato a novembre del 2020 su Yale Journal of Industrial Ecology ed è disponibile per la consultazione sul sito della KPMG. La ricerca afferma che l’attuale civiltà globale è diretta a testa bassa verso il declino definitivo della crescita economica, che avverrà entro un decennio—un fatto che a sua volta, nella peggiore delle ipotesi, potrebbe scatenare il collasso della società intorno al 2040.

Per la prima volta, un’importante analista—che oltretutto lavora per una multinazionale globale e “tradizionale”—ha considerato seriamente il modello dei “limiti allo sviluppo.” L’autrice in questione, Gaya Herrington, è difatti direttrice delle analisi in sostenibilità e dinamica dei sistemi presso KPMG. Tuttavia, ha condotto la sua ricerca come progetto personale, per comprendere quanto il modello del MIT potesse reggere il passaggio del tempo.

Lo studio in sé, dunque, non è stato condotto per conto di KPMG e non riflette necessariamente il punto di vista dell’azienda. Herrington ha effettuato la sua ricerca come continuazione della sua tesi di Master presso l’Università di Harvard, in qualità di consulente per il Club di Roma. Tuttavia, sul sito ufficiale di KPMG ha spiegato il suo progetto in questo modo:

“Considerata la sgradevole prospettiva del collasso, ero curiosa di capire quale scenario corrispondesse al meglio ai dati disponibili oggi. Dopotutto, il libro che presentava il modello in questione è diventato un bestseller negli anni Settanta, e da allora abbiamo accumulato diversi decenni di dati con cui predisporre un paragone significativo. Sorprendentemente, però, non sono riuscita a trovare tentativi recenti in questo senso e quindi ho deciso di farlo io.”

Lo studio, che è stato intitolato “Aggiornamenti sui limiti della crescita e dello sviluppo: Confronto del modello ‘World3’ con i dati empirici,” cerca di stabilire quanto questo modello del MIT regga contro i nuovi dati disponibili. Gli studi precedenti che avevano fatto un tentativo simile avevano scoperto che gli scenari peggiori delineati dal modello riflettevano accuratamente gli sviluppi nel mondo di tutti i giorni. Tuttavia, l’ultimo studio di questo tipo è stato completato diversi anni fa, nel 2014.

Il rischio del collasso

La nuova analisi di Herrington esamina i dati procedendo secondo dieci diverse variabili, ovverosia: popolazione, tasso di natalità, tasso di mortalità, produzione industriale, produzione alimentare, servizi, risorse non rinnovabili, inquinamento, welfare e impatto ambientale. E ha scoperto che i dati più recenti sono in linea con due scenari specifici: “BAU2,” ovvero “business-as-usual,” inteso come lo status quo attuale con un’attenzione particolare allo sfruttamento delle risorse, e “CT,” ovvero “comprehensive technology,” cioè “tecnologia di vasta portata”, per intendere uno scenario di innovazione tecnologica.

“Entrambi gli scenari mostrano che entro un decennio la crescita si arresterà,” conclude lo studio. “Quindi entrambi indicano che non è possibile continuare a questo modo, inseguendo un incremento continuo. Persino se associato a sviluppi tecnologici senza precedenti, il ‘business as usual’ porterà inevitabilmente al declino del capitale industriale, della produzione agricola e del welfare, tutto entro la fine del secolo.”

L’autrice ha poi precisato che nel modello World3, il collasso “non implica la fine dell’umanità,” ma piuttosto “l’interruzione della crescita economica e industriale, seguita dal declino, che avrà ripercussioni sulla produzione alimentare e sugli standard della vita quotidiana… Per quanto riguarda le tempistiche, lo scenario BAU2 mostra un declino netto intorno al 2040.”

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Lo scenario ‘Business-as-Usual’ (Fonte: Herrington, 2021)

La fine della crescita economica?

Nello scenario della “tecnologia totale”, il declino economico continua a concretizzarsi intorno al 2040 e dà potenzialmente vita a uno spettro di possibili conseguenze, benché non porti al collasso della società.

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Lo scenario ‘Comprehensive Technology’ (Fonte: Herrington, 2021)

Sfortunatamente, lo scenario meno vicino a quanto ci suggeriscono i dati attuali è anche quello più ottimistico, conosciuto come “Stabilized world”, ovvero il “mondo stabilizzato”: una fase in cui la civiltà segue un cammino sostenibile e ha un calo molto ridotto della crescita economica—si tratta di uno scenario basato sulla combinazione di innovazione tecnologica e investimenti diffusi e capillari nella salute pubblica e nell’educazione.

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Lo scenario ‘Stabilized World’ (Fonte: Herrington, 2021)

Benché sia lo scenario della “tecnologia di vasta portata” che quello del “business-as-usual” indichino la fine della crescita economica da qui a dieci anni, solo l’ultimo modello citato “mostra un chiaro andamento verso il collasso, mentre l’altro suggerisce la possibilità che il declino futuro possa rivelarsi tutto sommato ‘leggero’. Un atterraggio morbido per intenderci, almeno per l’umanità presa in generale.” 

Entrambi gli scenari, ad ogni modo, indicano che il futuro rimane almeno in parte aperto alle novità.

Una finestra di opportunità

Benché sia del tutto futile sforzarsi di conseguire una crescita economica costante, la ricerca ha tuttavia constatato che il progresso tecnologico e maggiori investimenti nei servizi pubblici non solo eviterebbero il rischio del collasso, ma porterebbero a una civiltà più stabile e prospera, in grado di funzionare nei limiti imposti dal pianeta. Però, per riuscirci e per cambiare, abbiamo davvero a disposizione soltanto il prossimo decennio.

“In questo momento, i dati ci portano in gran parte verso gli scenari più funesti, verso il rallentamento e l’interruzione della crescita economica, ma lasciano anche sospesa la possibilità che al declino segua necessariamente il collasso,” conclude lo studio. Nonostante lo scenario del mondo stabilizzato “sia quello meno probabile, un deliberato cambio di traiettoria della società, verso un obiettivo diverso da quello della crescita, è ancora possibile. Tuttavia, questo spiraglio di possibilità si sta chiudendo piuttosto velocemente.”

In una presentazione del 2020 fatta presso il World Economic Forum in qualità di direttrice a KPMG, Herrington ha spinto per una “decrescita”—un approccio agnostico alla crescita che si focalizzi su altri obiettivi e priorità economiche.

“Il cambiamento delle nostre priorità sociali non deve per forza di cose tradursi nella resa a necessità cupe e bisogni tristi,” afferma. “L’attività umana può essere ‘rigenerativa’ e le nostre capacità produttive possono essere trasformate. In effetti, in questo preciso momento esistono già esempi simili. Bisogna aumentare questi sforzi per creare un mondo pieno di opportunità che al tempo stesso sia anche sostenibile.”

Herrington ha poi sottolineato quanto il rapido sviluppo e la distribuzione dei vaccini per il COVID-19, sostenuti a ritmi senza precedenti, dimostrino che siamo capaci di rispondere in maniera veloce e costruttiva alle sfide globali—se scegliamo effettivamente di agire e reagire. Abbiamo esattamente bisogno di un approccio simile, così determinato, per mettere fine alla crisi ambientale e climatica.

“I cambiamenti necessari non saranno facili e la transizione costituisce comunque una sfida, ma un futuro inclusivo e sostenibile è ancora possibile,” conferma Herrington.

I migliori dati a nostra disposizione suggeriscono che quel che decideremo nei prossimi dieci anni determinerà il fato della civiltà umana. Sebbene le probabilità siano ormai sul filo del rasoio, Herrington ha indicato il “rapido aumento” delle priorità politiche e amministrative in funzione dell’ambiente e del sociale come la base per un po’ d’ottimismo, e il segnale di un cambiamento in corso presso molti governi e aziende. Forse, il risvolto più importante dello studio è che non è troppo tardi per creare una società davvero sostenibile e che vada bene per tutti.