Con il termine blockchain si intende la tecnologia alla base del Bitcoin, la cripto-valuta digitale nata nel 2009 che ha segnato un momento di svolta nelle transazioni online, consentendo per la prima volta lo scambio di denaro senza intermediazioni bancarie.
La tecnologia blockchain non è altro che una catena di operazioni decentralizzate su base peer-to-peer, che prescinde dall’intermediazione di un ente centrale “certificatore” per l’affidabilità delle transazioni; questo perché ogni nuova operazione viene convalidata dagli appartenenti alla rete e inserita in un blocco che si aggiunge alla catena. Ogni blocco include una marcatura temporale e l’impronta hash del blocco precedente.
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La sicurezza del sistema —che parrebbe sinora confermata dall’esperienza stessa del Bitcoin — risiede nel fatto che la catena sia di fatto disponibile a tutti gli appartenenti alla rete (seppur le informazioni siano registrate in modalità criptata per garantire la riservatezza dei dati) e costituisca un tutt’uno non modificabile né cancellabile in nessuno degli elementi che la compongono.
L’Unione Europea ha recentemente concluso al riguardo uno studio condensato nel report “How blockchain technology could change our lives,” pubblicato a febbraio 2017, che analizza i potenziali ambiti di applicazione della tecnologia blockchain per valutare le strategie di politica legislativa da attuare a livello UE.
La tecnologia blockchain potrebbe conferire un elemento ulteriore di certezza della legittimità della rivendita a beneficio del mercato
Non è ovviamente la prima volta che la criptovaluta e la tecnologia che la alimenta diventano argomento di interesse politico: da quando — a circa un anno dalla loro nascita — i Bitcoin si sono dimostrati molto più di un divertissement da smanettoni, i governi hanno cercato di capire quale fosse la strategia migliore per gestire la rivoluzione delle criptovalute, tra ipotesi di piani di investimento, di sola tassazione e di regolamentazione e democratizzazione dell’accesso alla tecnologia.
Tra le possibili applicazioni della blockchain identificate nel report di febbraio, è stata discussa la tracciabilità della filiera produttiva (come, per esempio, quella dei diamanti, o dei prodotti agroalimentari), il cui scopo sarebbe di assicurare la provenienza dei beni e la coerenza con la certificazione o indicazione d’origine.
Uno dei settori in cui questa esigenza è più sentita è quello del commercio dei prodotti digitali (mp3, video, e-book, ecc.): con la tecnologia blockchain è possibile registrare tutte le attività connesse alla circolazione e gestione di ciascun prodotto digitale. In questo modo diventa facile verificare la legittimità della copia dei prodotti acquistati, a beneficio degli acquirenti e dei titolari dei diritti.
Questa possibilità potrebbe spianare ulteriormente la strada alla vendita dei prodotti digitali sul mercato dell’usato, che ha visto un’apertura a partire dalla sentenza Used Soft del 2012 della Corte di Giustizia UE, che ha stabilito la libera rivendita dei software usati non solo se salvati su supporti tipo CD o DVD, ma anche se oggetto di download con licenza d’uso illimitata.
In questo senso dunque la tecnologia blockchain potrebbe conferire un elemento ulteriore di certezza della legittimità della rivendita a beneficio del mercato.
Un’ulteriore applicazione prospettata è quella di collegare la blockchain a clausole di un contratto (c.d. smart contracts) in modo che mediante codici “attivi” le prestazioni pattuite (come, ad esempio, il pagamento di una somma) possano essere eseguite automaticamente al verificarsi delle condizioni predeterminate.
Le possibili implicazioni di questa tecnologia sollevano alcuni temi sul piano legale che potrebbero richiedere una nuova regolamentazione.
Da un lato vi è l’esigenza di una tutela della privacy rispetto ai dati inseriti nella blockchain: nonostante la criptatura, infatti, sembrerebbe che allo stato attuale la tecnologia non consenta ancora un totale anonimato, essendo possibile risalire ai dati, seppur mediante procedure complesse.
Inoltre, la mancanza di controllo a livello “centrale” richiede la previsione di adeguati meccanismi di garanzia e controllo della rete per prevenire fenomeni illeciti. Ancora, la previsione di sistemi di tracciamento e negoziazione decentralizzati a livello globale pone l’esigenza di una regolamentazione armonizzata dei meccanismi di protezione dei consumatori, delle licenze multi-territoriali, dell’armonizzazione delle normative sui contratti e della gestione delle controversie.
Lo studio del fenomeno è ancora all’inizio, e potrà certamente costituire la base per successive evoluzioni, anche di carattere legislativo.
Lo studio legale Orsingher Ortu — Avvocati Associati avrà una colonna mensile su Motherboard Italia per parlare del mondo della internet governance nell’Unione Europea.