Perché la Tampon Tax in Italia riguarda anche te

Aggiornamento di agosto 2018: è notizia di questi giorni l’introduzione, in Scozia, di un provvedimento che permetterà a tutte le studentesse di scuole e università di avere accesso gratuito ad assorbenti e altri prodotti sanitari per le mestruazioni. Secondo un recente sondaggio, una donna scozzese su cinque avrebbe o avrebbe avuto difficoltà a permettersi tali prodotti. Per l’occasione, riproponiamo un nostro articolo del 2016 sulla questione assorbenti in Italia.

Ogni volta che al supermercato arrivo allo scaffale dei prodotti per l’igiene e la cura del corpo sussulto per i prezzi insensati di gran parte dei flaconi e delle confezioni che mi ritrovo sotto il naso. Molti di questi infatti in Italia—ma anche altrove—non sono considerati beni di prima necessità, e per questo non rientrano nella categoria delle agevolazioni sull’aliquota IVA.

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Il 12 gennaio 2016, i deputati di Possibile Beatrice Brignone, Giuseppe Civati, Andrea Maestri e Luca Pastorino hanno depositato una proposta di Legge in merito. L’obiettivo della Tampon Tax, spiegava il comunicato sul sito, era di abbassare l’IVA “sui prodotti di prima necessità destinati alle donne, in particolare assorbenti igienici, tamponi, coppe e spugne mestruali” dal 22 percento al 4 percento—ovvero, la tassazione ridotta applicata ai “beni essenziali”. Beatrice Brignone aveva poi annunciato che Possibile fosse al lavoro su richieste per la riduzione dell’IVA su altri prodotti, compresi i pannolini per bambini e il latte in polvere.

Quando è stata presentata, la Tampon Tax ha suscitato reazioni di ogni tipo, da editoriali che ricordano quanto le mestruazioni siano “una cosa seria” (perché a quanto pare bisogna ricordarlo) a commenti sarcastici o pseudoscettici, culminati nell’intervento di Luciana Littizzetto a Che tempo che fa.

Commentando la proposta di Possibile, Littizzetto si è infatti chiesta perché si facesse tanto rumore per gli assorbenti invece di pensare all’equiparazione degli stipendi delle donne a quelli degli uomini, oppure alle discriminazioni sul posto di lavoro nei confronti delle donne incinte. “Il 22 percento di IVA,” ha concluso, “non lo pagano soltanto i Tampax e gli assorbenti, ma anche un sacco di altre cose […]. Perché proprio gli assorbenti? Forse perché l’assorbente è proprio uno degli oggetti più democratici, che rappresentano varie possibilità di democrazia perché ce ne sono milioni di tipi.”

Ecco, forse il punto che hanno perso di vista tutti quelli che hanno sminuito o ridicolizzato la proposta è proprio questo: la domanda da porsi non è tanto “perché proprio loro,” ma “perché non iniziare da loro?” Come vedremo più avanti, non potrebbe infatti esserci momento più giusto.

Nel frattempo, per provare a rispondere alla domanda di Littizzetto e capire perché la Tampon Tax riguarda tutti, può essere utile elencare quali oggetti rientrano in quali aliquote. All’aliquota al 4 percento in Italia corrispondono beni considerati essenziali come generi alimentari di prima necessità (tra i quali pane, farina, pasta, latte fresco, riso), giornali, periodici, libri, apparecchi ortopedici, protesi dentarie, occhiali da vista. Vengono tassati al 10 percento, tra gli altri, carni, yogurt, conserve vegetali, medicinali umani e veterinari, ristoranti, bar e alberghi, gas ed energia elettrica non per usi industriali. Tra i beni e servizi su cui si applica l’IVA al 22 percento, invece, ci sono mobili, trattamenti di bellezza, apparecchi informatici, abbigliamento, acqua minerale in bottiglia, elettrodomestici. In questa categoria rientrerebbero anche i prodotti per l’igiene personale e della casa come la carta igienica e i pannolini per bambini—oltre ai sopracitati assorbenti.

Ora: si può scegliere se andare dall’estetista o se comprare un tablet. Sono scelte spesso necessarie, ma non obbligate. La loro assenza non comporta un pericolo per la salute né implica pesanti limitazioni nello svolgimento delle più banali attività quotidiane. Non si può scegliere invece—salvo rare eccezioni—di non utilizzare prodotti per la cura della persona essenziali (quali la carta igienica ad esempio).

Altri prodotti di cui non si può fare a meno e di cui le donne non possono fare a meno sono gli assorbenti. Comprare assorbenti non è una scelta, così come non lo è avere le mestruazioni da due a dieci giorni al mese, per un periodo che può durare anche più di 40 anni. Si possono scegliere la marca, la dimensione, il modello, se comprarli in cotone o se optare per una mooncup. La rinuncia all’utilizzo degli assorbenti potrebbe avere gravi conseguenze sulla salute delle donne—conseguenze igieniche e anche sociali—visto che comporterebbe l’impossibilità di lavorare, andare a scuola, andare in università, prendere i mezzi. Uscire di casa, insomma.

Purtroppo, come dimostrato dalle reazioni, parlare delle mestruazioni non è facile perché non siamo abituati a “vederle”. In tv, nelle pubblicità degli assorbenti, esistono sotto forma di misterioso liquido blu, e la rappresentazione di ciò che comporta avere il ciclo viene spesso semplificata ricorrendo al tropo della donna isterica perché mestruata, una specie di Chimera cui è impossibile avvicinarsi e che è incapace di compiere le più banali azioni quotidiane senza sputare fuoco contro chi le sta attorno. E in tante famiglie, posti di lavoro, nei supermercati e a scuola, le donne sono abituate e vengono abituate dal silenzio o dalla vergogna che circonda l’argomento a nascondere l’assorbente in tasca o in mezzo ad altri oggetti, ad andare in bagno con tutta la borsa pur di non farsi vedere mentre si tira fuori quel magnifico oggetto assorbente senza il quale non riusciremmo neanche a starci lì, in ufficio, a scuola, al supermercato.

L’Italia non è sola nell’applicazione di queste aliquote sugli assorbenti. Se qualche mese fa qui se ne era iniziato a parlare con la petizione pubblicata su Change.org “Le mestruazioni non si tassano: IVA al minimo sugli assorbenti!”, tra i Paesi che ancora applicano la tassa ci sono Ungheria, Australia, Slovacchia, Francia (dove è scesa di recente dal 20 al 5,5 percento). Il Kenya l’ha abolita nel 2011, il Canada nel 2015.

I recenti cambi di marcia sulla materia in Canada e Francia si devono anche alla crescente copertura mediatica e al lavoro di sensibilizzazione messo in atto da attivisti, artisti, blogger, giornalisti, tra cui Rupi Kaur e il suo progetto fotografico che aveva scatenato un acceso dibattito dopo la rimozione di questa immagine da Instagram. Obama non è stato così svelto (si è accorto della tassa il 15 gennaio 2016) e nel 2014 Cameron aveva ammesso di non essere preparato sulla questione. Due cose accomunano questi due leader: sono uomini e non sapevano nulla sull’argomento fino a che una ragazza non li ha sensibilizzati. Una studentessa nel caso di Cameron, la YouTuber Ingrid Nilsen nel caso di Obama. Il momento, quindi, è propizio anche in Italia, e può essere un importante punto di partenza.

La foto di Rupi Kaur.

Qualche sera fa, appena prima di andare a dormire, mi sono accorta di aver finito gli assorbenti. La mattina seguente mi è arrivato il ciclo e il mio ragazzo è sceso in farmacia a comprarmeli. Sapevo che lì costano un po’ più che al supermercato, ma non avevo scelta. Quando è tornato su mi ha fatto vedere lo scontrino: 4,40 euro per 16 assorbenti.

Anche se quello della farmacia è un caso particolare, il costo di un pacco di assorbenti è generalmente molto alto anche nella grande distribuzione: raramente una confezione costa meno di due euro e se si vogliono quelli di marca è molto probabile che si spenderanno anche tre euro al pacco. Se si opta per quelli di cotone e/o biodegradabili si possono raggiungere e superare i quattro euro.

In media, per ogni ciclo, finisco per usare tra i 20 e i 25 assorbenti circa. Se facciamo una media guardando i prezzi da supermercato e stabiliamo che non metterò mai più piede nella farmacia sotto casa, ipotizzando quindi una spesa di circa cinque euro al mese (tenendo conto dei prezzi attuali), posso stimare che nella mia vita potrei spendere 2.400 euro circa in assorbenti. Fare l’università mi è costato di meno. Nel caso in cui si applicasse l’IVA al 4 percento, la spesa totale ammonterebbe a circa 2045 euro, con un risparmio di 355 euro. Un risparmio ottenuto da una legge e non dall’utilizzo di sottomarche talvolta scadenti, quelle che hanno fatto finire me e tante altre persone dal ginecologo con una “candida da pannolino” che mi è costata 70 euro di visita e 20 di crema.

Gli assorbenti permettono alle donne di vivere una vita normale. Prodotti come la carta igienica, i preservativi (a cui è dedicata un’altra petizione su Change.org per l’abbassamento dell’IVA) e i pannolini per i bambini fanno andare avanti la civiltà. Forse è il momento di ripensare cosa intendiamo per “beni di prima necessità”.

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