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Questo enorme telescopio sta per “vedere” un buco nero per la prima volta

Eravamo appollaiati vertiginosamente in alto sulle Ande cilene, circondati da un’orda di sessantasei giganti bianchi. Attraverso le ampie finestre del basso e banale edificio in cui ci trovavamo, potevamo vedere le bianche antenne radio lì fuori, stagliate contro il terreno rosso-Marte della desolata Chajnantor Plateau, con le loro parabole tese verso il cielo terso.

Ci troviamo all’Atacama Large Millimeter Array, anche conosciuto come ALMA—uno degli ensemble di radiotelescopi più grande del mondo, una partnership internazionale che si espande per quattro continenti. Nella primavera del 2017 ALMA, insieme ad altri otto telescopi in giro per il mondo, verrà puntato verso il centro della Via Lattea, a circa 25.000 anni luce dalla Terra, nel tentativo di immortalare la prima immagine in assoluto di un buco nero. Tutto ciò è parte di un audace progetto astronomico chiamato Event Horizon Telescope (EHT).

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Immagine aerea del sito Array Operations. Immagine: W. Garnier/ALMA (ESO/NAOJ/NRAO)

Il mio compagno Dave Robertson ed io abbiamo fatto a turno nello sniffare da una tanica di ossigeno per prevenire il mal di montagna di cui si può soffrire a più di 5.000 metri di quota. La nostra guida Danilo Vidal, un energico cileno con una coda di cavallo di lunghi capelli neri, ha puntato verso una grigia porta di metallo con una finestra di vetro: “Se apriamo quella porta,” ci ha detto, “ogni scienziato ci odierà per il resto della nostra vita.” Confuso da questa affermazione criptica, ho preso un altro tiro di ossigeno e ho sbirciato attraverso il vetro, nel cuore dell’esperimento.

In mezzo a una piccola foresta di processori, potevo vedere una scatola bianco sporco che ricordava il mini-frigorifero di una stanza di dormitorio. All’interno si trovava un maser nuovo di zecca, un orologio atomico di massima precisione che sincronizza ogni antenna in loco, e poi sincronizza lo stesso ALMA al network globale di Event Horizon Telescope, fornendo così tanta potenza alle antenne da raddoppiare la risoluzione di tutta la rete.

Christophe Jacques della NRAO ispeziona il circuito elettrico del nuovo orologio atomico maser all’idrogeno di ALMA durante l’installazione. Immagine: Carlos Padilla/NRAO/AUI/NSF

Per evitare che la strumentazione si surriscaldi, la stanza è tenuta a temperatura assurdamente bassa—molto vicina allo zero assoluto. Se aprissimo la porta, ci ha spiegato Vidal, i sistemi di emergenza spegnerebbero immediatamente il maser per proteggerlo e il cuore pulsante di ALMA si fermerebbe, rovinando numerosi progetti astronomici, incluso l’EHT.

Claudio Follert, un esperto di fibra ottica dell’ALMA era lì già nel 2014, all’arrivo del maser—mi ha detto che si trattava di una macchina mai vista, recapitata da strani uomini. Gli uomini erano mandati dall’EHT, che ha base al MIT. L’EHT è reso possibile dalla strabiliante precisione del maser, circa un miliardo di volte più preciso dell’orologio dei nostri smartphone.

Chajnantor Plateau. Immagine: Carlos Padilla/ALMA (ESO/NAOJ/NRAO)

Progettato da una squadra internazionale guidata dallo scienziato del MIT Shep Doeleman, l’EHT è primo del suo genere: un network telescopico globale che usa una tecnica chiamata interferometria per sintetizzare dati astronomici da varie sorgenti, ognuna con il suo maser—inclusi ALMA in Cile, il Large Millimeter Telescope in cima al vulcano Sierra Negra in Messico e il National Radio Astronomy Observatory in Virginia.

Insieme, questi telescopi creano un supertelescopio che è—abbastanza letteralmente—delle dimensioni della Terra, con una risoluzione tale da riuscire a fotografare un’arancia sulla luna.

Con la recente aggiunta di ALMA a questo squadrone di radiotelescopi in stile Avengers, la rete è diventata dieci volte più sensibile. Di conseguenza, il gruppo di Doeleman ritiene che abbia la potenza di penetrare i gas interstellari che copre i loro obiettivi: i buchi neri supermassivi. Attirati in orbita dalla gravità dei buchi neri, questi gas formano delle gigantesche nubi che non lasciano intravedere nulla ai telescopi ottici.

I tenui segnali radio emessi dai buchi neri, invece, scivolano attraverso le nubi di gas e vengono percepiti anche sulla Terra.

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I buchi neri sono le leggende metropolitane dello spazio. Poiché la luce non ne può uscire, sono invisibili agli occhi, e non abbiamo alcuna conferma che esistano davvero, solo molte prove indirette, in particolare le oscillazioni gravitazionali nelle orbite delle stelle vicine, il comportamento delle nubi di gas interstellari, e i getti gassosi emessi nello spazio quando una invisibile fonte di estrema gravità sembra ridurre in brandelli la massa cosmica.

I buchi neri sfidano le nostre convinzioni più importanti sul reale. Menti scientifiche visionarie, come quelle dei fisici teorici Stephen Hawking e Kip Thorne, hanno dedicato interi libri al sezionamento di scenari allucinatori ritenuti indotti dalle forze gravitazionali dei buchi neri—immaginate che metà del vostro corpo sia violentemente strattonata dall’altra, allungandovi fisicamente come un personaggio dei Looney Tunes, un quadretto che Black Holes and Time Warps di Thorne descrive in disgustoso dettaglio.

Un’immagine dal centro della Via Lattea dal Chandra X-ray Observatory della NASA. Il buco nero supermassiccio è al centro. Immagine: NASA/CXC/MIT/F. Baganoff et al.

Si ritiene che i buchi neri si annidino al centro delle galassie, incluse la nostra. Provando l’esistenza di Sagittarius A*, il buco nero supermassivo nel cuore della Via Lattea, saremmo più vicini a risolvere un altro mistero: l’origine dell’umanità e di tutta la natura per come la conosciamo.

“Il buco nero al centro della nostra galassia ha tutto a che vedere con la nostra origine,” dice Violette Impellizzeri, un’astronoma dell’ALMA che collabora con Event Horizon Telescope. Si crede che i buchi neri supermassivi controllino le stelle che li circondano, influenzando la loro formazione e la loro orbita. “Capire come la nostra galassia si sia formata ci condurrà direttamente a capire anche la nostra stessa origine,” ha detto.

Scopri di più: Una nuova tecnica di ricerca potrebbe potenzialmente incrementale le scoperte di buchi neri

Gli scienziati hanno stimato che la massa di Sagittarius A* sia circa quattro volte quella del nostro sole, eppure il suo diametro è simile alla distanza tra il nostro sole e Mercurio—non molto, in ambito cosmico. La densità che ne risulta produce una gravità talmente forte da distorcere lo spazio e il tempo intorno ad esso, rendendolo invisibile.

La teoria attuale, condivisa da Thorne, è che la distanza dal centro di un buco nero, detto singolarità, al suo esterno, conosciuto come l’orizzonte degli eventi, si deformi al punto di raggiungere quasi infinite lunghezze, e che la luce semplicemente si esaurisca mentre cerca di uscirne.

Ci è voluto Doeleman, il capoprogetto al MIT, per giungere alla conclusione che per vedere l’invisibile sia prima necessario creare un nuovo tipo di vista. Con l’ingresso di ALMA nella gigante rete EHT, possiamo prendere una “fotografia” radio della materia che orbita intorno a Sagittarius A*, chiamata disco di accrescimento, e finalmente vedere l’ombra del buco nero: il suo primo ritratto in assoluto.

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Vidal e Follert, la guida e lo specialista di fibra ottica, ci hanno guidato sull’altopiano. C’era del lavoro da fare: una delle antenne era bloccata da un recettore radio danneggiato.

Era estremamente luminoso e ventoso, per non parlare di quanto fosse secco—Chajnantor è situata nel deserto di Atacama, il posto più secco del mondo, esclusi i poli. Assolutamente inospitale per gli esseri umani, Chajnantor è un posto perfetto per un radio telescopio: l’elevazione lo avvicina alle stelle, e l’estremamente basso vapore acqueo mantiene cristallini i segnali cosmici.

Il responsabile PR di ALMA Danilo Vidal e William Rauscher a Chajnantor, dove è quasi sempre soleggiato, pieno di vento ed é difficile respirare. Immagine: Dave Robertson

Per qualcuno, come la squadra di ALMA, così come per Doeleman, l’ambiente estremo è parte dell’attrazione. “Adoro arrivare ai telescopi,” ci ha detto. A 50 anni, Doeleman ha il volto sbarbato, con occhiali e capelli radi che gli fanno rispecchiare in toto lo stereotipo dello scienziato secchione. La sua personalità aperta e capacità imprenditoriale, invece, appartengono più ad uno spirito da esploratore, più a suo agio sul campo che non dietro una scrivania.

Doeleman si reca regolarmente presso ogni sito EHT in giro per il mondo, molti dei quali si trovano in ambienti estremi come le Ande o il Sierra Negra. “Il lato avventuroso è ciò che mi motiva: viaggiare su strade sterrate e sui fianchi delle montagne per installare nuovi strumenti o fare osservazioni che non sono mai state fatte prima. È un po’ alla Jacques Cousteau, non stiamo seduti in poltrona nei nostri uffici.”

Fuori, sul Chajnantor, mi sento girare la testa. Ho provato a mantenere la mia respirazione costante: un basso livello di ossigeno può velocemente compromettere le facoltà mentali. Sull’altopiano, Dave ed io eravamo sovrastati dalle antenne dell’Alma, che bloccavano il sole del deserto. Ci sembravano potenti e misteriose, come statue dell’isola di Pasqua. Persino mettendoci direttamente al di sotto di questi colossi non era ben chiaro come funzionassero, le parabole bianche sembravano girare e ruotare senza preavviso.

Usando una tecnica chiamata interferometria, le antenne di ALMA possono essere configurate in modo tale da comportarsi come se fossero un’antenna unica, e lo stesso ALMA può essere sincronizzato con altri telescopi in tutto il mondo. Immagine: Dave Robertson

Quando uno dei suoi recettori radio è fuori segnale, un’antenna dell’ALMA è inutile. Abbiamo seguito Follert su per varie scale d’acciaio, con gli stivali che tintinnavano sul metallo, fino a quando non ci siamo trovati in uno stanzino della manutenzione dal soffitto basso all’interno di una delle antenne. Lo abbiamo aiutato a rimuovere il recettore danneggiato, un lungo cilindro di metallo che sembrava un bazooka futuristico.

Vidal ci ha poi accompagnato in macchina di nuovo verso valle, verso l’Operations Support Facility (OSF), il quartiere generale di ALMA, così che potessimo vedere i laboratori che si occupano della manutenzione dei recettori.

A causa di rigide leggi internazionali, Vidal era obbligato a respirare attraverso un tubo d’ossigeno mentre guidava, per evitare che l’alta quota gli facesse perdere conoscenza mentre al volante.

Mentre scendevamo a valle, Vidal si è messo in contatto radio più volte, a intervalli regolari, per identificare la nostra posizione. Tutt’intorno a noi, i versanti della montagna erano rossi, rocciosi e brulli. Non c’è da domandarsi perché la NASA organizzi regolarmente spedizioni in questo deserto per replicare le condizioni di Marte.

Sull’altopiano a 5.000 m, approssimativamente l’elevazione del campo base dell’Everest, lo scrittore William Rauscher inala ossigeno per prevenire il mal di montagna. Immagine: Dave Robertson

Situata a 2.700 m, l’OFS è la casa dello staff di ALMA: un totale di 600 scienziati che lavorano a turno sono di base qui, inclusi ingegneri e tecnici, da oltre 20 paesi. Le condizioni di lavoro possono essere estreme. Lo staff si impegna in turni di una settimana, lontani da famiglia e amici, consapevole dei rischi per la salute a breve e lungo termine causati dall’alta quota, inclusi l’infarto o l’edema polmonare, dove fluidi riempiono i tuoi polmoni fino a farti soffocare.

Ciò detto, non è sorprendente scoprire che l’intero staff è monitorato regolarmente da personale medico, e che l’ossigeno di emergenza e una camera iperbarica sono sempre a disposizione.

Si sfogano con l’esercizio fisico e guardando film, anche se alcune pellicole sci-fi non sono viste di buon occhio. “Abbiamo bisogno di una pausa dallo spazio ogni tanto,” ci ha detto Follert. Il consumo di alcol è severamente proibito—anche un solo goccio rischia di amplificare gli effetti dell’alta quota.

Immagine aerea dell’Operations Support Facility dell’ALMA. Immagine: Carlos Padilla/NRAO/AUI/NSF

Il continuo lavoro di gruppo all’ALMA è assolutamente essenziale per la vita dell’osservatorio. Rilevare segnali radio cosmici, inclusi quelli mandati da un buco nero, richiede costante cooperazione tra le squadre, che devono ossessivamente calibrare, fare la manutenzione e riparare i loro strumenti per respingere rumori non desiderati.

ALMA e gli altri telescopi facenti parte dell’EHT presto si focalizzeranno sul centro della Via Lattea per sintonizzarsi sulla debole frequenza radio nel buco nero. I dati collezionati da alma saranno talmente tanti da non poter essere trasferiti online. Invece, hard drive materiali saranno spediti via “sneakernet”: caricati nella stiva di un 747 e mandati direttamente al MIT.

Quando i dati di ALMA saranno collegati agli altri telescopi, Sagitarrius A* dovrebbe apparire in contrasto con i gas brillanti del disco di accrescimento. Forse.

In realtà, ha detto Doeleman, “non sappiamo che cosa vedremo. La natura può essere crudele. Potremmo vedere qualcosa di noioso. Ma non siamo troppo legati ad un risultato in particolare: vedremo la natura per quel che è.”