Tecnología

Il senso delle cose

Questo racconto fa parte di Terraform, la nostra rubrica bisettimanale di narrativa sci-fi. Racconti sul futuro dell’uomo, della Terra e dell’universo— ra nuovi approcci alla realtà e evoluzioni distopiche del nostro presente. Ogni due giovedì una nuova puntata: se hai un’idea da proporre o un racconto da pubblicare, scrivici a itmotherboard@vice.com.

Su un muro della stazione di Nuova Arcadia qualcuno ha scritto:

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Ricordami di come

ci siamo ridotti

in questo modo.

*

Cammino a passo svelto tra i corridoi del polo centrale dell’Accademia dirigendomi verso l’Aula Magna, dove tra pochi minuti si terrà l’evento che, a detta della stampa e del Dipartimento dell’Energia, sarà una pietra miliare nella storia della scienza e della tecnologia ventura. Più volte sembro destare una certa sorpresa negli occhi degli studenti, riuniti in gruppi di due o più, a quanto pare meravigliati dalla mia presenza, forse per l’abbigliamento trasandato poco consono per un ambiente altolocato come questo, forse per la striscia d’acqua che il mio giubbotto lascia sul pavimento grondando di pioggia appena accumulata all’esterno lungo il tragitto per venire a piedi sin qui.

Sono passati decenni dall’ultimo giorno di sole, e da qui a pochi mesi l’ultimo albero di tutta la zona occidentale del continente ci avrebbe abbandonato per sempre.

Non che questo sia un problema per i dirigenti del Dipartimento dell’Energia, per i quali questo non è che un passo del piano che già da tempo avevano architettato, quasi da quando l’Agenzia di Sicurezza Ambientale aveva messo in allerta l’intero apparato mediatico riguardo il vicino esaurimento delle fonti organiche di tutta la zona Nord. Da lì a poco il Dipartimento aveva già messo a punto le prime tecnologie di estrazione di energia elettromagnetica dai legami intermolecolari, praticamente la possibilità di ricavare energia da qualunque cosa.

Svolto l’angolo per prendere le scale, sulle quali due studenti si stanno scattando una foto ricordo davanti al manifesto dell’evento.

Prima di annunciare ufficialmente le conclusioni della ricerca sull’estrazione di energia di legame, sei mesi fa il Dipartimento comunicò di aver riprogrammato la tecnologia per utilizzarla esclusivamente sui metalli. Inventarono qualche scusa, ma come anche alcuni scienziati non allineati al Dipartimento hanno dichiarato, quella di utilizzare come materie prime esclusivamente i metalli fu una scelta di comodo per ovviare a problemi di mancata carenza che si sarebbero presentati nel caso in cui si fosse potuto estrarre energia da qualunque materiale. Carenza senza la quale non si avrebbe di che produrre profitto. Le maggiori risorse metallifere, così come la proprietà delle restanti zone boschive del continente, sono tuttora in mano alla Massatech Corporation, il grande burattinaio dietro ogni apparente decisione del Dipartimento.

Anche l’ordine in cui le recenti comunicazioni sono state rilasciate è stato minuziosamente deciso a tavolino: a inizio dell’anno scorso è iniziata la fase di terrorismo psicologico sulla ventura apocalisse per scarsità energetica, poi nelle ultime settimane l’annuncio del grande evento che ci avrebbe mostrato la via della salvezza. Prima la diffusione della malattia, ora la medicina. Al momento più opportuno.

Sulle scale, dal piano superiore, già si sentono voci e si intravedono flash di macchine fotografiche. Faccio appena in tempo a salire la seconda rampa che mi trovo la strada sbarrata da una folla di giornalisti, ricercatori, studenti e curiosi dell’ultima ora intenti ad assistere alla presentazione del Dr. Xi-Hua, capo della sezione Ricerca e Sviluppo del Dipartimento dell’Energia, nonché amministratore delegato e maggiore azionario della Massatech Corporation.

Nell’intento di raggiungere un addetto stampa con il microfono, una coppia di giornalisti si getta sulla folla con decisione, urtandomi quasi da farmi cadere dalle scale.

“E’ sicuro che questa tecnologia ci salverà dall’estinzione?”

“Quanto tempo manca ancora perché sia pronta all’uso?”

“E’ vero come dicono alcuni che gli impianti non potranno fornire energia per tutto il pianeta? Chi resterà senza? Garantite almeno rifornimento per il continente occidentale?”

“Dov’è il Dottor Xi-Hua? Fateci parlare con lui!”

Approfittando della calca, mi faccio strada per cercare di avvicinarmi alla porta dell’Aula Magna, al cui ingresso campeggiano manifesti dell’Accademia, del Dipartimento e della Massatech. Sotto ai loghi, un motto a caratteri cubitali: “L’eccellenza al servizio di tutti”.

La sala è gremita di gente, qualche studente si è appostato sul balcone superiore solitamente riservato al personale, pur di assistere alla presentazione.

Dinnanzi alla cattedra, vittorioso come un atleta appena insignito del titolo olimpico, Marcellus Friedrich Wolfram, fondatore e direttore generale della Massatech Corporation, non fa che stringere la mano ai fan e ricevere congratulazioni da decine di uomini in giacca e cravatta.

Una massa di condannati a morte che plaudono al loro boia.

Come? Come siamo finiti a perdere tutto?

Già sono pronto a sentire le solite parole d’ordine, le classiche retoriche che da anni ci atrofizzano la mente, ci riducono a macchine prive di immaginazione, ci schiavizzano lasciandoci il sorriso stampato sulla faccia.

Un professore dell’Accademia, in classico abito cerimoniale, prende il microfono e lo accende. L’attenzione di tutta la sala si sposta su di lui.

“Vi preghiamo di prendere posto: il Dottor Xi-Hua inizierà a breve la sua presentazione.”

Il clima è febbricitante, uno studente a fianco a me sta chiamando a casa, parla con il fratello che a quanto pare non è potuto venire, dall’euforia sembra di assistere ad un lancio spaziale. Sono ancora perso nei pensieri fissando il vuoto, quando un esplosione di grida di acclamazione mi riporta alla realtà. E’ arrivato, il dottore è entrato in aula. L’entusiasmo della folla è incontenibile, lo scoppio di applausi sovrasta ogni cosa.

“Signore e signori, vi ringrazio per la vostra presenza. Mai ci saremmo aspettati una tale partecipazione.” Gli applausi riprendono. “Grazie, grazie a tutti di essere qui. Come ben sapete, in qualità di capo tecnico della sezione Ricerca e Sviluppo del Dipartimento dell’Energia sono qui per mostrarvi i risultati dei recenti studi che per anni ci hanno tenuto impegnati, grazie ai quali possiamo finalmente dichiarare di aver scongiurato qualunque catastrofe annunciata riguardo la mancanza di fonti di energia. Mi preme ricordare, inoltre, che la tecnologia di cui oggi disponiamo, e che segnerà una svolta nella storia dell’umanità, non sarebbe stata possibile senza il contributo fondamentale dei laboratori e dei gruppi di ricerca della Massatech Corporation, che ha cooperato con il Dipartimento per la salvaguardia di tutta la Nazione!”

Wolfram si alza in piedi dalla sedia, si rivolge al pubblico come un Messia mandato da Dio, e l’ovazione del pubblico non è da meno.

“Ora, se me lo consentite, passerei alla dimostrazione vera e propria. Michael, prego.”

Una coppia di ricercatori fa avanzare un tavolo mobile, sul quale è appoggiato un dispositivo, poco più grande di un transitore quantico, coperto da un telo bianco. Dopo un’altra trafila di sermoni su quanto questo sia un giorno importante per tutta l’umanità – che le mie orecchie hanno rifiutato anche solo di ascoltare – finalmente il dottore rivela il misterioso congegno.

“…sono orgoglioso di presentarvi un modello ridotto di estrattore enzimico, un dispositivo realizzato studiando le tecniche di metabolismo cellulare che permette di ricavare energia dai semplici legami intermolecolari di un metallo! Vi ricordo che quello che vedete non è che un modello in scala ridotta di un dispositivo che può essere riprodotto fino alle dimensioni di una centrale elettrica!”

La sala è invasa da una marea di flash. Sul tavolo poggia un complesso strumento simile ad un distillatore, solo con più cavi e schermi led. Ad un estremità del dispositivo è collegata una lampadina.

“Come promesso, ora vi mostrerò come grazie al nostro estrattore sia possibile ricavare energia per questa lampadina a partire da un semplice frammento non lavorato di metallo, in questo caso del normalissimo ferro.”

Il dottore estrae da una sacca un pezzo di ferro, dalla forma simile ad un cubo poco lavorato, delle dimensioni tali da stargli sul palmo di una mano.

“Signore e signori, che l’esperimento abbia inizio!”

Dopo qualche secondo di attesa, forse per creare ulteriore suspense, quasi fosse uno spettacolo di prestigio, il dr. Li-Xua si decide ad aprire un piccolo sportello nella parte opposta alla lampadina, un vano trasparente dal quale è possibile osservare il cubo di ferro una volta posizionato. Dopodichè chiude il vano in modo ermetico, e aziona una leva.

L’attenzione è alle stelle.

Il dispositivo inizia ad emettere un rumore acuto, sempre più forte, tanto che per un attimo qualcuno in sala si tappa le orecchie, poi si fa più lieve, mentre una luce bianco-bluastra avvolge in modo quasi sovrannaturale il cubo di ferro. Dopo un istante, il cubo inizia a ruotare vertiginosamente, un lampo di luce invade la sala e un suono simile ad un esplosione conclude l’esperimento, mentre gli occhi di tutta la sala sono puntati sul contenitore trasparente, tra l’incredulità generale. Il cubo è sparito, il contenitore apparentemente vuoto, la lampadina è accesa.

Il dottore non fa in tempo ad aprire bocca che la folla è in piedi. Grida di stupore, tempesta di flash, applausi. Il Messia ha compiuto il miracolo. Il dottore fa ripetutamente inchini rivolgendosi a varie parti della sala, Wolfram è in estasi, pregustandosi il bottino che nel prossimo futuro porterà a casa.

“Signore e signori!”

Gli applausi non si arrestano.

“Signore e signori, prego, vi ringrazio. Come avete potuto osservare, i legami chimici di questo piccolo pezzo di ferro sono stati spezzati per estrarne l’energia, energia che è stata immagazzinata in una batteria che ora sta alimentando la lampadina, e ancora la alimenterà all’incirca per una ventina di ore”.

La lampadina era effettivamente ancora accesa. “Siamo ad una svolta epocale, d’ora in poi basteranno metalli di qualunque tipo, per poter soddisfare i nostri bisogni energetici, per il bene nostro e di tutta la Nazione!”

Applausi.

“Se avete qualche domanda da fare, nel rispetto della comunità qui presente, sono disponibile alle vostre richieste.” I giornalisti fino al quinto banco si ammassano l’uno sull’altro per ricevere il microfono. Lo ottiene una giovane ragazza, probabilmente meno di 30 anni, tratti orientali, evidentemente emozionata.

“Dottor Xi-Hua, come giustifica la recente decisione di non usare più la tecnologia di estrazione enzimica su tutti i materiali ma di limitarne l’uso ai metalli?” Nell’aula si sollevano reazioni di stupore, sdegno e approvazione. Il dottore sembra sorridere in gesto di scherno.

“Quello che lei chiama cambio di programma è dovuto alla constatazione di non poter applicare tale tecnologia a tutti i materiali, dai quali si sarebbe estratta una quantità di energia non sufficiente a coprire i costi di estrazione, dunque rendendo l’applicazione svantaggiosa. Altre domande?”

Un uomo sulla cinquantina, dai capelli lunghi e l’aspetto provato, raggiunge il microfono. Questa volta la domanda si fa più diretta. “Come lei sa, voci affermano che il Dipartimento abbia optato per i soli metalli che permettono alla Massatech Corporation di trarre profitto dalle proprie fonti di estrazione, creando così una fittizia scarsità di materie prime, come rispondete davanti a simili…”

La reazione della sala è incontenibile. Prima ancora che l’uomo riesca a finire la domanda il microfono gli viene strappato di mano, un agente della vigilanza lo tira per la manica. “Ah, ah! C’è sempre qualche detrattore che prova a parlarti male alle spalle, qualunque cosa tu faccia, non è così?” Risate.

“Tuttavia mi pare di aver esaustivamente risposto alla domanda pochi minuti fa, dunque passerei ad altre questioni. Ci sono altre domande?” Il giornalista, evidentemente stizzito, prova a rispondere alzando la voce, due agenti si avvicinano a lui e lo trascinano a forza fuori dalla sala, sotto l’indifferenza generale.

Decido che ne ho già viste e sentite abbastanza, mi avvio verso l’uscita, mentre sento in lontananza qualcuno fare domande tecniche sul dispositivo di estrazione. Mentre scendo le scale, praticamente deserte, dalle grandi finestre rivolgo gli occhi verso il cortile interno, sul quale la pioggia si è fatta più fitta, e il buio inizia a calare.

Non che mi aspettassi altro da questa giornata, del mio gruppo io sono l’unico ad aver deciso di passare alla presentazione, tutti gli altri hanno optato per l’indifferenza nei confronti di una giornata che sappiamo già segnerà l’inizio di una nuova fine. Lo scenario non è quello che ci aspettavamo 40, 50 anni fa. No, tutto ci aspettavamo tranne questo.

Operai, impiegati, studenti e disoccupati, non importava neanche più l’estrazione sociale di provenienza. Tutti sembrano adorare un nuovo idolo, al quale abbiamo immolato sull’altare la nostra stessa vita, la vita di noi tutti. E’ come trovarsi un una enorme prigione a cielo aperto, condividendo la cella con carcerati piuttosto entusiasti dell’esecuzione di massa prossima ventura, sotto lo sguardo onnipresente di secondini che non vedono l’ora di avventarsi come sciacalli sulla carcassa di un mondo in putrefazione.

Innovazione, sviluppo, produzione. Di tante chimere ci avevano popolato i sogni, da non farci più sentire il terreno che ci mancava da sotto i piedi.

Ma come può un popolo sperare di salvarsi, quando è arrivato tanto in basso da acclamare un ministro che per ottenere consensi promette nuovi posti di lavoro? E il ministro Schellen i posti di lavoro li aveva trovati, eccome se li aveva trovati! A pochi mesi dalla sua elezione i centri industriali erano quasi triplicati, decuplicati i posti di lavoro, ma a quel punto non c’era più richiesta sufficiente. E allora si iniziarono a creare nuove esigenze, inventare nuovi desideri, formulare nuovi stili di vita consoni alle necessità di una maggiore produzione. Aumentarono le richieste di energia, lo sfruttamento delle risorse di carbone arrivò a livelli vertiginosi, aumentarono i posti di lavoro, i chilometri quadrati di area boschiva rimasta in tutta la zona centrale si contavano sulle dita di una mano, i tumori nelle periferie aumentavano, gli indici di produzione interna erano alle stelle. Vittoria.

C’era ancora un ostacolo alla realizzazione del disegno, e qui avvenne l’impensabile. Forte del consenso di un referendum popolare, il Governo bandì qualunque forma di energia rinnovabile. La minaccia di perdere la produzione e il lavoro spinse anche gli operai delle fonti di estrazione a votare per la messa al bando. Fu la goccia che fece traboccare il vaso.

Le poche ed isolate manifestazioni di dissenso vennero soffocate nel sangue, e senza un appoggio maggioritario non trovarono mai giustizia. Il ministro per la sanità Yokarov, in un intervento televisivo, arrivò a dirsi entusiasta della possibilità che la diffusione delle nuove forme tumorali della costa Est offrivano all’apertura di nuovi centri di analisi e ricerca sanitaria, promettendo che il Ministero avrebbe fatto il possibile per cogliere la palla al balzo e aprire nuovi posti di lavoro. Nessuno ribattè in alcuna maniera, a parte qualche sciagurato attivista che a quest’ora sarà a marcire nella cella di una qualche prigione federale.

Vi è stato un tempo in cui credevamo che l’aumentare della crisi, con il conseguente drastico peggioramento delle condizioni di vita, avrebbe portato ad una singolarità, ma abbiamo dato qualcosa per scontato. Abbiamo sottovalutato la capacità del nostro nemico di raccontare il mondo, di forgiare la realtà, di dare un senso alle cose. E ci siamo fatti fregare, ci siamo fatti portare via ogni cosa.

Ci siamo fidati, ci siamo abbandonati, abbiamo delegato ogni cosa ai nostri pastori. Prima i terreni, poi il nostro ruolo decisionale, e infine il significato. Ecco dove tutto è collassato, ecco il punto di non ritorno.

Mentre esco dalla porta principale dell’Accademia ripenso ai tanti miei compagni, quelli che ci hanno creduto fino alla fine, e che ora hanno pure loro abbandonato ogni speranza. Che ci restava da fare ora? Interrogarsi sugli errori, rimpiangere il passato? L’unico rimpianto è di non aver saputo raccontare meglio ciò che era in corso, aver dato per scontato che le nuvole nere da ovest fossero considerate un cattivo presagio da chi non aveva nulla da guadagnarci, di non aver ricordato a chiunque, a partire dai nostri cari, quale fosse senso di ciò che stava accadendo.

I fumi della centrale tingono la pioggia di nero, la terra odora di inchiostro.

Forse ho perso una lacrima, forse è una goccia di pioggia che mi ha solcato il viso, non ne sono certo. Mi dirigo verso il centro, riempendomi senza necessità il cervello di domande senza risposta, autocommiserandomi per la mia inadeguatezza nei giorni a venire, solo, in mezzo alla strada deserta, sotto gli applausi scroscianti della pioggia sull’asfalto.

Illustrazione di Andrea Cancellieri