Anche se non lo sai, devi molto della tua infanzia a Tony Wolf

Per prima cosa, per favore, non cercate “Tony Wolf” su Google. Lo conoscete tutti, anche se forse il nome non vi fa scattare un’associazione. Molti di voi sono entrati nei suoi libri, spesso anche fisicamente: alcuni dei suoi volumi erano dei cartonati ad altezza bambino, pieni di particolari minuziosissimi di società animali complesse, un po’ alla Beatrix Potter ma più cartooneschi, con colori tenui e un tratto delicato e pieni di particolari… Iniziate a ricordare?

Tony Wolf è scomparso pochi giorni fa, a 88 anni. Nell’inverno scorso, ospite d’onore all’inaugurazione della mostra Ciao—organizzata dall’associazione Tapirulan e che resterà aperta a Genova fino al prossimo giugno—aveva svelato che l’idea di fare quei libri cartonati grandissimi era stata sua: siccome le sue illustrazioni per Dami raffiguravano spesso boschi fittissimi di animali e gnomi, gli piaceva l’idea che i bambini si trovassero immersi del tutto in quella vegetazione, camminando dentro alle pagine in libri alti quanto loro.

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La carriera di Wolf è legata a doppio filo alla casa editrice Dami, al punto che l’illustratore ne è diventato quasi la voce narrante illustrata. Cercando le sue copertine su Internet (non fatelo ancora, però) è quasi matematico provare un tuffo al cuore mentre improvvisamente ti ricordi quel volume che avevi sbavato, strappato e riguardato allo sfinimento a quattro anni. A me è successo con Il mio grande libro: rivedere il Teddy Bear in copertina mi ha fatto ricordare quando ho chiesto a Babbo Natale un orso di pezza che fosse uguale identico a quello disegnato da Wolf (posso solo immaginare la disperazione dei miei genitori).

Anche se da piccola davo per scontato che il disegnatore di quegli animali di pezza e di quelle frequentatissime città nel bosco fosse un distinto signore inglese con delle basette bianche e lupesche, ho scoperto qualche mese fa che Tony Wolf è la buffa traduzione di Antonio Lupatelli. Su YouTube si può trovare una bella intervista, girata proprio dall’associazione Tapirulan: in quei 25 minuti l’illustratore racconta la sua carriera dall’inizio, esordendo con una frase molto semplice che spiega la sua scelta di firmare gran parte dei suoi lavori con uno pseudonimo. “Non ho mai avuto l’ambizione d’imporre il mio nome o la mia persona. Sono sempre stato tranquillo: il disegnatore tranquillo.”

In tutta l’intervista il tema centrale è un amore istintivo e continuo per il disegno. Da quando è bambino e disegna sui margini dei libri di scuola, a quando dovendo decidere cosa fare da grande, mentre tutti gli amici iniziano a studiare per diventare geometri, lui sceglie di disegnare in quanto “consapevole di non saper far altro se non disegnare pupazzetti.” Dopo essere stato bozzettista per un’azienda di etichette tessute, Lupatelli fa i primi lavori di illustrazione grazie ai fratelli Pagotto, gli inventori di Calimero, che gli commissionano la preparazione di alcuni storyboard per pubblicità animate, ai tempi molto di moda; per poi conoscere l’illustratore Rinaldo Dami che lo introduce alla casa editrice Fleetway di Londra. “Per una forma di cortesia gli inglesi mi presentavano come un grande artista… Facevo delle porcheriole!”

Quando brevemente parla dei fratelli Fabbri, altra casa editrice, Lupatelli ricorda la loro invenzione delle cosiddette “filmine”, piccoli video composti da immagini ferme a tema fiabesco che ebbero una grande fortuna nella fascia delle scuole elementari. “Nel campo dell’editoria italiana, che era fatto di bugigattoli, di gente pulurilaureata che però non si dava molto da fare, questi tre milanesi attivissimi avevano pestato i piedi a un po’ di gente, […] erano un po’ i banditi dell’editoria. Però, accidenti, han fatto delle cose interessanti e notevoli.”

Se come vi ho chiesto non avete cercato su Google Tony Wolf o Antonio Lupatelli, potrete forse vivere la mia stessa grande sorpresa nello scoprire che il disegnatore scomparso la settimana scorsa non aveva un solo alter ego, ma che impersonava anche Oda Taro.

Pandi. Immagine per gentile concessione di Ciao – Mostra Internazionale di Illustratori Contemporanei.

Oda Taro è stato l’illustratore che mi ha insegnato a leggere l’orologio, in Pandi a scuola; e quello che mi ha insegnato i nomi dei colori, con Pandi e i colori, e che ha messo molti mattoncini nella mia mente di bambina tramite un panda stilizzato che veniva ritratto senza bocca, aveva gli occhi all’ingiù e un’espressione sempre un po’ malinconica. Immaginavo Oda Taro come Pandi in uno dei suoi libri: rotondetto, con un cappellino da eschimese e gli occhi a mandorla. Ero sicura che vivesse in un paese freddo e che avesse i capelli bianchi—come il padre del panda, come se al posto di disegnarlo lo generasse ogni volta. E invece Oda Taro era Tony Wolf, che a sua volta era Antonio Lupatelli.

Quando l’ho scoperto sono rimasta sconvolta: lo stile dei due illustratori mi sembra su due piani lontanissimi. Taro, dal nome giustamente un po’ nipponico, era essenziale, elegante; usava colori piatti e contorni inchiostrati. Wolf era un illustratore più classico, che costruiva tavole pienissime di animali umanizzati, gnomi, pelouche vivi, personaggi di fiabe, molto popolate e complesse nel soggetto e nella tecnica. Anche Taro ha ridisegnato qualche fiaba: da anima della festa quale ero (e sono), la mia preferita era Il soldatino di piombo, in cui la ballerina aveva gli stessi occhi obliqui di Pandi.

È emozionante guardare Lupatelli che osserva le sue vecchie tavole, e tirando fuori due disegni di Pandi esclama “quelle cose lì di Oda Taro!” come se stesse parlando di un’altra persona, per poi aggiungere che Pandi era una creazione completamente sua, una rappresentazione in forma di panda di un bambino di città che cerca di evadere creandosi un mondo immaginario.

Mentre osserva i lavori di Tony Wolf, dice che non avrebbe più l’energia per immaginare quelle moltitudini, e nemmeno per stare con la schiena curva sul tavolo così a lungo. “L’esecuzione modestamente è magnifica. Magari il soggetto… Be’, per i bambini può essere divertente guardare tutti i particolari.”

A molti illustratori, oggi, viene chiesto di trovare uno stile inconfondibile; quello che fa esclamare “Ecco Tizio!” al primo sguardo su un disegno. Pochi giorni dopo la scomparsa di Lupatelli, credo che una delle sue lezioni più importanti sia quella che invece si possa mettere da parte se stessi per diventare tanti narratori diversi.

Lupatelli è stato almeno tre persone, nella sua vita—in realtà ha usato anche altri pseudonimi, Wolf e Taro sono solo i due più famosi; ha anche illustrato alcuni volumi di Pingu per Dami, oltre che una serie di tarocchi usciti con il suo vero nome per la casa editrice Lo Scarabeo, in cui c’è anche il mazzo di tarocchi più piccolo del mondo—e per molti è un ricordo d’infanzia fondamentale. È bello pensare che si possa arrivare a questo rimanendo tranquilli, facendo a meno del proprio nome.

Caterina è grafica, redattrice e illustratrice. Seguila su Instagram e Cargo.

Per vedere altri lavori di Tony Wolf—ora sì—scorri verso il basso. Tutte le immagini per gentile concessione di Ciao – Mostra Internazionale di Illustratori Contemporanei.

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