Tecnología

I paesi che usano Tor sono i più liberali e i più repressivi

Potreste pensare che gli abitanti dei regimi più oppressivi del mondo non usino Tor per via delle grandi restrizioni sull’uso della tecnologia e delle comunicazioni a cui sono soggetti. Di contro, potreste pensare che gli abitanti dei paesi più liberali del mondo non usino Tor perché non avrebbero nessun buon motivo per farlo. Un nuovo studio, al contrario, mostra come l’uso di Tor sia massimo a entrambi questi estremi dello spettro politico, raggiungendo il picco d’uso proprio nei più paesi più oppressi e in quelli più liberi del mondo.

“Ci sono prove che suggeriscono come in situazioni di estrema repressione Tor si riveli per gli abitanti uno strumento utile a fare tutte quelle cose che altrimenti non potrebbero fare,” ci spiega Eric Jardine, ricercatore presso il Centre for International Governance Innovation (CIGI), una think-tank canadese. Jardine è autore di un nuovo paper, recentemente pubblicato nella rivista New Media & Society.

Videos by VICE

Jardine ha analizzato i dati relativi a 157 paesi, raccolti tra il 2011 e il 2013. Nell’organizzarli, ha tenuto conto della valutazione relativa all’uso di metodi di repressione politica in ogni nazione basata sui dati di Freedom House, un gruppo di ricerca statiunitense, e dei dati ufficiali di traffico del network, pubblicati direttamente sulla pagina del Tor Project.

“Detenendo il controllo su altri fattori, la repressione politica incrementa l’uso della rete Tor”

Jardine ha incluso tanto i dati relativi ai relay di Tor, che sono nodi del network attraverso i quali viene tipicamente direzionato il traffico, sia dei “bridge”, essenzialmente relay non-pubblici pensati per essere usati proprio in quei paesi in cui la censura di stato potrebbe impedire l’accesso ai normali relay. Tra le altre cose ha anche considerato il livello di diffusione di internet in ogni paese, lo stato locale dei diritti sulla proprietà intellettuale, il benessere, i livelli di istruzione superiore e il grado di apertura agli stranieri.

Dai risultati emerge che, detenendo il controllo su altri fattori, la repressione politica incrementa l’uso della rete Tor. I “bridge” presentano la più forte associazione con la repressione politica. “Spostandoci da un paese come il Burkina Faso (con un indice di repressione pari a 8) a un paese come l’Uzbekistan (con indice pari a 14) registriamo un aumento annuo di circa 212.58 bridge per 100.000 utenti internet,” si legge nell’articolo.

Il grafico illustra l’uso di bridge su TOR in relazione al grado di repressine politica. Immagine di Eric Jargine/New Media & Society.

Curiosamente, però, non sono solo i paesi soggetti a regimi particolarmente duri a presentare un alto utilizzo di Tor. Anche i paesi con indici di oppressione molto bassi mostrano un uso significativo del network. Sono piuttosto i paesi nelle fasce centrali, che non sono né regimi strettamente autoritari, né libere democrazie, ad avere il minor numero di abitanti connessi a Tor.

La cosa è contro-intuitiva: le democrazie liberali non dovrebbero sentire uno scarso—se non inesistente—bisogno di Tor?

“Dal momento che Tor ha una potenzialità di utilizzo ampia e varia, si possono registrare comportamenti differenti,” spiega Jardine, lasciando intendere come Tor non serva unicamente a evitare la censura in regimi particolarmente oppressivi, ma anche, per esempio, a proteggere la propria privacy o per questioni criminali. (È bene notare, peraltro, che la ricerca si basa su dati ampiamente precedenti alle rivelazioni di Edward Snowden del giugno 2013).

Perché Tor sia così popolare agli estremi dello spettro politico, invece, è meno chiaro. Jardine ipotizzava che il fatto sia in qualche modo connesso alla necessità politica che certi paesi hanno di uno strumento simile, per esempio per aggirare la censura, ma anche per altri scopi—Negli Stati Uniti, per esempio, si può usare Tor il più delle volte senza conseguenze. A ogni modo, non era tra gli obiettivi dello studio trovare le ragioni profonde di questo trend.

Tor, e con esso gli hidden service connessi, è un argomento piuttosto polarizzante; chi è a favore spesso si rifiuta di riconoscere le potenzialità criminali di questa tecnologia, mentre chi lo osteggia sembra ignorarne sistematicamente qualsiasi beneficio. In un dibattito che spesso viene contaminato da aspetti emotivi e da una copertura mediatica ampiamente disfunzionale, avere qualche dato empirico e serie analisi circa l’uso delle tecnologie per l’anonimato online non può che essere positivo.