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Nove giorni dopo l’ondata di terrore che ha invaso Parigi e l’uccisione di 130 persone negli attentati di venerdì 13, VICE News ha intervistato lo psichiatra francese Christian Navarre per cercare di capire il peso psicologico portato dai sopravvissuti, dalle loro famiglie, dai loro amici, e da tutta la Francia.
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Navarre lavora all’ospedale Rouvray, nella città di Rouen, e ha scritto un libro basato sulla convivenza dei sopravvissuti con il trauma. Navarre ha anche contribuito all’apertura di una delle prime unità di supporto psicologico nel paese dopo gli attacchi.
VICE News: Nei giorni successivi agli attentati di Parigi, alcuni dei testimoni e dei sopravvissuti sono sembrati estremamente calmi mentre parlavano con i media. Alcuni di loro, addirittura, sorridevano. Come lo spieghi?
Christian Navarre: Queste persone stanno sperimentando uno stress molto acuto, conosciuto talvolta come “disordine dissociativo,” che è una specie di sogno lucido. Quando si vive qualcosa di tanto drammatico come un attacco terroristico, lo stato di confusione e shock è tale da attivare un fenomeno neuropsicologico che porta a questo stato, simile a quello di un sogno. È un meccanismo di difesa.
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Da venerdì notte sono state attivate delle unità di supporto psicologico di emergenza. Qual è il loro scopo?
Anche dopo gli attacchi terroristici di Parigi nel 1995, che colpirono treni e metropolitane, furono istituite unità simili per aiutare le vittime. Fino a quel momento, invece, ci si prendeva cura solamente delle ferite fisiche. Storicamente queste unità erano già state inserite nell’esercito, per aiutare i soldati con il rientro alla vita civile. Questi team di supporto fungevano da “tampone” tra l’orrore vissuto dai soldati e il ritorno alla vita normale. Un po’ come succede nell’esercito – gli attentati terroristici sono paragonabili alle esperienze di guerra – queste unità di supporto psicologico aiutano a diminuire il rischio di stress post-traumatico.
Nella notte tra venerdì e sabato, queste cellule di crisi hanno aiutato i sopravvissuti a parlare di quello che avevano appena vissuto. Parlare, talvolta, può aiutare le vittime a uscire dallo stato dissociativo, aiutandoli a realizzare quello che gli è successo. Psichiatri, psicologi e infermieri specializzati possono alleviare la tensione psicologica e le emozioni dei sopravvissuti — talvolta, aiutandoli semplicemente a piangere. La cosa peggiore in una situazione come questa è trovarsi da soli. Le unità lavorano come una sorta di centro di accoglienza: è necessario lasciare che i sopravvissuti sappiano che non sono soli, farli sentire circondati dall’empatia, renderli consapevoli che ci sono dei professionisti disposti a “soffrire con loro.”
Come si rinasce dopo un’esperienza del genere?
I sopravvissuti possono impiegarci anche diversi giorni, settimane o mesi senza elaborare ciò che è appena successo. Una volta che escono da questa fase, entreranno in una fase di rabbia e ribellione — specialmente quelli che dovranno avere a che fare con conseguenze fisiche, perché le armi usate sono state armi da guerra. Dopo una fase di depressione, dovranno accettare la situazione e andare avanti nonostante i contraccolpi ricevuti sia a livello psicologico, sia fisico.
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Parlando invece delle famiglie e degli amici delle vittime — come si relazionano con tragedie di questo tipo?
È una situazione diversa rispetto a quella affrontata dai sopravvissuti. Ovviamente, prevale un senso dominante di ingiustizia, il che è una caratteristica degli attacchi terroristici. Le famiglie e gli amici vengono sorpresi del fatto che sia capitato qualcosa alle persone care, lo vedono come un “massacro di innocenti.” Nel caso di una catastrofe naturale, puoi sempre dare la colpa della tragedia a una coincidenza sfortunata.
Gli avvenimenti di venerdì sono stati estremamente brutali – a differenza della vecchiaia e della malattia, che ti preparano psicologicamente alla morte della persona amata – soprattutto perché molti dei corpi non erano più riconoscibili e perché molte famiglie hanno ricevuto la conferma dell’avvenuta morte soltanto diversi giorni dopo la tragedia.
Per amici e famigliari, le commemorazioni funebri sono davvero importanti, comprese quelle svolte da politici e governanti, oltre che i funerali e le cerimonie religiose. Il minuto di silenzio è una preghiera secolare, in un certo senso, ma per molte famiglie la religione può giocare un ruolo terapeutico nell’elaborazione del lutto.
Poi arriva la fase della resilienza, nella quale è necessario andare avanti. Nel caso degli attacchi di venerdì 13, molte delle vittime erano giovani, e molti genitori hanno perso i loro figli, dovranno portarsi dentro quel peso per tutta la vita. Non si guarisce mai dalla perdita di un figlio.
Dal punto di vista della collettività, la nazione è sul filo del rasoio e abbiamo visto molte scene di panico. Rientra nella normalità?
Stiamo piangendo tutti insieme, come una cosa sola, sperimentando un misto di orrore (dal trauma), paura (che nel lungo termine possiamo controllare), e ansia (per la possibilità di nuovi attacchi).
Parzialmente, è il ruolo dei politici quello di dare certezze e senso di sicurezza ai cittadini, cercare di calmare la paura — che poi è quello che si è tentato di fare con gli annunci pubblici fatti nei giorni successivi agli attacchi. Non sto giudicando nel merito politico, ma psicologicamente questi annunci possono aiutare le persone a sentirsi di nuovo sicure.
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