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Un trader di criptovalute ci ha spiegato i trucchi del mestiere

Qui su Motherboard abbiamo iniziato a parlare di criptovalute nel lontano 2014, quando un singolo Bitcoin valeva circa 500 dollari. Oggi, mentre scrivo, il valore è schizzato a 8.124$. Questo significa che se all’epoca avessimo avuto un minimo di fiuto per gli affari, oggi non saremmo qui a scrivere ma sotto una palma con della sabbia bianca tra le dita dei piedi. Comunque sia, ce ne siamo già fatti una ragione, rassegnati all’asfalto milanese, e la FoMO ce l’abbiamo solo per gli eventi del weekend.

La voglia di capire come funziona questo mercato, se si tratta davvero di una bolla destinata a scoppiare o se c’è ancora motivo di crederci, non ci è passata. Per questo, ne abbiamo parlato in una lunga telefonata con Nicola Santoni — trader di professione, fondatore di Crypto Family Office e aspirante maratoneta appassionatissimo di criptovalute che mentre corre ascolta solo podcast di settore.

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Motherboard: Quando penso che se avessi investito in Bitcoin quattro anni fa oggi sarei ricca, un po’ mi prendo male.
Nicola Santoni: Non ti preoccupare, è sempre così. Se ti può consolare probabilmente li avresti venduti prima che il valore si alzasse.

Tu com’è che sei diventato un trader?
Ho sempre voluto fare il trader, era il mio sogno da piccolo. Ho anche studiato un po’ per quello. Tra il 2008 e il 2013 ho lavorato a Parigi, New York, Hong Kong e poi a Londra, con una banca americana e una francese. Ero uno di quei folli sempre attaccati allo schermo, quando lavoravo non andavo in bagno e non mangiavo per 8 ore al giorno. Poi, nel 2014, sono tornato a NY e lì sono entrato in contatto con le criptovalute.

Era la prima volta in assoluto?
No, la prima volta era il 2011. Un amico mi aveva mandato il link della pagina su Bitcoin su Wikipedia, e credo di aver anche letto il whitepaper ma non avevo capito bene di cosa si trattasse. Mi sono avvicinato davvero ai Bitcoin in un bar di New York tre anni dopo. Ho visto una persona che stava tradando con un tablet e sono andato a chiedergli cosa fosse — ho un’attrazione irresistibile per questo tipo di cose: quando vedo qualcuno che ha un grafico sul cellulare o il computer vado sempre a chiedergli cosa stia facendo.

Da lì hai iniziato a investire in criptovalute?
Sono stato attratto dal mercato delle criptovalute dal punto di vista del trading nel 2017, per due motivi: la volatilità e i volumi — che sono i due ingredienti di cui i trader hanno bisogno per fare soldi.

Com’è la vita del trader? È un’attività H24?
Io la vivo bene. La disciplina, ovviamente, è fondamentale, mi documento un sacco, ma faccio trading molto meno di quello che pensi. L’overtrading è uno degli errori classici del trader amatoriale.

In cosa si distingue un trader professionista da uno amatoriale?
Il trader ideale è molto umile, riconosce che il mercato ha sempre ragione e si protegge con delle stop loss nel caso abbia sbagliato previsione per evitare di perdere troppo. Di norma, fa l’esatto opposto di quello che fa la maggior parte delle persone: vende quando tutti comprano e viceversa.

Di solito aspetta il momento in cui entrare, non si fa prendere dalla FoMO e compra solo quando il prezzo arriva dove lui aveva precedentemente deciso. Ognuno ha un punto di vista personale su come andrà un certo mercato che guida più o meno le sue scelte quotidiane. Potrebbe anche essere sbagliato, ma segue le sue intuizioni e si copre in caso siano provate sbagliate dal mercato.

Investi solamente i soldi che puoi perdere, usa dei soldi che spenderesti male, anche solo un po’ al mese.

E in che modo gestisci il tuo capitale?
Per ovviare al problema di cosa investire e quanto, ho tre fondi: tre tipologie di investimento gestiti in modi diversi, sulla base di profili di rischio e di rendimento. Un fondo investe in una parte delle prime 20 cripto di Coin Market Cap. Di norma investo da un minimo di 4 a un massimo di 12 coin/token con un sistema quasi algoritmico.
Un altro fondo è puramente speculativo, ovvero di trading puro. Investo in 4-5 coin che hanno avuto un ribasso dei prezzi contro il Bitcoin e che stanno dimostrando dei segni di trend reversal. Sono crypto-asset da cui mi aspetto un grosso pump a breve (ovviamente uso gli stop loss per evitare di perdere troppo). Poi ho un terzo fondo in cui investo su realtà nuove, è semi-passivo nel senso che le posizioni non sono attivamente gestite nel quotidiano, ed è un po’ più da venture capitalist.

Come fai a scegliere le realtà in cui investire?
Io ho tre grossi criteri, diciamo delle macro-aree di valutazione che possono essere le peggiori che tu abbia mai sentito, ma sono queste. Innovazione e breakthrough technology, ovvero: quanto ha senso per il protocollo o progetto in questione essere decentralizzato e usare un metodo di consenso fornito dalla BlockChain? Considerando il business model, il token risolve un problema reale? Quante persone sono interessate alla soluzione di questo problema? Poi c’è la qualità del progetto, che divido in tante piccole micro-aree: quanto è affidabile il team? Ha dei precedenti? Qual è la politica della distribuzione del token? Come viene emesso il token e qual è la supply e l’economia del token stesso? La loro politica monetaria ha subito delle modifiche in passato? Come sono le fees e il tipo di mining? Infine, il network effect: analizzo quante transazioni ci sono nel network in un anno, le statistiche, se l’interazione con il protocollo è aumentata, quanto è la componente speculativa rispetto all’utile, eccetera.

Che consigli daresti a qualcuno che si sta avvicinando al mondo del trading di criptovalute? Investi solamente i soldi che puoi perdere, usa dei soldi che spenderesti male, anche solo un po’ al mese. Fatti un bel portafoglio e con pazienza compri token che non tocchi per anni. Ci saranno dei cicli, ci saranno dei crash, delle bolle, ma se prendi decisioni informate, sul lungo termine sarà un potenziale successo.

E a livello un po’ più pratico?
L’investitore intelligente è quello che comprende il momento tecnologico e capisce in chi e in cosa bisogna investire. Secondo me ora è il momento di investire in infrastrutture, o anche in cryptocurrencies vere e proprie. Per dirti, non è troppo tardi per investire in Ethereum o Bitcoin, ma forse è troppo presto per investire su un token tipo Uber o cripto-kitties, di cui non abbiamo immediato bisogno. Se investi in un progetto solido con un team serio che risolve un problema serio, ci sono grosse possibilità di fare ottimi ritorni.

Pensando a questioni un po’ più generali, dal tuo punto di vista la nascita di Bitcoin segna davvero una nuova era economica? O è soltanto un mercato speculativo?
asset-class

E questo cosa significa?
Vuol dire che il potere è nel network, è nella sua decentralizzazione e nel suo modello di consenso e fiducia senza un organo supervisore. Non ci sono banche centrali, i Bitcoin non si trovano in un particolare server. Mentre applicazioni centralizzate quali Facebook e Google catturano valore vendendo dati di proprietà del network stesso. I cryptonetwork, al contrario, li trovo filosoficamente “commuoventi” proprio per il meccanismo con cui organizzano l’attività umana in scala globale usando incentivi finanziari programmabili. È un’opportunità per creare network di informazioni che possono raggiungere economie di scala senza precedenti, in completo stile decentralizzato, open-source e distribuendo il valore catturato dal protocollo in maniera più vasta ed etica.

Qualcuno ha definito Bitcoin come money as a speech. Ed è verissimo. Fondamentalmente, Bitcoin è una stringa, è codice, tutti possiamo scriverlo e copiarlo. Fermare Bitcoin è come fermare la scrittura, la parola: è impossibile. Possiamo creare i soldi con la stessa libertà con cui parliamo.

Ma il mercato sta dimostrando anche un’ingente speculazione. No?
Le cryptocurrencies sono una nuova asset-class, con dinamiche nuove, ma che ovviamente ripropone le caratteristiche di un mercato “classico”, quindi la sua evoluzione è stata segnata da tentativi di accentramento, bolle, FoMO. Questo accade perché è un mercato gestito da esseri umani: è l’avarizia che ha dato vita alla speculazione.

Prima si poteva minare da qualsiasi computer, il software era creato per quello. Poi, una volta compresa la possibilità di speculare, si sono create delle mining farm vere e proprie, nodi enormi che hanno aumentato la pressione sull’ingresso delle transazioni dentro il blocco che ha creato l’aumento del costo per transazione. Ora come ora Bitcoin non è più un mezzo per il micro-payment, come è stato inteso per i primi anni. Non è certo ottimale per pagare un caffè, ma stanno emergendo delle soluzioni, come il lightening network per esempio.

Negli ultimi mesi si è parlato molto dello “snaturamento” dei Bitcoin, che da moneta hacker fatta per restare underground ha dato vita a una bolla finanziaria. Tu, da investitore, cosa ne pensi?
Io non sono d’accordo, anzi è provato il contrario. Una delle ultimissime prove di Satoshi Nakamoto è un’email scritta di suo pugno a Wikileaks, in cui sosteneva che non fosse un bene incoraggiare le donazioni in Bitcoin perché il network era ancora troppo giovane.
È chiaro che l’intento fosse globale, perché quel messaggio sottintendeva un’idea di crescita: se il Bitcoin fosse stato usato in quegli early days da WikiLeaks sarebbe stato sotto i riflettori troppo presto. Il network era ancora troppo giovane e debole, e Satoshi Nakamoto ne era al corrente.

Quindi secondo te non nasce come ‘moneta per hacker’, ma come genesi pensata di una nuova economia?
Sì, a mio avviso il Bitcoin è nato dalla rovina del mercato, in risposta alla crisi del 2008. È il risultato del fallimento della finanza tradizionale. Infatti all’interno del genesis Block, ovvero parte del contenuto del primo input per la creazione del primo blocco, è riportato un titolo del Times del 3 gennaio 2009 che cita: “second bailout for banks” — secondo salvataggio per le banche. A mio avviso è stato inserito sia per dare autenticità al momento della genesi che per fare del sarcasmo nei confronti del mercato finanziario.

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