Come se non le fossimo già tutti abbastanza grati per averci fatto vincere la famosa Disfida, ecco che cinque secoli dopo la città di Barletta ci delizia nuovamente con la storia di due ragazzi che hanno fatto una rapina dopo averla organizzata in un gruppo WhatsApp. Un gruppo chiamato “A Rapein.” Che in dialetto pugliese presumo voglia dire “La Rapina.”
I fatti sono questi: due ragazzi di 15 e 17 anni sono stati arrestati a Barletta dopo aver rapinato una farmacia. Fermarli non è stato particolarmente difficile. Secondo l’articolo di Repubblica Bari che riporta la notizia, “il farmacista ha seguito la loro fuga con lo sguardo e poi ha avvertito i poliziotti, dando indicazioni precise sulla strada che avevano preso e sul loro abbigliamento.”
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Sempre secondo la ricostruzione, la polizia ha ritrovato in un’aiuola lì vicino l’arma (il coltello) e ha sequestrato ai due ragazzi il bottino (865 euro) e un cellulare con WhatsApp aperto sulla chat in questione, di cui sono stati pubblicati alcuni screenshot (in realtà non sono veri screenshot, solo foto molto ravvicinate dello schermo).
Purtroppo ce ne sono solo tre, e per qualche motivo, Repubblica li presenta senza fare alcun commento sul loro valore sociale e culturale. Dice solo che sono stati “un elemento decisivo per incastrarli.” Ma credo sia giusto analizzarli nel dettaglio, sia perché sono straordinari sia perché potrebbero tornarci utili per imparare dai loro errori sia mai in futuro qualcuno di noi decidesse di fare una rapina (scherzo, ma comunque nella vita è sempre meglio essere preparati).
Cose a cui non riesco a smettere di pensare guardando quest’immagine: 1) tutti i discorsi sulla privacy e la crittografia end-to-end di WhatsApp che dovrebbe proteggere i nostri dati; 2) una lunga conversazione che ho avuto una volta con uno spaccino in cui mi ha spiegato che lui usa Telegram perché è “più sicuro”; 3) gli hacker russi che influenzano le elezioni americane e fanno vincere Trump.
Questo è il primo screenshot (purtroppo il fatto di non avere i precedenti limita le nostre possibilità di analisi. Possiamo solo sperare che prima o poi ricompaiano come le tavolette d’argilla sumere che ogni tanto ci fanno conoscere un nuovo capitolo dell’epopea di Gilgameš). È un breve scambio di battute e quello che si dicono i due ragazzini non è nemmeno particolarmente interessante: “Tu sta già pronto?” “Sì” “Io mo devo uscire” “Ok chiamami” “Ok”.
Ma va bene così, perché a questo punto il lettore deve ancora entrare nella vicenda e la sua attenzione è ancora fissa sul bellissimo nome del gruppo. Questo breve dialogo serve a presentare i personaggi, a introdurre il loro rapporto e il modo in cui comunicano, il fatto che a un certo punto—probabilmente per comunicarsi i dettagli dell’operazione senza lasciare tracce—si sentano al telefono.
Cose a cui non riesco a smettere di pensare guardando quest’immagine: una conversazione di due ragazze che devono uscire la sera e non sanno cosa mettersi così si scrivono e si danno consigli di look uniti a suggerimenti per evitare di prendere freddo.
Dal messaggio in cui decidono di telefonarsi al successivo passa circa un quarto d’ora. Davvero sono rimasti al telefono così tanto? Io con i miei amici ci sto al massimo un paio di minuti. Anche questo è un elemento che pare caratterizzare molto il loro rapporto. Ma credo piuttosto che la telefonata sia stata breve e che il messaggio successivo sia stato mandato un po’ out of the blue, che sia il prodotto delle insicurezze di un ragazzo che sa di dover andare a fare una rapina ma è indeciso su che outfit scegliere.
“Non so che giubbotto mettere.”
Tanta sincerità viene evidentemente apprezzata, perché l’amico confessa subito di essere in preda allo stesso dilemma.
“Eee nemmeno io… la giacca mi sono messo.”
Potrebbe anche essere una conversazione tra me e la mia ragazza quando dobbiamo andare da qualche parte (a pranzo dai miei, ad esempio) e lei è incerta sul dress code. Idem per la frase successiva: “Ricordati i guandi.” Ho sempre le mani fredde ma dimentico sempre i guanti. Cioè non è una mia impressione. È proprio che tutto torna.
Cose a cui non riesco a smettere di pensare guardando quest’immagine: il sublime romantico, quello del “Viandante sul mare di nebbia” di Friedrich e de “La zattera della Medusa” di Géricault, quella sensazione che ti prende all’improvviso e ti scuote fin nel midollo di fronte a qualcosa di bello e insieme spaventoso, qualcosa che ti lascia estasiato ma allo stesso tempo ti terrorizza e ti inquieta, ti fa realizzare la nostra piccolezza di fronte all’universo e l’inutilità dei nostri affanni terreni.
Perché questo è senza dubbio lo screenshot più bello. È così bello che merita un’analisi a parte, più approfondita. Quando l’ho visto ho pensato che non fosse possibile, che tutto lo screen fosse un fake, che non poteva essere vero. Ho continuato a osservarlo con la bocca spalancata e piano piano sono arrivato ad accettare il fatto che la realtà ha finalmente superato gli articoli del Corriere della Sera sui giovani che comprano la droga su WhatsApp con le emoji del quadrifoglio.
Uno dei due ragazzi (il 17enne) chiede all’amico (che, ricordiamolo, ha 15 anni) come fare a disfarsi dell’arma del delitto:
E poi—subito dopo la domanda—ci aggiunge una faccina sorridente ma con le guance rosse dall’imbarazzo, come a dire: Scusa. Come a dire: So che è una domanda stupida. Come a dire: Non vorrei farti perdere tempo con questa cosa, è solo che non mi sono mai trovato nella situazione di aver commesso un reato e di dover nascondere una prova schiacciante nei miei confronti, ossia un’arma bianca sul cui manico ci sono abbondanti tracce del mio DNA.
Faccina che l’amico ignora totalmente, probabilmente un po’ scocciato dall’impreparazione del complice. Risponde, “Mettilo nell villa.” Ma l’altro ragazzo non capisce. Gli chiede ancora “Dove?” e si sente rispondere di nascondere il coltello “nelle piante.” Non è un’idea geniale. (E infatti l’arma verrà ritrovata poco dopo dalla polizia in un’aiuola).
Così decide di farlo notare e di dire la sua:
E poi ci mette l’emoji della faccina che ride capovolta (non si vede benissimo ma c’è, è proprio lei):
Non so voi, ma personalmente ho sempre usato questa faccina in un solo modo—a parte ovviamente quando voglio prendere per il culo un collega appena tornato tutto bello riposato dalle vacanze e allora gliela mando in senso ironico per fargli capire che è finita, che adesso è solo disperazione fino alle prossime ferie. L’ho sempre usata quando dico qualcosa di un po’ simpatico o tenero,
quando voglio fare un sorriso disimpegnato a qualcuno, un sorriso poco pretenzioso,
un sorriso di quelli che si fanno insieme a una battutina fatta a caso, di quelle che non fanno particolarmente ridere ma solo sorridere,
il classico sorriso di chi va a fare una rapina, insomma.
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