Qui non sono ancora arrivati i bagnanti
Per rendere bene la complessità della Sicilia, ci bastano le proporzioni di quest’isola, la più grande regione italiana e la più grande isola del Mediterraneo. Ma anche la settima isola più grande d’Europa e tra le 50 più grandi al mondo. In un posto così non potevano che succedere cose straordinarie.
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Eppure della Sicilia si conosce una parte abbastanza bene, una per niente. Quest’ultima comprende tutta la zona continentale “dove non sono ancora arrivati i bagnanti”, così mi hanno detto durante un viaggio che mi ha portato in giro per la regione tra colline sovrastate da pale eoliche, spighe di grano, paesotti e dolci ripieni di formaggio. In un’area che si estende a sud di Palermo e che punta dritta verso il cuore della regione, tra i picchi delle Madonie e le grotte della Gurfa, si snodano una serie di itinerari di viaggio.
È un’invenzione della pandemia, creata da un gruppo di persone e residenti del territorio, che ha ideato una rete di turismo relazionale per permettere a italiani e stranieri di conoscere una Sicilia inedita ma molto eterogenea e meritevole di attenzione, dove un filo comune è il legame con la terra e la sua lavorazione, ma anche tra persone. In The Heart of Sicily ci sono percorsi e attività tra cui scegliere: trekking, camminate leggere, artigiani, raccolta di erbe, arte e poi cibo chiaramente, ristoranti, produttori e agricoltura.
A partire dai fratelli Valentina e Giovanni Guccione, che sulle pendici di Alia custodiscono e alimentano un’azienda di famiglia. “Sono cresciuta con questo imprinting agricolo, con le scarpe sporche di merda” mi racconta Valentina con la sua informalità genuina e ospitalità unica. D’estate ragazzi e ragazze vengono da Dara Guccione Biofarm per i campi estivi, durante i quali imparano cos’è l’agricoltura vivendo fra gli olivi, i sacchi di grano e le attività organizzate da Valentina. Poi ci sono le bellissime case, ex stalle per i viaggiatori che si spingono fin qui all’ombra di una pineta piantata dagli austriaci nel 1917.
Ma a monte di tutto c’è l’azienda agricola dove oggi si produce olio a filiera chiusa, con olivi, frantoio, stoccaggio e imbottigliamento sotto la guida di Giovanni, ricercatore del CREA. Poi il grano, l’oro di questa terra, coltivato in Sicilia da tempi antichissimi e in grandi quantità. In tutto il raggio d’azione di The Heart of Sicily sono in molti a produrre grano per sé stessi, per le proprie famiglie e per le attività commerciali. Mentre alcuni, come Giovanni e Valentina, hanno puntato più in alto.
Sulle loro colline infatti il grano cresce secondo i principi dell’agroecologia. Come racconta Giovanni “Oggi ci concentriamo su grani locali, i cosiddetti grani antichi, ovvero perciasacchi e maiorca, oltre al miscuglio evolutivo. Quest’ultimo viene dal lavoro del Professor Ceccarelli, un genetista che ha raccolto semi nelle regioni aride e semiaride del Mediterraneo. Nei nostri contesti areali questi semi, pur venendo da lontano, si sono evoluti molto naturalmente e sono in grado di resistere alla crisi climatica. E questo è un bene, perché molti indicatori ci dicono che il 74% dei territori siciliani è a rischio desertificazione”.
Dal grano si passa al vino, in zone raggiungibili con infiniti giri d’auto ma su panorami collinari notevoli. A Regaleali, toponimo arabo come molti della zona interna, si incontra Fabrizia Lanza. La sua è una storia lunga e avventurosa, almeno come quella della sua famiglia, tra le prime produttrici di vino dell’isola, con una tenuta che comprende di tutto, tra cui anche 4 milioni di bottiglie e la sala dove la famiglia si riunisce per festeggiare il Natale, all’ombra del ritratto del nonno Giuseppe Tasca sorvegliato dalla statua di un piccolo pappagallo.
Secondo l’ambizione di Fabrizia The Heart of Sicily potrebbe essere un modello di turismo buono. “Un progetto che non costa troppo, pieno di persone e pieno di incontri. Perché solo dal basso si può cambiare quest’isola” racconta. Qui si viene per conoscere la storia della sua scuola di cucina, Anna Tasca Lanza, creata nel 1989 dalla madre di Fabrizia per insegnare la complessità della cucina e dell’agricoltura siciliana a studenti internazionali. All’interno di Case Vecchie c’è ogni sorta di ben di Dio vegetale: un orto, un semenziario e un giardino con piante aromatiche da tutto il mondo. “Con i nostri studenti affrontiamo diversi temi” spiega Fabrizia “uno è quello della disconnessione tra cibo e territorio.” per una cucina che è fatta di radici, ancora prima che di tradizioni.
Ma c’è anche spazio per qualche digressione sul vino della famiglia Tasca, mentre ci inerpichiamo tra le vigne. “L’azienda tutta è nelle mani della Famiglia Tasca dagli anni ’30 dell’800. Poi arriva mio nonno Giuseppe (quello del pappagallo) che inizia con il vino negli anni ’70 contro il volere di molti.” racconta Fabrizia mostrando quelle che prima erano tutte coltivazioni di grano. “Ma il grano negli anni ’50 non valeva più niente. Giuseppe era un grande bevitore, buongustaio con il mito della Francia”. I vitigni qui sono tantissimi perché la sperimentazione è tanta e il vino è modaiolo. “Come le gonne sai. Che a seconda del periodo si portano lunghe, corte, così così”.
Il viaggio prosegue a Polizzi Generosa, dove sembra quasi di toccare le Madonie con le mani. Qui Roberta Billitteri si è trasformata in agricoltrice nel 2009, quando con il marito Francesco si è trasferita per prendere alcuni terreni in comodato d’uso. “Alle spalle ho esperienze di lavoro nella cooperazione internazionale, qui non avevamo un’azienda agricola da ereditare”. I due cominciano a coltivare il fagiolo Badda, in dialetto siciliano “palla”, presidio Slow Food dal 2008, un piccolo legume bicolore che richiede una grande lavorazione manuale e che è praticamente assente al di fuori del territorio della Madonie.
Le rese del fagiolo non sono altissime, ma l’impatto positivo dei presidi sulla comunità è benefico. Da qui la nascita di un piccolo laboratorio di trasformazione, “Il gusto dei colori”, per aggiungere altri prodotti. “All’inizio non sapevo cucinare e non avevo neppure tanta voglia” dice Roberta aprendo un barattolo di caponata di mele. Nel frattempo nel 2016 arriva il riconoscimento di un altro presidio, quello del peperone pipiddu, che ha la particolarità di crescere all’insù. “Anche qui un contadino aveva salvato una decina di piantine. Dico spesso che essere piccoli è una scelta. Non un limite”.
Da Polizzi a Petralia sono trenta minuti di curve. Il comune più alto delle Madonie è un paese piccolo ma ricchissimo di chiese e avvantaggiato da una vista spettacolare. Uno dei campanili si vede fin da Casa dei Salici, nella frazione di Madonnuzza, un terreno di sei ettari che comprende un palmento, una zona per i cavalli, una vecchia casa arredata con gusto eclettico e materiali di recupero.
Qui si fa il lombricompost e si coltiva in permacultura, come ci racconta Bruna, la sorella del creatore Calogero D’Alberti, mentre gironzola tenendosi stretto il berretto. “Da noi è così, se non piace ci sono tanti posti dove andare” afferma affettuosamente Bruna ad indicare destinazioni più consone che per chi cerca un lusso estremo e pettinato. Qui invece si può venire a imparare qualcosa sulla terra, sulle tinture fatte con le erbe, su come fare l’humus di lombrico o l’orto in cassetta, e a passare le giornate in campagna insieme a una famiglia che sa condividere lo spazio e il tempo.
Non manca qualcosa per chi ama camminare, visto che non mancano le montagne. Con Calogero Vallone si mette un piede dopo l’altro tra la biodiversità siciliana, che già ad Aprile esplode di verde. “Qui sarà tutto giallo fra poco” ripete chiunque.
Calogero accompagna i camminatori per sentieri di tutti i tipi, mostrando le erbe e le piante del posto. Il primo errore è quello di confondere il finocchietto, presente in ogni piatto siciliano, con la ferula, una pianta utilizzata per costruire anche mobili, il cui fiore cresce moltissimo in altezza. È altamente tossica sia per gli uomini che per gli animali, fatta eccezione per i funghi che sono ottimi in diverse preparazioni.
Prima di andarsene però c’è assolutamente una cosa da assaggiare: è lo sfoglio. Un dolce preparato con una frolla sottile ripiena di tuma — un formaggio non salato, per questo utilizzato per la preparazione dei dolci fresca — e zucca candita, zucchero, pezzetti di cioccolato. Davvero notevole. Secondo la storia, a inventare la ricetta furono le Suore del Convento di Santa Margherita di Polizzi nel ‘600, ma l’origine è contesa tra Polizzi e Petralia.
Meglio, perché in entrambi i paesi si trovano diversi bar e pasticcerie dove addentarne una fetta.
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