Questo articolo fa parte della nostra rubrica sugli anni Settanta in collaborazione con Spazio70, una pagina Facebook di approfondimento sociale, culturale e politico su quel periodo della storia italiana.
Negli anni Settanta i moti della contestazione studentesca sono arrivati anche nelle aule austere del Tasso, uno dei licei classici più antichi di Roma e luogo in cui hanno transitato politici del calibro di Giulio Andreotti e Ugo La Malfa. Tra gli studenti di quel periodo figura un ragazzo di famiglia nobile—è conte di Filottrano, Cingoli e Macerata—che i più estremisti considerano un moderato e i più moderati un estremista. Quel ragazzo è Paolo Gentiloni Silveri, l’attuale Presidente del Consiglio.
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Che Gentiloni, l’emblema della moderazione e del grigiore politico, abbia un passato nelle fila della sinistra extraparlamentare non è una novità, ma piuttosto un aneddoto emerso in più occasioni da quando lo scorso dicembre è subentrato a Renzi. Chi segue la politica ha sentito parlare della storia secondo cui da ragazzino Gentiloni si firmava “Paolo” con la P fatta con la falce e martello; o ha ascoltato almeno un’intervista in cui qualche protagonista di quella stagione racconta che il Gentiloni-studente “aveva la stessa cifra del Gentiloni di oggi. Un uomo che sta dietro le quinte, che non ha un grande carisma.”
La militanza politica di Gentiloni inizia nel 1970, a 16 anni, quando si avvicina al Movimento Studentesco. Partecipa all’occupazione del Tasso, poi salta su un treno per Milano e prende parte al corteo in memoria delle vittime della strage di Piazza Fontana, il tutto all’insaputa dei suoi genitori. “Una fuga controllata. Avevo rivelato al prete gesuita del Tasso, Tommaso Ambrosetti, dov’ero diretto, in modo che lui lo potesse comunicare ai miei,” racconterà lui stesso anni dopo.
Ma è nel 1973 che l’impegno politico di Gentiloni raggiunge il culmine. Nel gennaio di quell’anno, dopo un corteo di protesta contro l’omicidio dello studente di sinistra Roberto Franceschi, un gruppo di studenti del Tasso—che ha la fama di “scuola rossa”—si presenta davanti all’istituto con l’intenzione di occuparlo. La polizia però è già pronta a intervenire: tra fischi, insulti e minacce l’aria si fa pesante, e l’arrivo di una camionetta di rinforzi riesce a disperdere buona parte dei manifestanti.
Tuttavia, un gruppo di studenti particolarmente facinorosi non si arrende. Circa venti di loro entrano negli uffici della segreteria scolastica e intimano ai dipendenti di consegnare loro macchina da scrivere e ciclostile per preparare dei volantini. Non glieli danno, perché per puro caso quella mattina il ciclostile non è in segreteria ma si trova nell’anticamera della presidenza. Mentre a una segretaria impaurita viene impedito di chiamare la polizia, la situazione tarda a calmarsi e la giornata prosegue tra manifestazioni non autorizzate e assemblee. Per tornare alla normalità ci vorranno alcuni giorni.
Un paio di settimane dopo il consiglio docenti sospende 11 studenti responsabili dei disordini. Per tre di loro la sospensione si estende al resto dell’anno scolastico; sei (tra cui appunto Gentiloni) vengono sospesi per 15 giorni, e i rimanenti due salteranno rispettivamente una e tre giornate di lezioni. Per protestare contro le sospensioni, alcuni studenti sfilano per i corridoi scandendo slogan contro i docenti “fascisti” e “reazionari,” mentre sui muri della scuola compaiono scritte con i nomi degli insegnanti accanto a minacce e insulti. Si mobilitano anche i comitati di genitori antifascisti che considerano eccessivamente severa la linea dell’istituto. La protesta finisce sui giornali nazionali e incassa la solidarietà di Lotta Continua, sulle cui pagine compare anche il nome di Gentiloni.
“Ricordo che non fu ammesso all’esame di stato, non solo lui ma anche altri,” mi ha raccontato Rossella Bianucci, ex compagna di classe di Gentiloni nella III D del liceo Tasso, nel 1973. “Non ricordo il motivo, ma alcuni studenti ebbero effettivamente dei problemi.” Quello che Bianucci, non attiva politicamente in quegli anni, ricorda bene è invece il clima che si viveva tra le mura dell’istituto. “Il liceo era un liceo di sinistra e quei pochi studenti di destra che c’erano spesso si ritrovavano in mezzo agli scontri.”
Ed è proprio per uno scontro con uno studente di destra che il giovane Gentiloni ha un altro problema disciplinare, questa volta al di fuori della mura scolastiche: è tra i 26 studenti del liceo Tasso accusati di interruzione di pubblico servizio, violenza privata e oltraggio a pubblico ufficiale. I fatti risalgono al febbraio 1972, quando un gruppo di studenti aveva preso di mira una professoressa “fascista.” Stando alle cronache dell’epoca tutto era iniziato quando uno studente di destra aveva strappato un manifesto di sinistra; il giorno seguente un corteo non autorizzato aveva fatto irruzione nella classe della professoressa in questione e interrotto la lezione con insulti, minacce e danneggiamenti in seguito alla richiesta—negata—di far uscire “quel fascista” dall’aula.
Tra loro c’è anche Gentiloni, che viene rinviato a giudizio e deve rispondere anche di altre accuse legate a episodi di violenza verificatisi qualche mese dopo, ad aprile. In questo caso è molto più di un manifesto strappato: Franco Lorenzoni, uno degli studenti coinvolti, mi ha detto che “la mattina precedente c’era stata un’aggressione fascista a scuola, e così avevamo manifestato. Era arrivata la polizia e c’erano stati degli scontri. Fu chiesto il rinvio a giudizio per molti di noi, ma solo in quattro finimmo in tribunale. Tra questi non ricordo Gentiloni. Lui faceva parte del Movimento Studentesco ma già all’epoca era piuttosto moderato. Comunque ci condannarono a quattro mesi ma poi giunse l’amnistia.”
Lorenzoni, un ex militante di Lotta Continua, ai tempi del liceo era uno dei più estremisti tra gli studenti del Tasso. Gli ho chiesto di raccontarmi la sua versione della storia dell’invasione della segreteria nel gennaio 1973, ma mi ha detto che non c’era perché “nel novembre 1972 fui sospeso per tutto l’anno perché dissi al preside che era uno sporco fascista di merda.”
Tra i pochi ragazzi di destra che frequentavano il liceo Tasso in quegli anni c’è Maurizio Gasparri, all’epoca militante del Fronte della Gioventù, che ricorda Gentiloni come un “casinaro” appartenente a quella sinistra fatta di “ragazzi che salivano in autobus nei quartieri borghesi e giunti a scuola diventavano proletari.” “Noi di destra eravamo perseguitati,” ha affermato Gasparri, “e Gentiloni, che per sua fortuna non si distingueva per atteggiamenti minacciosi, faceva parte della sinistra estrema, dei persecutori.”
Michele Baldi—anche lui studente del Tasso e di destra negli anni Settanta, che poi ha continuato a fare politica e oggi milita nel M5S—ha invece raccontato di essersela vista brutta più volte in quegli anni: “Anche io presi tante botte e se ho portato a casa la pelle, probabilmente, è stato proprio perché ero vicino di banco di Paolo.”
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