News

Lo sgombero dei campi profughi in Francia: cosa succederà ora a migliaia di rifugiati sfrattati?

Segui VICE News Italia su Facebook per restare aggiornato 

Kamal, un anziano iraniano, ha salvato sul telefono le foto crude della tortura. La vittima guarda dritto nell’obiettivo, scheletrico, con le costole che sporgono dal petto che è per metà marchiato dalla pressione ustionante di un ferro caldo. L’uomo nelle foto è lui – a prova di ciò da cui Kamal è fuggito e di cosa potrebbe succedergli se dovesse tornare. Kamal era stato imprigionato per aver protestato contro il regime iraniano nel 2009.

Videos by VICE

“La polizia è buona,” commenta, indicando le squadre antisommossa francesi schierate all’entrata della cosiddetta “Giungla”, il campo profughi nella cittadina portuale di Calais, dando voce ad un’opinione che molti dei suoi compagni non condividerebbero. Kamal è al campo profughi da nove mesi. Quando lo sgombero sarà completato, non sa dove andrà a finire — di certo non nel paese d’origine, dice.

Tra le decine di migranti e rifugiati con cui VICE News ha parlato a Calais e Dunkirk, non sembra esserci una risposta certa su cosa fare quando i campi verrano definitivamente demoliti, come sembra vogliano le autorità. Alcuni stanno considerando di viaggiare verso il Belgio o l’Olanda. Altri contemplano un ritorno ai loro paesi natali in Medio Oriente. In ogni caso, la maggioranza dei migranti e dei rifugiati si sente abbandonato e senza speranze — al massimo possono cercare di trovare un posto nelle vicinanze e continuare a provare a saltare su treni e camion per raggiungere il Regno Unito, ma senza le risorse necessarie per voltare pagina.

Per molti rimanere in Francia non è un’opzione allettante, perché la percentuale dei permessi d’asilo concessi è la metà di quella dell’Inghilterra (25 percento contro 41 percento), il tasso di disoccupazione è circa il doppio (il 10 percento rispetto al 5 percento), e molti hanno famigliari che sono già in Gran Bretagna.

La polizia monitora le operazioni di demolizione nella “Giungla,” il campo profughi di Calais. (Foto di Daniel Bateman/VICE News)

Un migrante seduto accanto a un graffito nella “Giungla,” il campo profughi di Calais. (Foto di Sally Hayden/VICE News)

Al campo di Calais – che ospita migliaia di migranti – si sono viste scene drammatiche durante l’ultima settimana. Le baracche sono state rase al suolo dalle ruspe mentre gli sfollati si aggrappavano alle loro cose, standosene sui tetti durante una violenta grandinata, nell’inutile tentativo di salvare l’unica parvenza di casa che avevano. Alla fine, la popolazione della “Giungla” sarà ridotta da quasi 5.000 persone a 1.400.

L’obiettivo è di ospitare i rimanenti 1.500 in un nuovo campo allestito dal governo con dei containers convertiti in alloggi e alcuni spazi comuni — un grande cambiamento rispetto alle strade fangose con file di ristoranti, chiese e locali notturni che hanno animato la vita del campo improvvisato. Molti migranti non vogliono andarci perché entrerà in vigore un sistema di sicurezza ad impronte digitali per entrare e uscire, saranno sempre presenti le forze dell’ordine e credono che saranno poi costretti a presentare la domanda d’asilo in Francia.

Mokhtahar, che arriva dall’Iraq, dice che la sua baracca è stata la prima ad essere demolita dalla polizia. “Sono andato a pranzo, quando sono tornato ho trovato la mia casa completamente distrutta,” dice a VICE News. “Il mio cellulare, tutti i miei vestiti, anche i miei soldi, non c’era più nulla. Erano i miei unici beni… Quello era l’unico posto che avevo per dormire.” Indica i vestiti che ha addosso: “Adesso questo è tutto quello che ho.”

La gente del campo è disperata, fa notare l’uomo. “Non sanno cosa fare. Si sono abituati a questa situazione. Era il loro posto per vivere. Ma ora non hanno niente.” Mokhtahar dice che adesso che non ha più soldi, non potrà spostarsi.

Un’altra donna iraniana, in stato avanzato di gravidanza, dice a VICE News che si trasferirà nel nuovo campo solo per partorire, poi continuerà a provare a raggiungere l’Inghilterra.

I poliziotti resistono alla grandine per assistere alle operazioni di demolizione della Giungla. (Foto di Daniel Bateman/VICE News)

Una donna si lava le mani fuori dalla sua baracca nella Giungla di Calais. (Foto di Sally Hayden/VICE News)

Gli sgomberi dai campi sono stati effettuati dalle autorità francesi in parte anche per porre rimedio a situazioni pericolose e attività criminali che avvenivano al loro interno.

L’azione è però un’arma a doppio taglio — l’incertezza e il caos causate dagli sgomberi rendono i migranti e i rifugiati, incluse centinaia di minori non accompagnati con familiari nel Regno Unito, più vulnerabili e più esposti agli abusi, senza una protezione adeguata. Il trasloco coatto, inoltre, impedirà loro di accedere alle notevoli risorse messe a disposizione dai volontari nella “Giungla,” dove le associazioni forniscono vestiti, cibo, medicine e consulenze legali.

Questa settimana, alcuni volontari del soccorso medico hanno parlato con il quotidiano inglese Independent, riportando presunti casi di stupro di ragazzi adolescenti all’interno del campo di Calais. Negli ultimi sei mesi, sette adolescenti tra i 14 e i 16 anni si sono rivolti ai volontari, dicendo di essere stati violentati e presentando ferite che confermerebbero le accuse. Una petizione per chiedere alle autorità francesi di proteggere i bambini del campo ha raggiunto quasi 20.000 firme.

Intanto, in un altro grande campo situato a Grande Synthe, Dunkirk, diversi migranti e volontari dicono a VICE News che i trafficanti di esseri umani continuano ad esercitare un grandissimo potere sulle circa 2.000 persone che vivono lì in condizioni difficili e malsane.

Il limite è stato raggiunto a gennaio, quando quattro persone sono state ferite durante una sparatoria nel campo di Grande Synthe — una presunta “resa dei conti” tra due bande rivali.

Il campo di Dunkirk sarà il prossimo a essere sgomberato, e i residenti dovrebbero trasferirsi questa settimana in un centro di accoglienza allestito dall’organizzazione Medici Senza Frontiere (MSF).

Nella Giungla di Calais viene dato fuochi ad alcune baracche. (Foto di Sally Hayden/VICE News)

Le auto della polizia parcheggiate nella Giungla, il campo profughi di Calais, in Francia. (Foto di Daniel Bateman/VICE News)

Eelke van Woensel Kooy, una ragazza belga di 23 anni che studia antropologia culturale, da quasi un mese fa la volontaria a Dunkirk, nella tenda per la distribuzione delle provviste a donne e bambini.

Dice che vivono lì circa 100 bambini, mentre è impossibile calcolare il numero delle donne perché a molte di loro non è permesso visitare la tenda — per volere degli uomini con cui viaggiano o dei trafficanti. Solo circa 10 o 20 donne visitano la tenda in maniera regolare, incluse diverse donne incinte.

Van Woensel Kooy si dice preoccupata che le donne e i bambini non stiano avendo accesso ai beni primari che altri invece ricevono. Racconta che la cucina del campo è gestita dai trafficanti. “Non ne so molto, ma credo che sia il caos a renderlo possibile, nel senso che non c’è una sola organizzazione, ma diversi gruppi di volontari che non comunicano in maniera molto efficiente,” dice.

Secondo van Woensel Kooy, il trasferimento nel campo di MSF migliorerebbe la situazione per i gruppi più vulnerabili “perché sara più organizzato. Immagino che la polizia arresterà alcuni dei trafficanti. Ma allo stesso tempo, la persone dipendono seriamente da questi figuri. Gli hanno già dato un sacco di soldi per venire qui.”

“Credo di aver sottovalutato il ruolo dei trafficanti,” continua. “Quando lavori qui diventa molto chiaro”.

Spiega che nelle ultime settimane ci sono stati attacchi violenti al campo, durante la notte.

Commentando sul grande numero di persone a rischio in questo campo, dice: “[Considerare] i rifugiati come un unico gruppo è troppo eterogeneo. Ognuno ha la sua storia. Cosa vuol dire rifugiato? È soltanto qualcuno che fugge dalla guerra o anche qualcuno che vuole una vita migliore?”

Leggi anche: Capodanno nella ‘Giungla’: gli ultimi giorni del 2015 nel campo profughi di Calais

Alcuni tentativi per fermare i trafficanti sono stati fatti. Ad agosto, il giornale francese Le Monde ha riportato che negli otto mesi precedenti erano stati arrestati in totale 1.225 trafficanti, che lavoravano per sette bande albanesi e altre 12 reti gestite da vari criminali di nazionalità diverse.

Lo stesso mese, VICE News ha visitato un altro campo a Teteghem, vicino a Dunkirk, presumibilmente controllato dai trafficanti. A novembre il campo è stato chiuso e gli ultimi 200 migranti sgomberati dalla polizia. Un sospetto trafficante è stato arrestato.

Tornati a Calais, Hamid, un 17enne iraniano, dice di essere in Francia da solo ma di avere un fratello nel Regno Unito. Mostrando il braccio fasciato, racconta di essere stato picchiato due giorni prima da un poliziotto nella Giungla.

“Sono triste,” dice riguardo gli sgomberi. “Non è una cosa buona, perché quando qui avranno finito non sapremo dove andare.”

Mezz’ora dopo aver parlato con VICE News, durante una rissa scoppiata tra due gruppi di uomini un altro iraniano ha puntato un coltello contro Hamid.

Intanto, un altro iraniano racconta a VICE News di aver visto un ragazzo britannico arrivare nella zona dove lui era accampato e dare fuoco a una tenda, per poi fare due passi indietro e riprendere la scena delle fiamme. “Non so perché lo facciano. Non lo so,” dice.

“Servizi segreti,” dice scherzando un suo amico.

La dichiarazione arriva dopo una serie di testimonianze che parlano di attivisti che danno fuoco alle baracche nel campo — un’accusa che è stata finora respinta.

Due bambini giocano nel centro per donne e bambini di Grande Synthe, in Francia. (Foto di Sally Hayden/VICE News)

Un gruppo di iraniani si è cucito le labbra e ha iniziato uno sciopero della fame per protestare contro gli sgomberi nel campo di Calais. (Foto di Sally Hayden/VICE News)

Solo una minoranza dei rifugiati che arrivano in Europa viene a Calais — circa il 2 percento. Di quelli che sono nel campo, alcuni si sono dati una scadenza. Saady, 32 anni, di Rabia, una città nel nord-ovest dell’Iraq al confine con la Siria, dice a VICE News di essersi dato altri sei mesi per raggiungere l’Inghilterra, altrimenti tornerà in Iraq.

Dice di non aver niente da cui tornare, ma che si prenderà almeno “un po’ di riposo.”

Nel frattempo, si sposterà volentieri nel nuovo centro di MSF a Dunkirk. “Qui è molto sporco,” dice. “Il nuovo campo è molto pulito. Non possiamo più stare a Grande Synthe.”

“Non vogliamo dare problemi alla polizia, perché i poliziotti francesi non sono male. Si comportano bene con i rifugiati.”

Saady – che spera di raggiungere l’Irlanda o l’Inghilterra – dice che il suo villaggio si trova molto vicino ai territori dello Stato Islamico (IS), e che tre dei suoi migliori amici sono stati uccisi dai militanti. “Non volevo morire,” dice.

Dei migranti e rifugiati che sono adesso a Dunkirk, dice: “La maggior parte ha dei problemi col governo… La guerra mi ha fatto stancare. Ci sono così tante persone qui che sono stanche.”

Anche Saady non ha abbastanza soldi per pagare un trafficante che lo porti al di là della Manica — il costo si aggira tra le 2.000 e le 4.000 sterline (tra i 2.500 e i 5.000 euro circa).

Leggi anche: In foto: Il campo profughi di Dunkirk è ancora peggio della ‘Giungla’ di Calais

Secondo i dati inviati a VICE News dall’organizzazione di volontari britannica Help Refugees e raccolti dal Refugee Rights Data Project, il 73 percento dei migranti e rifugiati nella Giungla hanno subito violenze da parte della polizia. Di questi, il 57 percento è stato esposto ai gas lacrimogeni “ogni giorno” o “più volte alla settimana.” Oltre il 45 percento degli intervistati ha affermato di aver subito violenza da parte di cittadini francesi, inclusi membri di gruppi di estrema destra. Tre quarti delle persone che hanno partecipato al sondaggio hanno avuto problemi di salute al campo.

Nei due campi – Grande Synthe e Calais – l’82 percento degli intervistati ha intenzione di rimanere dove si trova o “non sa” cosa fare se i campi saranno demoliti nelle prossime settimane.

Il 92 percento di coloro che hanno parlato con Help Refugees vorrebbero andare nel Regno Unito, il 35 percento di loro ha amici o familiari nel paese. Per il 23 percento, la lingua è una delle ragioni principali per la scelta del Regno Unito, mentre l’86 percento dice di non prendere nemmeno in considerazione l’idea di tornare nel paese d’origine.


Segui VICE News Italia su Twitter e su Facebook

Segui Sally Hayden su Twitter: @sallyhayd