Se è vero che le maggiori spinte per l’innovazione tecnologica vengono favorite dalla ricerca in ambito militare e da quella che riguarda la pornografia, qui da Motherboard non siamo entusiasti delle armi e preferiamo seguire gli sviluppi del secondo ambito. Un esempio particolarmente significativo è quello della realtà virtuale. WOVO — la boutique milanese dedicata all’erotismo che ha anche curato una rubrica dedicata al sesso su i-D — ci ha proposto di testare un sistema per fruire in modo interattivo del porno in VR ideato da SenseMax, e noi siamo andati a provarlo direttamente nel loro store.
Il sistema si chiama Sense Ecosystem e sfrutta una app che mette a disposizione una serie di video porno POV (Point-Of-View) da visualizzare con un visore in VR di quelli in cui si inserisce il proprio telefono. Per ora, tutti i video permettono di calarsi soltanto nei panni di un performer maschio e il sistema in generale è pensato per un pubblico maschile — la scelta assieme a quella di produrre ”porno classici” è dovuta al fatto di dover lanciare un prodotto sul mercato con degli standard di produzione basati su dati commerciali: tanto più il sistema si diffonderà, tanto più sarà possibile renderlo più inclusivo e sperimentare con generi diversi, ci hanno spiegato da WOVO.
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Lo smartphone su cui viene eseguita l’applicazione si connette tramite bluetooth a due dispositivi che possono essere usati in alternativa: SenseBand e SenseTube. Il primo è un braccialetto e il secondo un masturbatore, cioè un oggetto in cui inserire un pene o un dildo. Entrambi rilevano, attraverso il motion-sensing, la frequenza dei movimenti delle mani durante la masturbarzione e modificano i movimenti e il comportamento dei performer del video in base a essa. L’interazione è garantita anche da una serie di tasti che permettono di aumentare la vibrazione del masturbatore, cambiare scena e fare raggiungere il climax agli attori.
Come ci spiegano da WOVO, più che una sostituzione del sesso questo strumento è un’estensione dell’esperienza del porno fornita attraverso dei prodotti dal design all’avanguardia. Tra i valori di SenseMax, infatti, come scrivono sul loro sito, c’è l’interesse a rendere le persone più felici e più sane, perché credono che la realtà virtuale possa aiutare chi è affetto da ansia o disfunzioni sessuali a superarli in un ambiente sicuro. Ecco com’è stato provare questa esperienza porno in VR da un punto di vista maschile e femminile.
Federico:
Per me il porno è interessante quanto più rappresenta situazioni difficilmente replicabili nella realtà o se può insegnarmi qualcosa che non ho mai immaginato. Al contrario, ho sempre avuto molta difficoltà ad apprezzare i generi più mainstream come quello proposto in questi primi video disponibili sul sistema. Il fatto è che trovo molto stereotipate le pratiche sessuali e le dinamiche con cui interagiscono gli attori dei porno mainstream, in particolare la loro estetica. E se si parla di realtà virtuale iniziano i guai per una persona che tende a perdersi nei dettagli come me.
Ho iniziato a concentrarmi troppo sulle unghie finte, sul piercing all’ombelico e i tatuaggi tribali della performer. Inoltre, quando ho posato lo sguardo sulle parti visibili del perfomer maschio, il confronto impietoso rispetto al mio corpo per nulla atletico mi ha gettato nello sconforto (mitigato solo dal sollievo di sapere che la mia pelle non ospita tatuaggi tribali.) Insomma, l’esperienza era veramente coinvolgente, ma il problema era che mi stavo ritrovando a vivere in modo immersivo una situazione erotica che non rispecchiava i miei gusti, e per rendere il tutto più eccitante avrei dovuto usare l’immaginazione.
Questo mi ha fatto riflettere su quanto stavo sottovalutando il ruolo dell’immaginazione in tutte le nostre esperienze, virtuali o meno. In fondo, visto che non esiste il porno perfetto in cui succede proprio tutto quello che sogniamo, siamo sempre costretti a usare l’immaginazione per apprezzarne uno. Ed è qui che entra in gioco la parte interattiva dell’esperienza.
Dopo aver capito come regolare i movimenti della performer in base alla frequenza dei movimenti del polso, ho mosso il masturbatore alla mia frequenza preferita. Dopo qualche secondo di latenza, i movimenti della donna si sono adattati al mio input e i suoi gemiti sono diventati così forti da spingermi a premere il tasto che permetteva di farle raggiungere il climax. A quel punto, ho esultato come se avessi vinto il livello finale di un videogioco portando il masturbatore al cielo come si fa con un trofeo.
Proprio allora ho capito il grande valore del sistema: la possibilità di interagire con un personaggio virtuale, ricevendo dei feedback visivi e uditivi che dipendevano da un movimento che può dare piacere anche a me, non mi ha lasciato indifferente. È vero, il video si rifaceva a un immaginario molto lontano dai miei modelli erotici — che come i più attenti avranno intuito, tra le altre cose, escludono categoricamente i tatuaggi tribali — ma la sensazione di poter dare del piacere a un personaggio — per quanto virtuale — ha creato una minuscola breccia nelle barriere impenetrabili che avvolgono il mio cuore di ghiaccio e mi ha fatto intuire come farlo sciogliere — dove questa del cuore di ghiaccio che si scioglie è solo una metafora.
Antonella:
Per prima cosa ho indossato il bracciale che serve a coordinare i movimenti del polso con le movenze dei performer nel VR. Poi ho messo il visore e mi sono ritrovata subito immersa nella scena di un porno dei più classici: una ragazza di colore molto bella si muoveva su e giù sopra di me. Il realismo virtuale mi ha portata innanzitutto a esplorare meglio il contesto. Girando la testa potevo direzionare lo sguardo sui movimenti dei miei addominali, sull’arredamento minimale della stanza e sul corpo della donna.
Ho provato tutte le posizioni possibili tentando di coordinare sempre meglio il mio polso con quanto accadeva nel VR, ma arrivata alla fine non credo di esserci mai riuscita per bene. Nel corso dell’esperienza, infatti, c’erano una serie di fattori che disturbavano la mia attenzione, già altalenante di suo. Il primo era che, banalmente, non avevo dei genitali su cui esercitare il polso: dover scuotere la mano a vuoto rendeva il tutto poco realistico, uno stimolo fisico avrebbe reso molto più convincente quanto accadeva nel visore. Ma non posso farci niente se non sono un uomo.
Inoltre ero imbarazzata dai gemiti della performer e dal fatto che fossero, come vuole una certa tradizione porno, piuttosto esagerati. Il suo modo di gemere quando mi praticava sesso orale era particolarmente irrealistico, anche perché da parte dell’uomo non c’era nessuna intenzione di coinvolgerla o eccitarla. Nel contesto virtuale era sottinteso che lei fosse completamente al mio servizio, pronta a mettersi in ogni posizione e a esagerare l’eccitazione per gratificare il mio ego.
Per quanto il video rappresenti una situazione di sudditanza in cui una donna non dovrebbe mai trovarsi — se non per legittima scelta — per ora è un porno interattivo pensato per gli uomini, e in questo è perfettamente conforme all’estetica dominante. Da donna, non credo che simulatori del genere debbano essere giudicati severamente, ma aspetto il momento in cui la varietà di situazioni proposte includerà anche altri modi di intendere il sesso. Di sicuro, momentaneamente, SenseMax propone un punto di vista fallocentrico da cui è necessario emanciparsi.
Nel complesso, però, è stata un’esperienza interessante. Il mio orientamento sessuale indefinito ha giocato un suo ruolo, e in qualche zona remota del mio cervello mi sono calata perfettamente nei panni del performer maschio che incarnavo. Ho soddisfatto un istinto primario che esisteva già da qualche parte. Consiglio SenseMax a qualsiasi donna sia curiosa di provare cosa vuol dire avere un pene e usarlo a letto. In fondo è una curiosità che abbiamo più o meno tutte. E non voglio certo pensare che abbia ragione Freud quando dice che c’è una percentuale di invidia.