L’estate del 2018 è stata piuttosto intensa. Nel Regno Unito, è stata la più calda di sempre, insieme a quelle del 2006, 2003 e 1976. La colonna sonora di queste lunghe e caldissime settimane, per molte persone tra cui la sottoscritta, è stata “Sports”, il nuovo singolo di una band post-punk di Stoccolma chiamata Viagra Boys.
Il pezzo è un po’ strano e il testo è assurdo: sembra la lista di cose da fare del classico americano medio in vacanza (“Baseball / Pallacanestro / Bassotto / Pantaloncini”), interpretata dalla voce gutturale e impassibile di Sebastian Murphys, quasi un tributo a Mark E. Smith. Da un lato, la canzone è una parodia surreale della mascolinità (letteralmente, sono tizi che urlano di carne e di sport), ma per qualche motivo risulta anche ballabile. Tra i riff serrati e le linee di basso accattivanti, suona un po’ come un pezzo che i Birthday Party avrebbero potuto fare nel 1979 se si fossero dati al surf e all’erba.
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Pensavo che i Viagra Boys avrebbero sprigionato quella stessa energia travolgente anche dal vivo ma quando li ho incontrati in un pub, verso la fine di settembre, mi sono ritrovata davanti a sei soggetti dall’aspetto malaticcio e abbattuto. La metà di loro è accasciata sulle panche, mentre Sebastian sta versando in un bicchiere una bustina di medicinale per l’influenza, tra un colpo di tosse e l’altro. Alcuni di loro—Benke, Oskar e Konie—hanno deciso di risparmiarsi l’intervista e se ne stanno in un angolo a fumare e sfregarsi gli occhi, mentre i loro compagni—Sebastian, Tor e Benjamin—si siedono al tavolo con me.
Non mi sorprende che siano conciati così. Ci siamo incontrati il giorno dell’uscita del loro primo album, Street Worms, e loro stavano giustamente festeggiando ininterrottamente da due giorni. La sera prima, tra l’altro, hanno registrato il tutto esaurito a un concerto e dopo lo show erano finiti a casa di un amico a chiacchierare fino all’alba. Quando chiedo loro cosa abbiano combinato in questi giorni a Londra, si guardano con aria stanca e malandrina. “Bravate…” dice Sebastian con il suo accento californiano (è nato a San Francisco, prima di trasferirsi in Svezia), mentre si abbassa ancora di più il cappellino per coprirsi la fronte tatuata.
In nove tracce, Street Worms delinea un ritratto brillante e conciso dei ragazzi e della band. Anche se è stato pubblicato dalla YEAR0001 – l’etichetta svedese di artisti come Yung Lean e Bladee – i Viagra Boys non sono rapper tristi con l’autotune. Anzi, l’album è un’accozzaglia di immagini street blues, un po’ luride ed eccentriche, a volte distorte ma anche precise. “Metto un asciugamano in un sacchetto con della formaldeide / poi me lo appoggio sulla bocca e sono completamente fatto” canta Sebastian in “Shrimp Shack,” mentre le sue parole sembrano pronunciate con un sopracciglio alzato e un’espressione nichilista, mai del tutto serio, ma anche un po’ malinconico, proprio come è lui nella vita reale.
Forse la nostra conversazione non è iniziata nel modo più brillante, ma pian piano è andata sempre meglio. Sebastian è relativamente riservato e ha un sorriso raggiante e contagioso che sfoggia raramente. Nemmeno Tor parla molto, ma quando lo fa, ti guarda dritto con quegli occhi blu, parla in modo conciso e pacato. Come un padre di famiglia, Benjamin è quello che tiene insieme il tutto, spiegandosi con parole chiare e dando risposte ben ragionate. Nell’ora successiva, parliamo dei loro inizi, di cosa significa essere outsider e di come gli uomini in questa società non sono incoraggiati a esprimere i loro sentimenti.
Noisey: Mi pare che molte persone vi abbiano scoperto con “Sports,” anche se voi avete iniziato nel 2015. Raccontatemi degli inizi.
Tor: Ci siamo incontrati tutti grazie ai tatuaggi. Sebastian è un tatuatore e la mia ex-ragazza si è fatta tatuare da lui. Ci siamo ubriacati tutti insieme e abbiamo deciso di creare un gruppo punk. Poi abbiamo visto Sebastian cantare al karaoke e abbiamo pensato… “ok, dobbiamo assolutamente farlo”.
Sebastian: Ho cantato “We Belong Together” di Mariah Carey. Adoro quella canzone.
Benjamin: Io ero in una band che si chiamava Pig Eyes e li ho incontrati a qualche festa.
Facevate tutti parte di altri gruppi prima?
Sebastian: No, io no. Questa è la prima band in cui suono, da adulto.
È strano, sembri un frontman nato… il tipo di persona che sa tenere il pubblico.
Sebastian: Grazie. Ma all’inizio non era così, ero molto insicuro. Questi ragazzi mi hanno spinto a farlo. Avrei mollato molto presto se fossi stato da solo. Avrei iniziato a provare e poi mi sarei detto, “ok, faccio schifo”. Ma loro mi dicono sempre “non fai schifo, amico”. Mi serve l’approvazione degli altri.
Mi sembra interessante che voi siate sotto la stessa label di Yung Lean e Bladee e tutti questi rapper, quando in realtà il vostro sound mi ricorda più gli Stooges o i Devo. Siete stati fan di queste band?
Tor: Io sono cresciuto ascoltando gli Iron Maiden, fino ai 12 anni. Poi, sì, ho ascoltato punk, ma più tipo Misfits e skate punk o roba hardcore anni Novanta. Gli Stooges e gli altri sono venuti dopo.
Benjamin: Ero fan di Kias, Queens of the Stone Age e Slipknot, Iowa in particolare. Ho ascoltato anche un sacco di musica di merda. St Anger dei Metallica ha voluto dire molto per me. So che è considerato ridicolo, ma a me piaceva. Oggi ascolto jazz. I miei gusti sono cambiati.
Pare che i gusti cambino quando passi dai venti ai trenta e poi ai quaranta. Pensate che anche l’approccio artistico cambi?
Benjamin: Ho cercato per lungo tempo la perfezione nella musica, ma poi ho capito che non è quella la cosa importante, che c’è altro. Rimpiango quel periodo, ho perso un sacco di tempo. La musica è suonata da esseri umani, e noi siamo perfetti così. Oggi faccio musica migliore. È più interessante e viva. Prima, me ne stavo seduto e ripetevo gli stessi accordi alla chitarra per giorni. Ma fa parte del processo, è così che si impara.
La musica suonata con le chitarre, almeno in questo momento nel Regno Unito, si divide in scene diverse, in particolare a Londra. Vi sembra di appartenere a una scena precisa di Stoccolma?
Sebastian: Non credo che il gruppo appartenga a una scena in particolare. Siamo al di fuori di ogni scena [ride]. Abbiamo dato il via a una nostra cultura piuttosto bizzarra, in un certo senso, in cui ci siamo solo noi, ahah.
Tor: Io vengo dalla scena punk. Ma penso che se fai parte di una ‘scena’ possa essere un limite. Non puoi ascoltare la techno e altra roba. Queste separazioni vanno superate. Non penso che vada bene essere troppo coinvolti in una scena precisa.
Sebastian: A Stoccolma mi sento un outsider.
Benjamin: Non mi interessano queste cose.
Sebastian: Tu hai sicuramente maggiore autostima di noi [guardando Benjamin]. Sei più sicuro di te.
Stavo guardando i vostri concerti su YouTube e ho notato che sono molto fisici. Come riuscite a trasmettere quest’energia al pubblico? Per evitare che stiano tutti fermi a guardare, ma che partecipino allo show?
Sebastian: Non penso che la gente ballerebbe se io non ballassi sul palco. A volte non mi va di ballare, ma credo di dover interpretare un ruolo, un personaggio. Nella mia vita di tutti i giorni non ho tutta quell’energia. In realtà sono una persona abbastanza negativa, non sono uno allegro. Ma quando suono, è come se entrassi in un’altra zona di me stesso. Non so come spiegarlo.
Tor: Ma poi, le nostre canzoni sono… non so come si dice in Inglese.
Sebastian: Sono groovy, hanno ritmo! Quindi alla gente viene voglia di ballare, sei quasi obbligato.
Tor: Esatto, le persone ballano sin dall’età della pietra. E quando c’è il ritmo, si balla.
Sebastian: Non deve per forza piacerti, il tuo corpo si muove comunque.
Tor: Sembra più banale detto in inglese, sembra che facciamo musica fusion o qualcosa del genere.
Haha! Onestamente, penso che ‘spiegare’ la musica sia sempre un po’ banalizzarla. Mi sembra che la vostra musica abbia molta energia mascolina in generale…
Tor: Perché?
Non so, forse perché siete sei ragazzi che dicono cose a caso su sport e carne. Ma allo stesso tempo mi sembra che giochiate molto con il concetto di mascolinità, che lo ridicolizziate. È vero?
Sebastian: Non so se sia una cosa consapevole, ma sì assolutamente sì. Penso che molti dei testi siano in qualche modo ispirati dall’odio verso noi stessi, in un certo senso, che fa parte di essere un uomo nella società contemporanea. Ma non è una cosa che decidiamo a tavolino, siamo così e basta. Ridiamo di noi stessi.
Benjamin: E siamo tutti abbastanza sensibili, il ruolo del maschio “tradizionale” non ci si addice. Non sarei a mio agio a lavorare in cantiere, ad esempio, per questo mi sento sempre un po’ emarginato.
Sebastian: E che si tratti di mascolinità o no… non ci prendiamo mai troppo sul serio.
Pensate che molti ragazzi si sentano come voi?
Sebastian: Penso che molti ragazzi facciano fatica ad ammetterlo.
Benjamin: Gli uomini, in generale, fanno fatica a parlare dei propri sentimenti, ma in questo gruppo, succede il contrario. Sono stanco di sentire parlare dei loro sentimenti tutto il tempo. Parlare dei miei sentimenti per me è una cosa naturale, ma per molti uomini non è così, ed è una cosa triste e anche tragica. Ci sono molti uomini che arrivano a uccidersi perché hanno paura a esprimere quello che provano. Non ci penso mai, fino quando non leggo i dati sui giornali, guarda i dati sul suicidio.
Trovo che il concetto di outsider risalti anche molto nei vostri testi—in particolare nel nuovo album. Le vostre canzoni sono piene di immagini distorte, che ti fanno vedere le cose da un’altra prospettiva.
Sebastian: A volte mi sembra di guardare la mia stessa vita dall’esterno, questo è sicuro. Dipende dalla tua formazione, credo. Ti comporti in un certo modo per un periodo della tua vita e poi, quando ne scrivi, lo vedi più chiaramente. E la mia prima reazione è che tipo mi fa paura, non riesco ad accettare quello che sono. È una sorta di terapia in un certo senso.
Quali sono le cose che ti fanno sentire in questo modo?
Sebastian: Non lo so, può essere qualsiasi cosa, dalle insicurezze agli abusi di droga, il mio comportamento nelle relazioni, il modo in cui mi sono comportato con gli altri, e con me stesso… sono convinto che scrivendo si cambi e si cresca.
Esatto, anche se prima eri quel tipo di persona, non significa che ora lo sia ancora. E così puoi accettare il te stesso del passato, o almeno esserne consapevole. Come vi sentite ora che è uscito il disco?
Tor: Ci abbiamo lavorato un sacco di tempo ed era pronto già da quattro mesi. Sono molto orgoglioso dell’album.
Sebastian: Ora ci sfondiamo.
Tor: Sono già due giorni che festeggiamo senza tregua.
Che cosa avete fatto?
Tor: Abbiamo fatto alcuni live a Camden, e poi al Windmill.
Sebastian: E poi ci siamo dati alle nostre stupidate.
Che tipo di stupidate?
Sebastian: Sono cose top secret. No, siamo solo andati in un pub, abbiamo incontrato un mio amico, e il resto è storia. Penso che stasera faremo più o meno la stessa cosa. Finiremo seduti a un tavolo tipo questo, e faremo conversazioni senza senso.
Tor: Parleremo per cinque ore del nostro prossimo disco.
Sebastian: Esatto, questo ormai è andato.
È così che passerete i prossimi mesi?
Sebastian: Sì, andremo in tour per un po’, ma appena avremo un po’ di tempo, inizieremo di nuovo a scrivere canzoni.
Benjamin: Ci divertiremo.
La versione originale di questo articolo è stata pubblicata da Noisey UK.