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Il paesino italiano nascosto tra le Alpi che ha costruito un Sole artificiale

orasul din italia cu soare din oglinda

Un paese in cui il Sole non sorge per tre mesi l’anno fa pensare a qualche località scandinava, dove le luci delle case sono accese anche a mezzogiorno e si fanno sessioni intense di light therapy per contrastare i livelli di serotonina in caduta libera. Eppure, a latitudini molto più basse, l’abitato di Viganella—nel Piemonte settentrionale a pochi chilometri dal confine con la Svizzera—vive la stessa condizione. Aggrappato al fianco di una valle particolarmente profonda, sovrastato dalle montagne circostanti, il paesino vede il Sole sparire a inizio novembre e spuntare di nuovo solo a febbraio, passando così tre mesi ininterrotti senza un raggio di luce. Praticamente la Lapponia, ma senza aurora boreale.

Non è proprio un affare per i 163 abitanti di Viganella, che dal 2016 fa parte del più ampio comune di Borgomezzavalle e i cui primi insediamenti, stando agli archivi storici, risalgono già al XIII secolo: fanno più di 800 inverni passati al buio per la popolazione locale. Per generazioni, gli abitanti hanno visto il Sole tramontare per l’ultima volta l’11 novembre e l’hanno visto tornare a illuminare i tetti del paese solo il 2 febbraio, giorno in cui, sulla scia di antichissimi riti pagani, ancora oggi tutta la comunità celebra il ritorno della luce con feste in abiti tradizionali. Come succede spesso nelle valli alpine più lontane dai centri cittadini, nel corso del Novecento Viganella ha sofferto un forte spopolamento, e di certo la posizione poco fortunata e gli inverni bui non hanno aiutato.

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Nel 1999, l’architetto Giacomo Bonzani ha proposto di realizzare una meridiana solare sulla facciata della chiesa, ma l’allora sindaco Franco Midali ha fatto notare che, per ovvie ragioni, la meridiana sarebbe stata inservibile durante i mesi invernali; così ha rilanciato proponendo a Bonzani un’idea folle: portare il Sole a Viganella anche negli 83 giorni in cui l’astro non fa capolino dalle creste che incombono sul paese. Come? Installando su uno dei picchi che sovrastano le case un enorme specchio, col quale riflettere la luce del Sole sulla piazza del paese, sottraendolo al buio che la natura gli ha imposto.

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Zona in ombra al solstizio invernale, sezione della valle est-ovest. Illustrazione di Angela Larcher

Il 17 dicembre 2006, grazie a un importante investimento di circa 100mila euro, lo specchio—su progetto dello stesso Bonzani e con la consulenza astronomica dell’ingegner Gianni Ferrari—ha visto finalmente la luce (letteralmente).

Grande 8 metri per 5, riflette i raggi solari per sei ore al giorno giù in fondo alla valle, grazie a un software in grado di far ruotare la struttura e seguire il percorso del Sole nel cielo. La luce riflessa non è certo potente come quella del Sole diretto, ma è sufficiente perché gli abitanti possano godere del suo tepore nella piazza principale e non siano costretti a tenere le luci accese anche di giorno nelle loro abitazioni. Attivo soltanto nel periodo in cui Viganella entra nel suo stato di perenne penombra, nel resto dell’anno lo specchio viene coperto e mimetizzato, fino all’11 novembre successivo.

Frontiera dell’urbanistica? Spreco di denaro pubblico? Opera d’arte sui generis? Impossibilitato ad andare a Viganella di persona per farmi un’opinione più precisa, mi sono fatto raccontare un’esperienza di prima mano da Silvia Camporesi, artista che da alcuni anni indaga storie curiose e angoli remoti del paesaggio italiano. Dal 2020, Camporesi ha avviato una ricerca proprio sulla vicenda di Viganella, nel contesto di un progetto più ampio dal titolo “Forzare il paesaggio.”

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Lo specchio. Immagine: Silvia Camporesi, Il sole riflesso di Viganella, 2020. Per gentile concessione dell’artista e di Galleria Z2o, Roma

“Nei giorni in cui ho visitato Viganella,” racconta Camporesi a VICE via email, “sono partita per la montagna, alla ricerca dello specchio, accompagnata da alcuni amici. È stata un’avventura complicata perché non ci sono indicazioni e perdersi è un attimo. Fortunatamente l’ex-sindaco Franco Midali ci ha assistito telefonicamente nella scalata e a ogni dubbio lo chiamavamo affinché ci rimettesse sulla giusta strada. Dopo due ore di cammino abbiamo trovato lo specchio: svettava sulla cima della montagna alle spalle del paese, maestoso e solitario. Lo abbiamo ripreso col drone, per poterlo osservare da vicino. Infatti non è possibile arrivargli davanti—è in pendenza e il riflesso sarebbe accecante.”

Approfitto dello scambio con Camporesi per chiederle se a suo avviso lo specchio possa essere considerato un’opera d’arte pubblica a tutti gli effetti. “Penso che involontariamente lo sia,” risponde. “Quando l’ho visto ho subito pensato al Sole di Olafur Eliasson, ma a Viganella non c’è l’intenzionalità artistica, piuttosto una questione da risolvere, una situazione da rendere migliore. Proprio per questo ritengo sia un’opera straordinaria, perché il suo autore è un uomo lungimirante che vuole bene ai pochi abitanti del paese e desidera fare qualcosa per loro. È un’opera che nasce da un gesto di umanità, di compassione.”

Un punto di vista che è vivido anche nelle parole dell’ex-sindaco Midali. “L’idea di questo progetto non nasce da un fondamento scientifico, ma da uno specificatamente umano, dalla volontà di far socializzare la gente anche d’inverno, quando complici il freddo e il buio, il paese si spegne,” raccontava Midali nel 2008 in una video intervista. E se la storia è ricca di esempi in cui sono stati impiegati degli specchi solari—dagli specchi ustori di Archimede per bruciare le navi romane nel porto di Siracusa, alle applicazioni nei moderni telescopi, al sistema di accensione della fiaccola olimpica—la vicenda di Viganella è unica perché lo specchio diventa soluzione tecnica a un problema sociale, valendo a Midali persino una nomination al World Technology Award.

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Installazione con alcuni degli scatti di Camporesi che mostrano il riflesso del sole proiettato dallo specchio sulla città. Immagine: Silvia Camporesi, Il sole riflesso di Viganella, 2020. Per gentile concessione dell’artista e di Galleria Z2o, Roma

Viganella rappresenta anche un esempio che ha fatto scuola, ispirando nel 2013 la realizzazione di uno specchio del tutto simile nella cittadina di Rjukan, in Norvegia. Una delegazione di ingegneri e tecnici ha visitato la località piemontese per studiare l’invenzione di Midali e importarla nel paese scandinavo dove la possibilità di offrire alle comunità un “Sole artificiale” potrebbe fare parecchio comodo. Chissà che non possa risolvere anche i problemi del villaggio islandese di Seydisfjördur, ubicato in un fiordo molto stretto e da sempre in lotta con le poche ore di luce a disposizione. I cittadini hanno persino fatto domanda al governo islandese di poter compensare spostando le lancette avanti di due ore in estate, introducendo quello che hanno definito come un “super-summertime.”

Complice la pandemia, l’Unione Europea ha sospeso la richiesta ai paesi membri di scegliere definitivamente tra ora legale e solare, come era previsto entro fine anno. Pur avendo rimandato la decisione al 2023, si è riacceso a livello internazionale il dibattito sulla gestione delle ore di luce a nostra disposizione, e in molti si interrogano se il doppio cambio di orario sia ancora la soluzione migliore per tutti. Prospettive geografiche, sociali e ambientali si mescolano e rischiano di portare a un’Europa con fusi orari diversi, anche tra stati confinanti.

Forse, prospettive locali come quella di Viganella potrebbero alimentare il dibattito globale, e convincerci che non sarebbe poi così strano leggere un libro alla luce di un Sole artificiale.