In una recente intervista con il Quotidiano Nazionale, il rettore della Scuola Normale Superiore di Pisa, Vincenzo Barone, si è detto stufo del clima di discriminazione verso le donne che aleggia nel prestigioso istituto accademico, per cui “ogni volta che si tratta di valutare o proporre il nome di una donna per un posto da docente, si scatena il finimondo,” e “si parla di tutto, meno che di preparazione, merito e competenze, che dovrebbero essere i soli criteri per valutare un accademico,” ha dichiarato nell’articolo.
Le sue parole — che stanno rapidamente rimbalzando di testata in testata — arrivano in concomitanza con l’assunzione della professoressa Annalisa Pastore, la prima donna ordinario della classe di Scienze della Normale, e con l’apertura del 208° Anno Accademico.
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Nell’intervista, Barone spiega come sia “impossibile promuovere le donne,” perché ogni volta che viene proposto per un avanzamento di carriera il nome di una donna, si scatena una macchina del fango che va oltre la calunnia generica (ed estremamente comune) del favoritismo o protezionismo tra maestro e pupillo, sfociando invece nel personale e nel sessuale. “Per le donne c’è l’aggiunta di risvolti volgari e riferimenti alla vita privata,” ha spiegato il rettore a QN, “del tutto inaccettabili e per di più falsi.”
La radice culturale del problema resta la più dura da strappare.
Non c’è niente di particolarmente nuovo nelle parole del rettore: il mondo accademico — soprattutto quello STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica) — è notoriamente sessista e, per quanto esistano programmi e borse di studio specifiche e visioni progressiste abbracciate ufficialmente da istituti internazionali come il CERN (dove “chiunque è benvenuto“), è chiaro che la radice del problema — quella culturale — resta la più dura da strappare.
L’intervista di Barone è una conferma proprio di questo: persino in un istituto di altissimo livello — leggi: la Normale di Pisa, dove dovrebbero esserci solo persone molto intelligenti — domina un pregiudizio culturale e sociale sessista cieco, per cui ci si sente in diritto di spargere voci inappropriate, umiliare e screditare una donna, proprio perché donna.
Il punto di vista di Barone è significativo non perché serva per forza un uomo a validare l’esperienza condivisa e ampiamente illustrata di moltissime scienziate vittime di discriminazione, ma perché evidenzia come il cambiamento necessario sia appoggiato ancora da pochi — o come siano ancora in tanti a ritenere giusto escludere le donne dalle docenze scientifiche di rilievo.
Quello che evidenzia Barone è esattamente ciò che, solo qualche settimana fa, il ricercatore Alessandro Strumia aveva cercato di negare con una presentazione ad hoc fatta al CERN, sostenendo che il sessismo nel mondo STEM non esisterebbe più perché “sono anni che le donne vengono aiutate.” Ma un conto sono le linee guida imposte dall’alto, un conto il residuo di pregiudizi sociali che le persone continuano a manifestare.
Come conclude Barone nell’intervista, l’unica soluzione al problema è “aprirci, essere innovativi e vincere […] la scommessa del futuro.” Ma è necessario anche continuare a parlare del problema, soprattutto da una posizione di effettivo potere come quella di Barone, che può cambiare la situazione internamente in modo molto più pratico di qualsiasi documento di buona condotta morale. Per quanto ogni “proprio piccolo” possa avere un impatto, il sessismo è una questione politica e come tale va affrontato prendendo una posizione chiara. Per cui: benvenuto nella resistenza, rettore. C’è un mucchio di lavoro da fare.